venerdì 20 settembre 2024

Ifigenia LXXXIII. Pensieri sul ponte.


 

Il pomeriggio del 13 aprile 1979 camminavo per Moena ricordando il passato per capire il presente.

Sul ponte che collega le due piazze centrali divise dall’Avisio transitavano ragazzi italiani e stranieri. Ricordai che Ifigenia volendo significarmi di essere una donna evoluta mi aveva detto che l’estate precedente aveva amoreggiato a Riccione appunto con degli stranieri quando il marito non c’era. Pensai che l’estate seguente avrebbe ripetuto,  rinnovato e rinverdito il rito. Questa volta l’eterno marito di tipo dostoevskiano sarei stato io pensai. Sulla fronte mi sarebbe spuntato “il bel noto ornamento”[1] che avrebbe spinto la mia testa a una sorta di beccheggio: su e giù per scacciare i brutti pensieri.

Poi però mi correggevo: “ma quale marito? Chi la sposa quella? Nemmeno se mi puntano una pistola alla tempia. Se non vuole più stare con me, vada pure con chi ne ha voglia. Anche con un battaglione di negri, come diceva comicamente Fulvio, maestro e amico. Pronunciava nègri come si fa a Parma.

“Condividere un’amante  con un altro uomo può essere una fortuna, come afferma lo Zeno di Svevo: la responsabilità è minore, la noia pure”, mi consolavo avvalendomi del mio solito abito letterario.

Mi venne in mente un film dove un uomo brutto entrava in un bar con un donnone.

Questa dopo un po’ si metteva a parlare con un orientale. L’uomo deforme che l’aveva accompagnata disse a un altro: “speriamo che si innamori del giapponese!”

“Perché speri questo?” fece quell’altro con aria stupita.

“Così  finalmente si toglie dai piedi”  rispose l’uomo brutto assai.

“In effetti se una se ne va con un altro- pensavo-  vuol dire che non sta volentieri con te e se rimanesse darebbe soltanto noia. Allora ponti d’oro

E dopo tutto non è male baciare chi se ne va. E’ il bacio più gustoso”

 

Con tali pensieri mi davo delle ragionoìi e mi astenevo dall’odiare, cioè dal soffrire inutilmente. Temevo nuove umiliazioni dopo le tante ricevute fin da bambino ma cominciavo a capire che viene umiliato solo chi si lascia umiliare. A me non doveva accadere mai più.

 

Osservavo di nuovo i monti dalle sembianze umane espressive, piene di significato. Come a Pesaro ho sempre tratto conforto dall’innumerevole sorriso della distesa marina, a Bologna dalle colline mentre le percorro in bicicletta all’insù e all’ingiù con pedalate eroiche e pure erotiche siccome nella natura cerco sempre forme femminili, a Debrecen dalle querce profetiche della grande foresta che promettevano grandi amori assegnati a me dal destino, così a Moena mi sollevo parlando a montagne antropomorfe  o meglio ginecomorfe, ed esse per loro umanità mi rispondono, mi fanno coraggio. Mi aiutano a superare ogni volta le difficoltà della vita, a diventare sempre meno insicuro e infelice.

Mi diedi a osservare il Piz Meda.

 

Pesaro 20 settembre 2024 ore ore 10, 46 giovanni ghiselli

p. s

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[1] Cfr. Dostoevskij, L’eterno marito, capitolo 4

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