martedì 10 dicembre 2019

La Bellezza. Sesta parte

Università dell'Insubria


Sono in partenza per Varese dove domani dalle 11, 15 alle 13 presenterò il percorso sulla Bellezza agli studenti del liceo Cairoli nell’aula magna dell’Università dell'Insubria. Credo sia aperta al pubblico

Il bello - to; kalovn - e l’utile - to; sumfevron  -

Aristotele Politica 1311a
Lo scopo del tiranno è il piacere (to; hJduv), quello del re to; kalovn, la bellezza.
Nella Retorica (1389b) Aristotele, sparlando a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto di essere egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~). 

Secondo Jaeger nella cultura greca"la considerazione dell'utile è indifferente o ad ogni modo accessoria e l'elemento decisivo è invece il kalovn, cioè il Bello, col valore impegnativo d'un miraggio, d'un ideale...Dai poemi di Omero alle opere filosofiche di Platone e Aristotele la parola kalovn, "il bello" denota una delle più significative forme del valore personale. In contrasto a parole come hjduv o sumfevron, il piacevole o l'utile, kalovn significa l'ideale... Un'azione è fatta dia; to; kalovn, ogni volta che esprime semplicemente un ideale umano come fine a se stesso, non quando serve a un altro fine."[1]

Nel romanzo I demoni di Dostoevskij, Stepan Trofimovič, del resto un personaggio negativo, liberal - occidentalista, afferma che l’umanità potrebbe vivere senza la scienza “solo senza la bellezza non potrebbe, perché non ci sarebbe nulla da fare al mondo! (...) La stessa scienza non resisterebbe un minuto senza la bellezza!”
 (p. 524).

Bellezza e didattica. Dalla mia metodologia
59. 4. Le frasi belle sono la luce del pensiero e colpiscono la sfera emotivaBettini: la citazione antologizza il classico fino alla carne viva. Fellini, Seneca, Leopardi e CarlyleManzoni: l’utile, il vero e l’interessante. La bellezza eleva anche la virtùDobbiamo scegliere testi che piacciano prima di tutto a noi. Borges: non ho insegnato la letteratura inglese ma l’amore per certe frasi. Tolstoj. Luperini e la scelta libera dei testi. La Mastrocola e il piacere della condivisione. Alfieri aveva la testa “antigeometrica” e, invece, “genio per le cose drammatiche”. Nietzsche e l’arte che anestetizza il dolore. Proust: il lavoro dell’artista è un rivelamento di noi stessi.
Vanno segnalate, possibilmente citate a memoria, le frasi belle che sono la luce del pensiero, la sua parte poetica e artistica che, colpendo la sfera emotiva, si presta a essere ricordata. Citare non è saccheggiare: “Agli occhi dell’artista un pensiero in quanto tale non avrà mai un gran valore di proprietà. A lui importa che possa funzionare nell’ingranaggio spirituale dell’opera”[2].
“Esiste comunque un metodo sicuro, e soprattutto molto rapido, per rendere sfizioso qualsiasi classico: quello della citazione. La citazione infatti antologizza il classico fino alla carne viva, gli attribuisce una tale misura minimale che a questo punto la sfiziosità è comunque garantita. Questo spiega perché, negli ultimi tempi, le raccolte di citazioni si sono moltiplicate (mettendo inaspettatamente in buona compagnia la gloriosa Ape Latina di Fumagalli) : tanto che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, le grandi librerie dispongono addirittura di un apposito settore in cui sono allineati i libri di citazioni di ogni possibile letteratura. Il fatto è che, nella citazione, il classico diventa talmente piccolo da poter entrare persino in una “battuta”.[3]

Sentiamo Fellini: "Il bello sarebbe meno ingannevole e insidioso se cominciasse a venir considerato bello tutto ciò che dà un'emozione, indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che da quello estetico. Il bello è anche buono. L'intelligenza è bontà, la bellezza è intelligenza: l'una e l'altra comportano una liberazione dal carcere culturale"[4].
Un'idea simile si trova in una epistola di Seneca:"advocatum ista non quaerunt: adfectus ipsos tangunt et natura vim suam exercente proficiunt (… )erigitur virtus cum tacta est et inpulsa" (94, 28 e 29), queste parole belle[5] non hanno bisogno di un difensore: toccano direttamente la parte emotiva e giovano grazie alla natura che esercita la sua forza…la virtù si drizza quando viene toccata e stimolata.
“qual altro è il proprio uffizio e scopo della poesia se non il commuovere, così o così, ma sempre commuover gli affetti…Bello effetto[6] di un dramma, di una rappresentazione, di una poesia; lasciare di sè tal vestigio negli animi degli spettatori o uditori o lettori, come s’e’ non l’avessero né veduta né letta. Meglio varrebbe essere stato a uno spettacolo di forze, di giuochi equestre, e che so io, i quali pur lasciano nell’animo alcuna orma di maraviglia o di diletto o d’altro”[7].
“Da questo punto di vista, anche una frase di Goethe, tra le altre, che ha molto stupito parecchi, può avere un significato: “Il Bello - egli dichiara - è più alto del Bene; il Bello avvolge in sé il Bene”. Il vero Bello, come del resto ho detto altrove, “differisce dal falso come il cielo differisce dall’inferno”[8].

“Il nobile favorisce la bellezza dell’uomo, l’uomo comune la bruttezza”[9].
La bellezza dunque è spesso morale, eleva anche la virtù, e comunque, quale strumento didattico, serve a catturare l'attenzione degli studenti, degli ascoltatori in genere; senza l'attenzione di chi ascolta, il lovgo" di chi parla si degrada a un verso di papero.
L'attenzione si ottiene con racconti interessanti, quindi belli, e non inutili. Lo dichiarano Tucidide e Polibio nelle loro Storie, e pure Manzoni nella Lettera a Cesare d'Azeglio[10]:"Il principio di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo".
Interessante è la bellezza. Negli scritti come nelle donne e negli uomini.
Orazio : “aut prodesse volunt aut delectare poetae,/aut simul et iucunda et idonea dicere vitae” (Ars poetica, 333 - 334), i poeti vogliono o giovare o dilettare, e dire cose insieme piacevoli e appropriate alla vita.
 Inoltre il poeta di Venosa suggerisce la brevità (esto brevis, v. 335), la verosimiglianza e, di nuovo, l’unione di utilità e piacevolezza: “omne tulit punctum qui miscuit utile dulci,/lectorem delectando pariterque monendo” (343 - 344), ha preso punteggio pieno chi ha mescolato l’utile al piacevole, dilettando il lettore e nello stesso tempo, ammaestrandolo.

I testi che scegliamo devono piacere innanzitutto a noi. Se non piacciono a noi tanto meno potranno piacere a quanti li racconteremo
 A questo proposito sentiamo J. L. Borges : "Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi… Non ho insegnato agli studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[11].

Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: "Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila, e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo: "E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli possono decidere se il maestro conosce e ama la sua materia"[12].

“Non si può fare leggere dei testi solo per obbedire a una costrizione e cioè perché sono imposti da un programma o da un canone; l’insegnante deve invece mostrare, agendo all’interno della comunità ermeneutica della classe, che tali testi sono letti perché hanno un significato e un valore per noi (…) Né si può escludere a priori che un insegnante e la sua classe arrivino a conclusioni opposte rispetto ai presupposti iniziali, e cioè alla presa d’atto che un determinato testo o autore non abbia oggi un particolare valore e un significato e che sia perciò giusto leggere altre opere o altri autori”[13].
“Una cosa ti piace? Bene, la condividi. Io direi che esattamente questo è insegnare, niente di più: il piacere immenso della condivisione”[14].
Credo pure che non sia necessario, e nemmeno opportuno, che ciascuno studi tutte le discipline: ognuno deve dedicarsi presto a quelle per le quali è portato.
Vittorio Alfieri non era incline alla geometria: “Di quella geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati i primi sei libri di Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta proposizione; come neppure la intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa assolutamente anti - geometrica” ( Vita, 2, 4).
 Il maestro deve aiutare il discepolo a scoprire i suoi talenti e incoraggiarlo a farli fruttare: “Mi capitarono anche allora[15] varie commedie del Goldoni, e queste me le prestava il maestro stesso; e mi divertivano molto. Ma il genio per le cose drammatiche, di cui forse il germe era in me, si venne tosto a ricoprire o ad estinguersi in me, per mancanza di pascolo, d’incoraggiamento, e d’ogni altra cosa. E, somma fatta, la ignoranza mia e di chi mi educava, e la trascuraggine di tutti in ogni cosa non potea andar più oltre (Alfieri, Vita, 2, 4).
L'educatore deve essere un poco come l'artista e stimolare il pensiero: "Ogni parola, espressa da un talento artistico, si tratta di Goethe o di Fed'ka, si differenzia dall'espressione non artistica per il fatto che essa suscita una quantità innumerevole di pensieri, di immagini e di interpretazioni"[16]

"L'arte deve far brillare ciò che è significativo fra ciò che è inevitabilmente o invincibilmente brutto"[17].
L’arte è un antidoto alla pubblicità inevitabilmente brutta.

L'arte deve riscattare, estetizzare e anestetizzare l'atroce e l'assurdo della vita, salvare l'uomo terrorizzato o disgustato dal pericolo della paralisi:" Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come una maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l'atrocità o l'assurdità dell'esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica dell'atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per l'assurdo"[18].

Questo lavoro dell’artista, vòlto a cercar di scorgere sotto una certa materia, sotto una certa esperienza, sotto certe parole, qualcos’altro, è esattamente inverso di quello che, in ogni istante, allorché viviamo stornati da noi stessi, l’orgoglio, la passione, l’intelligenza, e anche l’abitudine, compiono in noi, ammassando sopra le nostre genuine impressioni, per nascondercele, le nomenclature, gli scopi pratici, cui diamo erroneamente il nome di ‘vita’. Insomma, quest’arte così complessa è davvero la sola arte viva”[19].
“Perché l'esistenza offre interesse solo nelle giornate in cui alla polvere della realtà viene a mischiarsi sabbia magica, in cui qualche volgare incidente della vita diventa una molla fantastica"[20].

L’affettazione è brutta
l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza (28. Feb. 1821)[21].
Il contrario della sprezzatura è l’affettazioneIl kakovzhlon (mala adfectatio) in Quintiliano e nel trattato Sul sublimeBaldassarre Castiglione. Leopardi: affettazione e sprezzatura. Schopenhauer: l’affettazione come spia del difetto. Lo “stile insieme rozzo e affettato” del “buon secentista” induce Manzoni a “rifarne la dicitura”. L’affettazione di Gruscenka in I fratelli Karamazov. Lo snobismo, ossia la mala educazione, nella Ricerca di Proust. 
Partiamo da Quintiliano: “Kakovzhlonid est mala adfectatio, per omne dicendi genus peccat. Nam et tumida et pusilla et praedulcia et abundantia et arcessita et exultantia sub idem nomen cadunt. Denique kakovzhlon vocatur, quidquid est ultra virtutem, quotiens ingenium iudicio caret et specie boni fallitur, omnium in eloquentia vitiorum pessimum. Nam et cetera parum vitantur, hoc petitur[22] », la ricerca del brutto, cioè la tendenza al brutto, è un difetto in ogni genere di eloquenza. Infatti le parole ridondanti e le meschine e quelle molto sdolcinate e le ricercate e quelle sopra le righe cadono nella medesima categoria. Infine si chiama ricerca del brutto, tutto ciò che si trova al di là del valore, tutte le volte che l’ingegno è privo di senso critico, e viene ingannato dall’apparenza del bene, il peggiore di tutti i difetti nell’eloquenza. Infatti gli altri non si evitano abbastanza, questo viene ricercato.
Il vocabolo kakovzhlon (formato da kakov~ e zh'lo~ ) si trova già nel trattato Sul sublime (3, 4): l’Anonimo denuncia i difetti nei quali può incorrere chi compone opere letterarie. Tra gli altri l’enfasi o gonfiezza stonata (to; para; mevlo~ oijdei'n) e la puerilità (to; meirakiw'de~) che è una mentalità scolastica (scolastikh; novhsi~) la quale per pedanteria va a finire nella freddezza; scivolano in questo genere quelli che tendono allo straordinario, all’artificioso e soprattutto alla volontà di piacere, arenandosi nell’insignificante e nell’affettato (eij~ to; rJwpiko;n kai; kakovzhlon). 

Baldassarre Castiglione in Il cortegiano[23] prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura, un’apparenza di naturalezza "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia… " (I, 26).
 Parimenti la perfetta gentildonna "Non mostri inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa" . Infatti "somma disgrazia a tutte le cose dà sempre la pestifera affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità e la sprezzatura" Quindi la gentildonna non deve mostrare l'artificio :"questi vostri difetti di che io parlo vi levano la grazia, perché d'altro non nascono che da affettazione, per la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio d'esser belle" (I, 40).

La bellezza può permettersi tutto: anche il tradimento.
Per quanto riguarda l'instabilità e l'inaffidabilità delle donne giovani e belle, Ovidio negli Amores è molto comprensivo: il tradimento infatti non sciupa la bellezza e perfino gli dèi lo concedono:" Esse deos credamne? Fidem iurata fefellit,/et facies illi quae fuit ante manet (...) Longa decensque fuit: longa decensque manet./Argutos habuit: radiant ut sidus ocelli,/per quos mentita est perfida saepe mihi./Scilicet aeterni falsum iurare puellis/di quoque concedunt, formaque numen habet " (Amores , III, 3, 1 - 2 e 8 - 12), devo credere che ci sono gli dèi? Ha tradito la parola data,/eppure le rimane l'aspetto che aveva prima...Era alta e ben fatta; alta e ben fatta rimane./Aveva gli occhi espressivi: brillano come stelle gli occhi,/con i quali spesso la perfida mi ha ingannato./Certo anche gli dèi eterni permettono alle ragazze/di giurare il falso, e la bellezza ha una potenza divina.
Bellezza e virtù. La bellezza purtroppo è fugace.

"Non certo per i miei farmaci[24] ti odia lo sposo/ ma se non sei adatta a vivere con lui./E' un filtro amoroso anche questo: non la bellezza, o donna,/ ma le virtù fanno felici i mariti." (ouj to; kavllo", w\ guvnai - ajll j ajretai; tevrpousi tou;" xuneunevta" Euripide, Andromaca, vv. 205 - 208 ). Andromaca istruisce Ermione.
Alla fine del IV libro del De rerum natura, Lucrezio riconosce che ci si può innamorare di una muliercula deteriore forma (1279) quando piacciono i suoi modi affabili - morigeri modi - et munde corpus cultum l’eleganza. Ci si abitua e consuetudo concinnat amorem (1283) ciò che subisce colpi infatti prima o poi cade. Le gocce d’acqua scavano i sassi

 Ovidio nei Medicamina faciei (1 d. C.) : scrive che l'aspetto piace se anche il carattere è attraente (ingenio facies conciliante placet, v. 44), sicché il poeta raccomanda la tutela morum (v. 43), la cura del comportamento:"Certus amor morum est, formam populabitur aetas,/ et placitus rugis vultus aratus erit " (45 - 46), sicuro è l'amore del costume, la bellezza verrà devastata dall'età, e il volto piacente sarà solcato da rughe.
Nella Fedra di Seneca il secondo coro ricorda a Ippolito la precarietà della bellezza, un bene grande ma effimero:"Anceps forma bonum mortalibus,/exigui donum breve temporis,/ut velox celeri pede labĕris!/Non sic prata novo vere decentia/aestatis calidae despoliat vapor…ut fulgor, teneris qui radiat genis,/momento rapitur, nullaque non dies/formosi spolium corporis abstulit./Res est forma fugax: qui sapiens bono/confīdat fragili? Dum licet, utĕre./Tempus te tacitum subrǔet, horaque/semper praeteritā deterior subit" (vv. 761 - 765 e 770 - 776), la bellezza è un bene bifronte per i mortali, breve dono di un tempo corto, come scivoli via con piede veloce! Non così l'afa della torrida estate spoglia i prati dai bei colori all'inizio della primavera…come il fulgore che splende nelle tenere guance viene rapito in un attimo, e non c'è giorno che non rapini qualcosa a un bel corpo. La bellezza è roba fugace: quale saggio potrebbe fidarsi di un bene fragile? Finché è possibile fanne uso. Il tempo ti demolirà in silenzio, e subentra sempre un'ora più brutta di quella passata.



[1] Paideia , 1, p. 27 e nota 4
[2] T. Mann, Doctor Faustus, p. 731.
[3] M.Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 66.
[4] F. Fellini, Intervista sul cinema, a cura di G. Grazzini, p. 114.
[5] Ha citato una sentenza di Publilio Siro e un emisticho dell'Eneide (X, 284).
[6] E’ ironico ndr.
[7] Leopardi, Zibaldone, 3455 - 3456.
[8] T. Carlyle, Gli eroi (del 1841), p. 117.
[9] K. Jaspers cita Confucio in I grandi filosofi, p. 255.
[10] Del 1823.
[11] Dall'articolo di P. Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole - 24 ore” del 13 gennaio 2002, p. 33.
[12] Educazione e formazione culturale (del 1862), in Quale scuola? , p. 116.
[13] R: Luperini, Insegnare la letteratura oggi, p. 98.
[14] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 50.
[15] Nel 1760, quando il ragazzino, nato nel 1749 aveva undici anni ndr.
[16] Tolstoy, I ragazzi di campagna devono imparare da noi (del 1862), in Quale scuola? , p. 126.
[17] F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, p. 64.
[18] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 56.
[19] M. Proust, Il tempo ritrovato, p. 228.
[20] M. Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 469,
[21] Zibaldone 705.
[22] Institutio oratoria, VIII, 3, 56.
[23] Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne pubblicato nel 1528.
[24] Con i favrmaka (v.205) e il fivltron (v. 207) Andromaca allude ai filtri e alle droghe delle maghe del mito e della letteratura: Circe, Calipso, Medea.

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