sabato 28 settembre 2024

Ifigenia CLXXXVI.

 

La stazione orientale di Budapest con l’esodo delle Fabulae Pannoniae

 

Percorsi la Rákóczi út fino alla Keleti Pályaudvar, la stazione da dove le finniche mie erano partite per tornare nei loro paesi poco caldi e dalla  frequenza umana assai rarefatta. Le donne di quella terra però  erano più evolute delle nostrane all’inizio di quel decennio che volgeva alla fine. Anche per questo le avevo amate e mi avevano contraccambiato. Poi erano sparite. Ifigenia dopo tutto non si era  dileguata. Meno fine delle magnifiche tre ma non meno formosa. Non rimpiangevo le finlandesi: sapevo già allora che  rimpiangere non favorisce il progredire. Se Ifigenia non funzionava, dovevo guardare oltre, non indietro.

 

I binari della stazione orientale di Budapest sono coperti da una gabbia metallica enorme, come quelli della stazione di Milano dove arrivai una volta con una delle mie donne italiane con la quale litigavo spesso e senza ragione. Probabilmente lo facevamo per eccitarci, visto che tra noi non avevamo interessi comuni  né c’erano  sentimenti buoni . In seguito avrei constatato che farsi del male a vicenda è il principale collante di molte coppie sciagurate.

 

Dal secondo binario, második vágány, erano partite le tre finniche accrescitive della mia vita. Erano salite su treni celesti. Ora sono signore tutte sopra i settanta. Forse sono già amiche celesti, come Fulvio e altri cari defunti. Come tanti miei consaguinei e pure gli auctores accrescitivi della mia vita. Sono tutti comunque dentro di me i defuncti, quelli che hanno compiuto la loro vita e hanno aiutato me a riempire di cose buone la mia.  

 

Helena, Kaisa e Päivi mi salutavano con tanto di lacrime. Anche io ero commosso ma non piangevo mai in pubblico perché le donne di casa mi avevano detto che un bambino, un maschio, non deve farsi vedere piangere mai. Poi me lo aveva confermato Tacito una dei miei autori preferiti: “Feminis lugere honestum est, viris meminisse "[1].

 In compenso piangevo spesso da solo, magari davanti a uno specchio come avevo visto fare dal gattopardo del film di Visconti, no dei miei modelli.

 

Congedandoci dicevamo: “spero di incontrarti ancora da qualche parte. Ti amerò sempre”. Era una scena, quanto quella dell’esodo che chiude i drammi, siccome sapevamo bene, io e ciascuna di loro, che il tempo molto bello del nostro amore, un mese fatale passato con gioia in quella lontana università incantata in mezzo a una foresta magica, era finito e non sarebbe tornato mai più. Ne avevamo coscienza fin dal prologo o addirittura dall’antefatto della nostra commedia, un dramma non volgare né falso bensì recitato e pure vissuto con bello stile dal primo all’ultimo giorno.

Spero di averlo reso scrivendo. Credo di sì.

 

Pesaro 28 settembbre  2024 ore 9, 43 giovanni ghiselli

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[1] Germania  27, 1. Alle  donne sta  bene piangere, agli uomini ricordare.

 

 

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