domenica 29 settembre 2024

Ifigenia CXLV. I fiori che non colgo più.


 

Pochi giorni più tardi iniziò la scuola. Io tornai nella mia classe diventata una quinta ginnasio, Ifigenia ebbe confermate una decina di ore per alcuni mesi. Inoltre si ìscrisse  a una scuola di recitazione. Questa novità non mi dispiacque perché poteva suscitare altri interessi nella mia compagna e, se questi non l’avessero allontanata da me, ciò avrebbe significato che tra noi c’erano ancora gli scopi comuni necessari alla prosecuzione dell’ intesa non solo mentale ma anche sessuale. Alla carriera di insegnante Ifigenia non era interessata. Voleva diventare una grande attrice, ricca e famosa per giunta. A me la letteratura drammatica era sempre piaciuta e avevo già cominciato a scrivere una traduzione e commento dell’Edipo re di Sofocle, la tragedia con la quale avevo esordito trepido nel liceo di Imola due anni prima.

 Dunque qualcosa da fare insieme poteva esserci ancora: studiare e interpretare i grandi drammi, ciascuno a suo modo, comunque discutendone e scambiandoci idèe. Il “mio” Edipo re le piaceva.

Non mi spaventava la sua prospettiva, anzi pensavo che avrebbe potuto incentivare il mio scrivere. Piuttosto mi  sgomentava  vederla in certi momenti disgustata della scuola e priva di altri interessi, quando rimaneva silente nel letto con le braccia strette intorno alle ginocchia poste davanti alla faccia.

Allora la guardavo con pena come quando a Moena, in agosti remoti, dopo avere strappato una fiore da un prato, tornavo in paese, sedevo sull’argine del rio San Pellegrino e mi fermavo a osservare l’appassimento di quella creatura bella e variopinta ma troppo effimera e fragile:  mentre la osservavo vivace tra l’erba mi piaceva, e la trovavo ancora gradevole  subito dopo averla còlta in quanto mi comunicava allegria con i colori vivaci, le fibre sode, il sugo del gambo reciso, dopo alcuni minuti la visione del suo scololarsi e avvizzire, mi infondeva rimorso, malinconia e rabbia per la sua debolezza.

Quindi gridavo: “vattene via: sparisci nell’acqua!”

Quindi gettavo quel cadavere stinto nei gorghi del torrente perché lo portasse via presto, verso la tetra riva del paese dei morti.

 Ora i fiori li osservo vivi, variopinti, nutriti dalla terra e non me ne approprio più.

 

Pesaro 29 settembre 2024 ore 18, 31 giovanni ghiselli

 

p. s.

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