martedì 10 dicembre 2019

Introduzione alla mia metodologia

Il liceo classico "Ernesto Cairoli" di Varese
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11 dicembre 2019
Liceo Cairoli di Varese 14,30 - 16,30.
Aggiornamento reciproco tra me e i colleghi

L’approccio comparativo alle letterature antiche

Introduzione alla metodologia dell’insegnamento delle lingue e letterature greca e latina con taglio europeo e topologico

Non conoscere il latino significa cecità o almeno debolezza di vista linguistica

L'uomo che non conosce il latino somiglia a colui che si trova in un bel posto, mentre il tempo è nebbioso: il suo orizzonte è assai limitato; egli vede con chiarezza solamente quello che gli sta vicino, alcuni passi piu in là tutto diventa indistinto. Invece l'orizzonte del latinista si stende assai lontano, attraverso i secoli piu recenti, il Medioevo e l'antichità. - Il greco o addirittura il sanscrito allargano certamente ancor piu l'orizzonte. Chi non conosce affatto il latino, appartiene al volgo, anche se fosse un grande virtuoso nel campo dell'elettricità e avesse nel crogiuolo il radicale dell'acido di spato di fluoro"[1]
Un aspetto del mio metodo è autorizzarlo con citazioni da opere note di reputati autori di altre discipline che magari allo studente potrebbero piacere di più.
Si veda un ancora piu esplicito svuotamento della sofiva tecnologica nel discorso di Diotima del Simposio platonico:"kai; oJ me;n peri; ta; toiau'ta sofo;" daimovnio" ajnhvr, oJ dev, a[llo ti sofo;" w[n, h] peri; tevcna" h] ceirourgiva" tinav", bavnauso"" (203a), chi è sapiente in tali rapporti[2] è un uomo demonico, quello invece che si intende di qualcos' altro, o di tecniche o di certi mestieri, è un facchino.
Avvicino, forse non arbitrariamente, quanto scrive Hegel nella
Fenomenologia dello spirito: “il signore si rapporta alla cosa in guisa
mediata, attraverso il servo”; il servo invece “col suo lavoro non fa che trasformarla”[3]. Vero è che attraverso il lavoro del servo e il suo rapporto diretto con la realtà, avviene un rovesciamemto dialettico. Secondo Hegel in termini di coscienza. Lavorando il servo giunge alla consapevolezza, alla coscienza di sé e del mondo oggettivo
La servitù una volta compiuta diventerà il contrario di quello che è immediatamente. Diventata autocoscienza la servitù si trasformerà nel proprio rovescio. Marx utilizzerà questa dialettica servo - signore come chiave di lettura dellintera storia che è storia di lotta di classi.
Aggiungo che lautocoscienza, il conosci te stesso, si raggiunge pure e forse più profondamente attraverso la lettura e la comprensione dei classici antichi e moderni.
Lo studio dei classici serve ad accrescere la nostra umanità

Perche studiare il greco e il latino, potrebbe chiederci un giovane, a che cosa servono? Alcuni rispondono:" a niente; non sono servi di nessuno; per questo sono belli"[1].
Non è questa la nostra risposta. Se e vero che le culture classiche non si asserviscono alla volgarità delle mode, infatti non passano mai di moda, è pure certo che la loro forza e impiegabile in qualsiasi campo. La conoscenza del classico potenzia la natura peculiare dell'uomo che è animale linguistico.
Il greco e il latino servono alle relazioni umane, quindi all’umanità e alla civiltà: accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e di ogni lavoro non esclusivamente meccanico.
Chi conosce il greco e il latino sa parlare la lingua italiana piu e meglio di chi non li conosce[2]. Sa anche pensare piu e meglio di chi non li conosce. Sa volere bene e amare più e meglio di chi non li conosce. Studiando e comprendendo il greco e il latino si diventa più umanisti e più umami. Voglio anticipare qui esempi che fanno vedere con chiarezza la coincidenza e lidentificazione di umanesimo con amore per lumanità.
Vediamone alcune espressioni

Lumanesimo è prima di tutto amore dellumanità.
l' Antigone di Sofocledichiara il suo amore per l'umanità dicendo a Creonte :" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), io non sono nata per condividere l’odio ma l’amore.
Teseo dice "e[xoid j ajnh;r w[n 3]"(Edipo a Colono, v.567), so di essere un uomo a Edipo che gli ha chiesto perché accolga e aiuti lui che è il più disgtraziato e malfamato degli uomini.
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina.
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e di Terenzio:" :"Homo sum: humani nil a me alienum puto "[4].
Nell'Eneide di Virgilio Didone incoraggia i Troiani giunti naufraghi sulle coste della Libia ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente, ma pure compassionevole verso i disgraziati:"non ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati. Tanta humanitas non verrà contraccambiata da Enea. Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei nostri autori e dovrebbe esserlo nella scuola :"E infine, possiamo imparare la lezione fondamentale della vita, la compassione per le sofferenze di tutti gli umiliati, e la comprensione autentica"[5].
 Marco Aurelio, imperatore (161 - 180 d. C.) e filosofo, scrive (): noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin" (Ricordi , II, 1).

La cultura classica sa opporre degli argini all’irrazionale quando questo dilaga e minaccia di sommergelo.
E' quello che Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus (1947) : "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (...) dalla cattedra ho spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e,
vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"[6]. E’ il caos che si fa cosmo. Cfr. le Erinni che diventano Eumenidi nella terza tragedia dell’Orestea e anche in The family reunion di T. S. Eliot (1939)[7]





The family reunion by T. S. Eliot contains echoes and quotations from Aeschylus. The fear is continually recalled and deprecated by the chorus, which consists of two sisters and two brothers in law of Amy, widow and painful mother of Harry, the new Orestes.
The fear turns to be comprehension to Harry, Agatha the clairvoyant aunt, and Mary, the clever cousin. Also, the pain helps to foster understanding, as it occurs in Aeschylus's Agamemnon (v. 177). Finally, Harry doesn’t flee from the Erinyes but follows the Eumenides: “Let us lose no time. I will follow “(II, 2).

The family reunion di T. S. Eliot è commentato attraverso il metodo comparativo. Le traduzioni del greco del latino e dell’inglese in italiano sono mie.
Il testo inglese utilizzato è: T. S. Eliot, The Family Reunion, first published in 1939 by Faber and faber Limited. First published in this edition 1963.
Percorso intero della conferenza tenuta a Padova (Palazzo del Bo - Aula I. Nievo) il 24 maggio 2018.

Introduzione
Questo percorso commenta The family reunion di T. S. Eliot attraverso un metodo comparativo.
Vengono presentati continui confronti con le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide e di Seneca, con particolare attenzione alla trilogia eschilea Agamennone, Coefore, Eumenidi.
È stato evidenziato il tema della paura non senza il rilievo che questa può avere aspetti positivi ed essere funzionale all’ordine nella polis. Lo notano tanto le Erinni (vv. 517 - 519) quanto Atena (vv. 698 - 699) nelle Eumenidi che concludono l’Orestea rappresentata ad Atene nel 458.
Lo ripeterà Sallustio nel Bellum Iugurthinum (Metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere, 41).
Nel dramma di Eliot la paura è diffusa, è parte dell’aria, persino del tempo atmosferico carente di luce e calore, e viene ripetutamente deprecata dal Coro alla fine della parte prima («I am afraid of all that has happened, and of all is to come», “ho paura di tutto quello che è accaduto e di tutto quello che ha da venire”) non senza del resto che la coreuta Ivy affermi di volere combattere contro il più indecoroso terrore («This is a most undignified terror, and I must struggle against it», I, 3).
Il Coro è formato da Ivy, Violet, Gerald, Charles, due sorelle e due cognati di Amy, la madre dolorosa di Harry, il nuovo Oreste.
In The family reunion la paura viene superata quando diventa conoscenza e comprensione nei personaggi di Harry, Agatha la zia intelligente, e Mary una cugina, i tre del gevno" che vogliono e possono capire.
Agli altri, gli obnubilati, rimane la paura della verità, dell’ ajlhvqeia che è non latenza, disvelamento. Vivono come assopiti temendo di conoscere ognuno se stesso, di abbandonare l’identità gregaria dedotta dal loro ambiente e di acquistarne una personale.

Oltre la paura anche il dolore è funzionale alla comprensione tanto nella trilogia di Eschilo quanto nel dramma di Eliot. Lo afferma il coro di vecchi argivi nella Parodo dell’Agamennonetw/' pavqei mavqo" (v. 177), “attraverso la sofferenza si giunge alla comprensione”. Il percorso intero indica diverse occorrenze di questa densa gnwvmh. Per esempio Admeto che ha chiesto il sacrificio della giovane moglie Alcesti, poi ne soffre la mancanza e dice: “lupro;n diavxw bivoton a[rti manqavnw” (v. 940),
Amy, la madre di Harry e di altri due figli minori in tutti i sensi, John e Arthur, è il personaggio più oppresso dal dolore e attribuisce lo strano comportamento del primogenito, che al pari di Oreste vede spettri, al clima nebbioso e alla stanchezza del viaggio. Harry è tornato dopo un’assenza di anni. Nell’ultimo periodo di vagabondaggio ha perduto la moglie caduta dalla nave nel mare, non si sa come. Agatha, la sorella di Amy capace di intendere Harry, suggerisce al nipote di comprendere quello che ancora non ha capito: è la via verso la libertà: «There is more to understand: hold fast to that as the way to freedom» (I, 1).

In una scena successiva, dopo vari accadimenti, e visioni di Erinni con una ripresa testuale delle Coefore[7], Harry dice che non è certo di non avere spinto in mare dalla nave la moglie annegata («Perhaps I only dreamt I pushed her» II, 2).

1 - Harry: “no, no, non lì, laggiù. Voi non le vedete, ma io le vedo, ed esse vedono me”. «You don’t see them, but I see them, and they see me» (I, 1).
Con parole simili Oreste nelle Coefore si rivolge al Coro delle portatrici di libagioni: : uJmei'" me;n oujc oJra'te tavsd j, ejgw; d j oJrw' - ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv (1061 - 1062), “voi non le vedete ma io le vedo, sono sospinto e non posso più restare”. Questi due versi sono posti da Eliot come epigrafe di Sweeny agonistes, Fragments of an Aristophanic Melodrama: «you don’t see them, you don’t - but I see them: they are hunting me down , I must move on».

Agatha risponde che loro non hanno scritto un racconto “di delitto e castigo” «of crime and punishment, but of sin and expiation», “ma di peccato e di espiazione” (II, 2). Però prima di espiare il peccato, per espiarlo, è necessario conoscerlo.
Talvolta è il peccato stesso che si agita e si adopera in vario modo per giungere alla coscienza.
«It is certain that the knowledge of it must precede the expiation. It is possible that sin may strain and struggle in its dark instinctive birth, to come to consciousness and so find expurgation», “è possibile che il peccato si sforzi e lotti nella sua oscura nascita istintiva, per arrivare alla coscienza e così trovare purgazione[7]”.

2 - Nell’Orestea di Eschilo il matricida deve andare a Delfi, poi ad Atene per sapere che cosa significhi il suo peccato. Pure Edipo deve fare una lunga indagine su se stesso nell’Edipo re di Sofocle. Nell’Edipo a Colono anche per lui le Erinni diventeranno Eumenidi

 Può darsi che tu sia la coscienza della tua famiglia infelice, aggiunge la zia veggente, “il suo uccello mandato in volo attraverso la fiamma purgatoriale”, «its bird sent flying through the purgatorial flame»Harry allora si sente felice, come se la felicità consistesse “in una visione diversa”, «in a different vision. This is like an end», “questo è come un fine” (II, 2). È la visione delle essenze, di quello che realmente è.
Agatha aggiunge: «the burden’s yours now, yours - the burden of all family. And I am little frightened», “il fardello di tutta la famiglia ora è tuo e io sono un poco impaurita”. Ma il nipote fatica a immaginare la paura di questa zia: «You, frightened! I can hardly imagine it, e comincia a comprendere[7]: I only now begin to have some understanding of you, and of all of us».

3 - Alla fine dell’Antigone di Sofocle il Coro sentenzia: pollw'/ to; fronei'n eujdaimoniva" - prw'ton uJpavrcei (1347 - 1348), “il comprendere è di gran lunga il primo requisito della felicità”.

Agatha è la mente più lucida della famiglia e l’unica che capisce il nipote. Entrambi hanno la capacità di vedere e capire i segni mandati da fuori, hanno la visione totale che T. S. attribuisce a Tiresia nella nota al verso 218 del poema La terra desolata: “Ciò che Tiresia vede è la sostanza del poema”. Sono i segni che gli ottenebrati non possono o non vogliono vedere: come succede a Creonte nell’Antigone e pure a Edipo[7] finché non giungono prima alla catastrofe che li rende capaci di intendere.

4 - a[xi j oudenov" (Edipo re, 972) “non valgono nulla”, dice Edipo dei responsi oracolari che gli profetizzavano il destino

Harry ha capito e ha vinto la paura. Quando le Eumenidi appaiono per l’ultima volta, il giovane si rivolge a loro con queste parole: «You cannot think that I am surprised to see you», “non crediate che io sia sorpresi di vedervi”, «and you shall not think that I am afraid to see you», “e non crediate che abbia paura di vedervi”. “Questa volta siete reali, siete fuori di me e perciò sopportabili”, «this time you are real, this time you are outside me, and just endurable». “Pensavo di sfuggirvi venendo qui dove voi invece mi aspettavate[7] (II, 2).
5 - Si può pensare alla canzone Samarcanda di Vecchioni.
Ora finalmente vedo che vi sto seguendo”, «now I see at last that I am following you», “e che può esserci un solo itinerario e una sola destinazione”. «Let us lose no time. I will follow».

Pure Oreste giunto sull’acropoli di Atene non ha più paura delle Erinni: le affronta senza rinnegare le proprie azioni, compreso il matricidio con il quale ha vendicato il proprio padre: e[kteina, touvtou d j ou[ti" a[rnhsi" pevlei (Eumenidi, 588), l’ho uccisa e di questo non c’è negazione.
Oreste rivendica dignità al proprio delitto, come Prometeo[7].

6 - “Io sapevo tutto questo: di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò”, eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai (Prometeo incatenato, v. 266).
Segue l’analisi della tragedia che verrà pubblicata negli atti del convegno.


continua



[1] Il greco e il latino, la religione e la matematica “Erano - e l’insegnante lo faceva notare spesso - del tutto inutili apparentemente ai fini degli studi futuri e della vita, ma solo apparentemente. In realtà erano importantissimi, più importanti addirittura di certe materie principali, perche sviluppano la
facolta di ragionare e costituiscono la base di ogni pensiero chiaro, sobrio ed efficace” (H. Hesse, Sotto la ruota (del 1906), p. 24.
[2] Vittorio Alfieri nella sua Vita (composta tra il 1790 e il 1803) racconta di avere impiegato non poco tempo dell’inverno 1776 - 1777 traducendo dopo Orazio, Sallustio, un lavoro “piu volte rifatto mutato e limato…certamente con molto mio lucro si nell’intelligenza della lingua latina, che nella padronanza di maneggiar l’italiana” (IV, 3).
[3] Questa espressione può essere un ottimo punto di partenza per spiegare il participio predicativo, e poi “condirlo” , come si dirà (capp. 18 e 19) , con la letteratura.
[4]Heautontimorumenos ,77.
[5] E. Morin, La testa ben fatta, p. 49.
[6] T. Mann, Doctor Faustus, pp. 12 e 14
[7] Le Erinni nell’Orestea di Eschilo e in La riunione di Famiglia di T. S. Eliot: La necessità dei classici

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