giovedì 5 dicembre 2019

L'economia vista come antitesi della religione


Dalla mia metodologia che esporrò ai colleghi del Liceo Cairoli di Varese il pomeriggio del’11 dicembre

Religione ed Economia
Con una bella sintesi T. Mann definisce la religione: "il senso e il gusto dell'infinito"[1].
L’economia, da alcuni autori e personaggi della letteratura, è considerata l’antitesi della religione, o perfino dell’umanesimo inteso come amore per l’uomo : " E poi viviamo in un’epoca economica: l’economia è il carattere storico del nostro tempo… Nell’economia si vede sempre più la mancanza dell'infinito"[2].
“Voi Italiani avete inventato i cambi e le banche, che Dio ve la perdoni, ma gli Inglesi inventarono la dottrina economica, cosa che il genio dell’uomo non potrà mai perdonare…I Padri della Chiesa hanno condannato le parole “mio” e “tuo”, hanno dichiarato usurpazione e ladrocinio la proprietà privata (…) Essi erano sufficientemente umani, sufficientemente antiaffaristici da chiamare l’attività economica un pericolo per la salvezza dell’anima. Odiarono il denaro e il traffico del denaro, chiamando la ricchezza capitalista tizzone d’inferno (…) essi chiamarono usura ogni speculazione e dichiararono ogni ricco: ladro o erede di un ladro. Oh, arrivarono molto in là. Come Tommaso d’Aquino, videro nel commercio in generale, nel puro traffico commerciale, nel comprare e vendere, insomma nel trarre vantaggio da una circostanza che non implica la lavorazione e il miglioramento del patrimonio trafficato, un atto riprovevole”[3].
Sant’Ambrogio[4] nel De Nabuthae già ricordato da papa Francesco[5], scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed de suo reddis” (53), non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora Gezabele, la noglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
Dunque: “Nabuthae historia tempore vetus est, usu cottidiana”.

“Per quanto parli di economia, il nostro tempo è un dissipatore: sperpera la cosa più preziosa, lo spirito”[6].

Leopardi in Il pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte della sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi: "anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).


[1] Doctor Faustus, (1947) p. 119.
[2] T. Mann, Doctor Faustus, p. 163 e p. 164.
[3] T. Mann, La montagna incantata, II, p. 41 e p. 67. E’ Naphta che parla.
[4] 340-397
[5] Cotidie Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio claudit sepulchri ( AmbrogioDe Nabuthae,1 -.2)
[6] Nietzsche, Aurora, p. 130.

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