venerdì 6 dicembre 2019

La Bellezza. Terza parte. Isocrate, Cicerone, Platone

Dal set del film Morte a Venezia di Luchino Visconti

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Isocrate la bellezza delle parole (Panegirico, 47 - 49
)

Tîn d lÒgwn tîn kalîj kaˆ tecnikîj
™cÒntwn oÙ metÕn to‹j faÚloij¢ll¦ yucÁj eâ fronoÚ -
shj œrgon Ôntaj, kaˆ toÚj te sofoÝj kaˆ toÝj
¢maqe‹j dokoàntaj enai taÚtV pleston ¢ll»lwn diafš -
rontajœti d toÝj eÙqÝj x ¢rcÁj leuqšrwj teqram -
mšnouj ™k mn ¢ndraj kaˆ ploÚtou kaˆ tîn toioÚtwn
¢gaqîn oÙ gignwskomšnouj™k d tîn legomšnwn m£lista
katafane‹j gignomšnoujkaˆ toàto sÚmbolon tÁj paideÚ -
sewj ¹mîn ˜k£stou pistÒtaton ¢podedeigmšnon, kaˆ toÝj
lÒgJ kalîj crwmšnouj oÙ mÒnon ™n ta‹j aØtîn dunamšnouj,
¢ll¦ kaˆ par¦ to‹j ¥lloij ™nt…mouj Ôntaj.

Dei discorsi belli e ben costruiti non hanno parte gli sciocchi, ma essi sono opera di una mente capace di pensare.
 Le persone reputate sagge e quelle reputate ignoranti, sono differenti tra loro soprattutto in questo, e coloro i quali sono stati educati da persone libere, non si riconoscono dal coraggio, e dalla ricchezza e da altri beni del genere, ma riescono evidenti soprattutto dai loro discorsi, e questo è il segno più sicuro ed evidente dell’educazione di ciascuno di noi
 Quelli i quali impiegano con bellezza l’eloquenza non solo sono potenti nelle loro città, ma vengono onorati anche presso gli altri

Altro punto di vista: Tirteo (seconda metà del VII secolo)
 Il bello (kalòn ) è il valore supremo, ed esso coincide con il morire per la patria
"è bello morire (Teqnavmenai ga;r kalovn) da uomo valoroso cadendo tra i primi
 e combattendo per la propria patria"(fr. 6D. vv.1 - 2).

 Vediamo dal De officiis di Cicerone che cosa è il decōrum, il prevpon, ciò che si addice a una persona per bene.
Coincide con l’honestum.
Quello che decet è agire prudenter, considerate, con prudenza e ponderazione, mentre dedecet falli, errare, labi lasciarsi andare, decipi (cfr. to deceive).
E’ decorum quello che si compie viriliter animoque magno (I, 94). Del decorum fanno parte moderatio et temperantia, moderazione ed equilibrio. La natura ha assegnato al personaggio uomo le partes constantiae, moderationis, temperantiae, verecundiae, e ci insegna a non trascurarle.
La pulchritudo corporis è data dall’apta
compositio membrorum (I, 98), dalla proporzionata disposizione delle membra, quando inter se omnes partes cum quodam lepōre consentiunt, costituiscono un insieme armonico con una certa piacevolezza. Così lo stile di una persona deve essere caratterizzato ordine et constantia et moderatione dictorum omnium et factorum. Dunque il decorum, quod decēre dicimus, è non violare, non offendere homines. Mancanza di u[bri".
Fondamentale è l’armonia con la natura quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus (I, 100). Bisogna approvare motus corporis qui ad naturam apti sunt e pure motus animi qui item ad naturam accomodati sunt, appropriati. L’appetitusoJrmhv, deve obbedire alla ratio. Non siamo bruti e non dobbiamo vivere “seguendo come bestie l’appetito”[1].
 Efficiendum autem est, ut appetitus rationi oboediant (I, 101).
Seneca : Quid est ergo ratio? Naturae imitatio. Quod est summum hominis bonum? Ex naturae voluntate se gerere (Ep. 66., 39).
Bonorum unum propositum est consentire naturae (…) idem de virtutibus dico: omnes naturae adsentiuntur” (Ep 66,. 41)

Questa è in un certo modo la paura dell’istinto che Nietzsche considera sintomo della decadenza. Una paura che risalirebbe a Platone e a Socrate. Poi però l’istinto esplode: cfr. Penteo nelle Baccanti o Aschenbach nella Morte a Venezia.

Nel Fedro di Platone l’appetitus è raffigurato nel cavallo nero che è brutto: skoliov~, storto, poluv~, grosso, eijkh'/ sumpeforhmevno~[2], ammassato a casaccio, kraterauvchn, di collo grosso, bracutravchlo~, dalla cervice corta, simoprovswpo~, dal muso schiacciato, melavgcrw~, di pelo nero, glaukovmmato~, dagli occhi chiari (grigio - azzurri), u{faimo~, sanguigno, u{brew~ kai; ajlazoneiva~ eJtai'ro~, compagno della prepotenza e della iattanza, peri; w\ta lavsio~ , villoso intorno alle orecchie, kwfov~, ottuso, mavstigi meta; kevntrwn movgi~ uJpeivkwn, una bestia che a stento si assoggetta a una frusta con pungoli.
Nel sistema platonico il cavallo bianco è lo qumoeidev~, la parte irascibile che si allea alla razionalità, logistikovn, contro il cavallo nero, l’ejpiqumhtikovn.
Per comprendere questo bisogna vedere com'è la natura dell'anima.
E' immortale poiché si muove da sola: yuch; pa'sa ajqavnato"/ : to; ga;r aujtokivneton ajqavnaton. Descriviamola con immagini: assimilandola alla potenza della stessa natura di una coppia di cavalli alati e di un auriga. Uno dei cavalli però non è buono. L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il coraggio, il nero l'appetito.
Il cavallo bianco è bello, buono e di buona razza, l'altro il contrario:"tw'n i{ppwn, o me;n kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo""(Fedro, 246c).
Le anime seguono gli dèi in una processione festiva intorno al cielo e danno ordine alle cose. La meta del giro è la piana della realtà ( jAlhqeiva" pedivon, 248b) dove la processione si ferma e gode di un riposo sabbatico. Nella pianura c'è il pascolo congeniale alla parte migliore dell'anima. Questa pianura si trova in un uJperouravnio" tovpo" (247c), un sito sopraceleste dove stanno le idee: essenze che essenzialmente sono, senza colore, figura, toccabilità. A volte, per colpa dell'auriga che non riesce a controllare il cavallo nero, gli uomini cadono in terra e non tornano in cielo finché non siano ricresciute le ali che si possono riottenere mediante il ricordo delle idee. Chi segue tali ricordi è un entusiasta. L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo.

Solo la bellezza ha ricevuto questa sorte di essere l’idea che rimane più manifesta e amabile qua sulla terra. Del resto nella pianura della realtà, met’ ejkeivnwn, tra quelle idee, e[lampen o[n, quella della bellezza brillava come essere (Fedro, 250d).
Chi vede una bella persona e ricorda la bellezza ideale, la contempla e venera religiosamente, e gli spuntano le ali.
Il ricordo fa crescere l’ala attraverso tutta l’anima: pa'sa ga;r to; pavlai pterwthv (251b), infatti un tempo l’anima era tutta alata.
Se invece uno non è un nuovo iniziato (mh; neotelhv~) o è corrotto (diefqarmevno~), non si eleva da quaggiù a lassù ejnqevnde ejkei'se, verso la bellezza in sé (pro;~ aujto; to; kavllo~), sicché non onora la bellezza, ma hJdonh'/ paradou;~ tetravpodo~ novmon, dandosi al piacere secondo l’uso delle bestie, cerca di montare e di seminar figlioli (baivnein ejpiceirei' kai; paidosporei'n, 250e), oppure si dà a rapporti contro natura. 
Vedendo la bellezza, ci ricordiamo di quando eravamo ajpaqei'" e kaqaroiv, senza dolori e puri, e contemplanti, ejpopteuvonte", intere, semplici, immobili e beate visioni favsmata , in pura luce e non eravamo marchiati da questa tomba che ora portiamo in giro e chiamiamo corpo, chiusi al modo di ostriche (250). Ognuno si innamora di una bellezza che gli ricorda il dio che seguiva.
Conoscere è ricordare (Menone). Anche amare dunque è ricordare.
Chi andava dietro a Zeus è attirato da un amante filosofov" te kai; hJgemoniko;" th;n fuvsin, 252e.
Si tende a dare all'amato la natura del proprio dio.
Il cavallo bianco dunque, nobile è bello, pudìco e ragionevole si lascia guidare senza la frusta, con l'uso della ragione; è di figura diritta e snella, ha gli occhi neri e ama la gloria.
 L'altro, il nero, di una struttura contorta e massiccia, è insolente, vanitoso e peloso fino alle orecchie. Questo porta l'amante verso l'amato.
L'auriga vedendo la bellezza, cade riverso all'indietro, il cavallo bianco, smarrito inonda di sudore l'anima intera, ma il nero infuria, allunga il collo e rizza la coda ( ejgkuvya~ kai; ejkteivna~ th;n kevrkon), quindi tira avanti con impudenza:"met j ajnadeiva" e{lkei" (254d).
L'auriga tira indietro il morso, gli insanguina la lingua malvagia e le mascelle e lo dà in preda ai dolori. Allora il cavallo brutto e cattivo si lascia frenare e quando vede la persona bella viene meno per la paura (fovbw/ diovllutai 254e).
Così l'amato diviene oggetto di culto e accoglie l'innamorato presso di sé: infatti tra i buoni non può non nascere l'amicizia (255b). L'amato sente che nessun altro, compresi i famigliari, può offrirgli qualcosa di paragonabile a quanto gli offre questo amico posseduto da un dio.
Allora il flusso d’amore scorre dall’innamorato all’innamorato, li riempie e trabocca (e[xw ajporrei`, 255c).
Il flusso della bellezza (tou` kavllou~ rJeu`ma) va e viene dall’uno all’altro
 Quindi la corrente di bellezza attraverso gli occhi raggiunge l'anima, la eccita al volo e irrora i condotti delle penne (ta;~ diovdou~ tw`n pterw`n) stimolando la crescita delle ali.

Se prevalgono gli elementi migliori dell'anima, questi si oppongono ai peggiori met j aijdou'" kai; lovgou, con pudore e ragione, ed essi sono ejgkratei'" auJtw'n, padroni di se stessi, kai; kovsmioi.
Allora queste le parti più elevate dell’anima conducono a una vita ordinata e alla filosofia (256b).
Quindi, alla fine della vita, diventati alati e leggeri - uJpovpteroi kai; ejlafroi; gegonovte" - costoro hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche necessarie per tornare in cielo.
I due amanti che che hanno seguito un tipo di vita piuttosto grossolano e non da filosofo, cercando l’onore, non mettono le ali, ma sentono la sollecitazione a rivestirsene purché mantengano i pegni di fiducia reciproci sia durante l’amore sia dopo..
Ma l'intimità con chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera grettezza - ajneleuqerivan - e condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di intelletto (256e).
 Dunque, dice Socrate, Amore, io ho fatto la palinodia; tu non negarmi il tuo talento amoroso e concedimi di essere onorato dai belli, più di prima:" divdou d& e[ti ma'llon h] nu'n para; toi'" kaloi'" tivmion ei\nai".
Fai ravvedere anche Lisia e volgilo all'amore della sapienza come il fratello Polemarco. Lisia dunque è stato battuto perché non sa cosa sia l'amore.


[1] Dante, Purgatorio, XXVI, 84.
[2] Da sumforevw.

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