martedì 24 settembre 2024

Ifigenia CXXX e CXXXI


 

 

Ifigenia CXXX Il demone tentatore

 

 

Nell’intervallo andai a bere il caffè, non con Ifigenia purtroppo che villeggiava lontana, ma con Alfredo che sedeva vicino a me nel banco dei vecchi studenti, o studenti pensionati, come ci chiamavano le matricole, non senza ragione.

  Alfredo propose: “amico mio, perché non ci diamo da fare con “un paio di finniche delle quali tu hai, se non sbaglio, tante belle esperienze?

Lo guardai con aria di scherzosa riprovazione e canticchiai “Sempre andrai farfallone amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando,/ delle belle turbando il riposo,/ narcisetto adoncino d’amor[1].

 

Poi, assunta una faccia quasi severa, risposi: “No, amico carissimo, scusami ma quest’anno non voglio: ho promesso la mia fedeltà a una donna splendida, quella collega giovane che hai conosciuto. Non hai visto che è fatta come un’opera d’arte ? Non voglio rischiare di perdere una relazione seria con tale bellezza per un’avventura mensile. Non sarebbe utile oltre non essere onesto”.

 

“Ma va’ là” ribatté quel demone tentatore. “Non ricominciare a fare il fighetto . Ora  vuoi fare il filosofo morale. In un modo o in un altro tu vuoi distinguerti sempre: qui tutti tradiscono! Le donne prima e più volentieri degli uomini! E Ifigenia, cosa credi che faccia? Dov’è in questi giorni?”.

 

“Dalle parti di Rimini”, gli ricordai.

 

“Ah, già. Me l’hai detto. A Rimini ci sono numerosi i puntatori di femmine che gocce d’acqua nel mare. La città di Fellini è un circo più popolato, incasinato e frenetico di Debrecen. A parte Rimini poi, una volta che venni a trovarti nel vostro liceo, ho visto la tua donna, una bellona senza dubbio, però se la spassava abbracciata con un giovane uomo. Allora non te lo dissi perché pensavo che nemmeno tu le fossi fedele. Sei matto? Quella era proprio avvinghiata al ganzo suo. “Son qui tra le tue braccia ancor,  avvinta come l’edera ! ”, cantava Nilla Pizzi, quando eravamo bambini. Ora non lo siamo più, e tu non puoi vedere il tutto nel nulla”.

 

“ Sei tu  che vedi il nulla nel tutto di Ifigenia”, replicai ricordando Leopardi[2].

 

Ma aveva ragione l’amico, oggi defunto purtroppo. Avrei dovuto ascoltarlo.

 

Quel giorno di primavera Ifigenia si era accorta di essere stata osservata e, immaginando che sarebbe stata denunciata, prevenne la delazione e mi raccontò quell’episodio, spiegandomi che l’uomo era un suo amico d’infanzia un po’ strambo, uno studente-tassista. Tra loro c’era solo un sodalizio amichevole. Allora rimossi il sospetto  per favorire la sopravvivenza della relazione ancora abbastanza vivace.

 

Comunque in luglio risposi: “Lo so, Alfredo caro, lo so: me l’ha detto lei stessa. Quello è un suo amico. Quanto al casino di Rimini, se Ifigenia mi ama, non mi tradisce, come io non la tradisco in questo casino. Debrecen poi sarà un casino per te e le mie zie; per me è stato il luogo degli amori più belli dei miei, dei nostri vent’anni lontani. A Helena, Kaisa e Päivi io devo buona parte della mia umanità e della mia felicità. A te, amico mio, ora devo un rifiuto”.

“Non te la prendere”, ribatté Alfredo. Quindi  riprese l’attacco: “Però toglimi una curiosità: come fai a dire che lei ti è fedele? Come puoi essere sicuro che ti ami o ti voglia bene? Quante lettere ti ha scritto da quando siamo arrivati a Debrecen? Ricordati che una nave ormeggiata con una sola ancora non è per niente sicura. Cercati un’amante anche qui: arricchisci la tua collezione, fanne una raccolta per il  museo dei tuoi amori!”

Il tentatore cercava di strangolare la mia fiducia in Ifigenia stringendo ogni cosa bella con il suo pugno infernale. Ero turbato, ma cercai di non darlo a vedere per non subire  commenti ironici e maliziosi.

“Se incontrerà uno che le piacerà molto, me lo farà sapere subito con un telegramma. Altrettanto farò io. Siamo d’accordo così. In ogni caso io non infrango il patto. Ho promesso e non rompo la fede. E anche tu non rompere più”.

Dissi quest’ultima frase così bruscamente che si diede per vinto.

“Fa’ un po’ come ti pare”, brontolò e si allontanò, per cercare, forse, un altro compare di caccia amorosa, o di merende con burle e bevute.

Improbus”, pensai nella mia ingenuità già annosa. Non avevo capito che quel compagno di colazioni e lezioni non aveva torto. Stavo commettendo un errore mentale, amoroso e pure politico poiché le angosce  inflitte da  quella donna avrebbero sottratto energie al mio lavoro dedito al bene comune, alla scuola, e, dopo tutto, alla polis.

 Sentivo che qualche cosa non andava, che si profilava un autunno lugubre.

Ma non volevo ammetterlo.

Quindi, per liberarmi da pensieri e dubbi penosi, andai a correre i 5000 metri nel caldo sicuro e luminoso del mezzogiorno. Le membra divinamente compatte dal vincolo dell’armonia e della salute dovevano conservare l’ottima forma conquistata con impegno e sacrifici,

 

Ifigenia CXXXIII. Il test sulla pista. La piscina di Debrecen

 

A mezzo il giorno dunque andai sulla pista dello stadio per correre i 5000 metri e meritarni il desinare delle 13, 30 nella mensa.

Un pranzo immeritato infatti è u{bri~ è scelleratezza. Percorsi i 12 giri e mezzo in un tempo inferiore alla volta precedente nonostante il caldo dell’ora.

“E’ segno-mi dissi-che il pensiero di Ifigenia e la tenacia della mia fedeltà mi rende più sano, più forte, migliore”. Il test della corsa a cronometro, a piedi o in bicicletta, non mente sul conto della salute della snellezza e pure della bellezza-fuscentur copora campo-raccomanda Ovidio[3].  

Nel pomeriggio  andai in piscina per non perdere l’abbronzatura presa al mare con Ifigenia. Amoreggiavo con  il sole e leggevo Proust, quando Alfredo mi venne vicino e sorridendo non senza sarcasmo disse: “Se la tua fidanzata è di parola e, come hai detto, ti dà tempestiva notizia delle corna che ti mette, puoi stare sicuro che fino a un paio di giorni fa non ti ha tradito, perché in collegio non c’è posta per te”.

Poi mi indicò una donna giovane molto,  bionda ma bella, una studentessa che aveva conosciuto nella mensa universitaria e invitato in piscina: era stesa su un asciugamano rosso orlato di giallo non lontana da noi; ci guardava non senza sorrisi con il viso poco abbronzato e con tutto il corpo ben fatto: snello, slanciato e formoso. Incarnava l’idea  della femmina umana fiorente, un po’ come la mia compagna, ma in versione scolorita.

Gli occhi erano azzurri . Troppo chiara nell’insieme rispetto ai  miei gusti.

“Vedi quella?-fece Alfredo - è un bel bocconcino. Io la punto. Io so’ sincero, Gianni: sono venuto qua per fare sesso. Quella ci sta”.

Invero, data la scarsa esperienza e l’avvenenza non travolgente del vecchio amico, la previsione mi sembrò non del tutto realistica.

Lo guardai per dirgli che la cosa non mi riguardava punto, ma lui continuò: “Tu Gianni fai l’anacoreta malato di mente qui a Debrecen dove il buon Dio ci ha riuniti per scambiare piacere e amore con le ragazze d’Europa: quella è una slava di Novi Sad e ha una sorella. Ancora più bella e non meno disponibile. Possiamo spassarcela in quattro, allegramente”.

“Un’altra volta”, gli dissi.

“Va be’, ma la prossima volta che vieni in questo paradiso dell’amore, cerca di non portarti dietro problemi di fedeltà.  Ti ricordi l’angoscia  del ’73 per l’Esmeralda, Hetera Esmeralda come l’hai chiamata più tardi?

Se non te ne liberavi in tempo, pensa, non beccavi la Päivi, il grande amore mensile del ’74”.

“Sì, tu  non hai tutti i torti, amico mio, ma Hetera Esmeralda con tutti i sui difetti mi è servita  a tenere i contatti con Bologna durante l’esilio patavino e mi ha dato una mano per uscire dalla scuola media di Carmignano di Brenta dove cominciavo ad ammuffire. Perfino il lavoro mi ha aiutato a trovare”.

“E Ifigenia che cosa ti fa trovare?”

“Qualche cosa di sano e di forte dentro di me. Senti, Alfredo, noi siamo amici e io ti voglio bene. Non ho dimenticato la tua generosità in diverse occasioni. Come quando venisti all’aeroporto di Rimini, il 20 settembre del 1974, a salutarmi e incoraggiarmi mentre partivo per la Finlandia ed ero incerto sul da farsi con Päivi incinta. Portasti perfino un regalo per lei. Poi quella storia non finì bene, come sai, ma il tuo gesto fu nobile e io te ne sono grato. La mia fedeltà però, almeno per qualche tempo, lasciala perdere. Non mi va di comportarmi diversamente da come ho deciso e ho promesso: mi sentirei un buffone, ne andrebbe della mia identità. Avrei paura di trasformarmi in un cane, o in  un altro quadrupede, che quando vede la bellezza, invece di contemplarla e onorarla, cerca di montarci sopra per ricavarne piacere e magari seminare tante piccole bestie. Non sono un animale e  nemmeno un funzionario della specie. Anche tu del resto hai l’età per prendere sul serio te stesso e gli altri. Quella ragazza bionda potrebbe esserti figlia; trattala con ogni riguardo, da quel signore che sei”.

“Ho capito. Ti saluto”, disse e desistette. Mi guardò immusonito e tornò dalla sua bella. Non ci provò più, con me dico, ma quando, con il volgere delle stagioni, gli dissi come era andata a finire la storia che ora sto raccontando a voi miei  lettori, fece: “Non te la prendere Gianni: pensa al ricevimento del Rettore dove hai beccato la Päivi, o alla festa della conoscenza dove Eros raduna femmine e maschi umani perché si amino, dove  hai conosciuto  Helena e Kaisa , tre donne che se non sbaglio sono state le più importanti della tua vita, se non altro per la costruzione della tua identità. Pensa a quante puoi trovarne ancora fino ai settanta anni e oltre, sempre che tu non venga paralizzato da scrupoli assurdi e ubbie prive di senso. Le donne vanno trattate come loro trattano noi. Né più né meno. Ti hanno tradito o lasciato quasi sempre, ora sta a te.”

“Sarebbe bello che ci trattassimo bene a vicenda, e io lo spero ancora”,

risposi con il barlume di ottimismo che mi era rimasto dopo tante vicende, non tutte  gioiose e belle.

  Pesaro  24 settembre  2024 ore 17, 04 giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro, II, 9, aria.

[2] "I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto" Zibaldone , p. 527.

Un concetto ribadito, nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri :" Diceva che i diletti più veri della nostra vita sono quelli che nascono dalle immaginazioni false; e che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uonini il niente nel tutto".

 

[3]  Ars amatoria I, 511, il corpo sia abbronzato grazie al campo Marzio.

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