lunedì 23 settembre 2024

Ifigenia CXIII. Il concubito pericoloso.


 

Ci incamminammo lungo la via che costeggia la spiaggia. A un tratto vedemmo un edificio enorme, tetro, cadente, situato fra la strada asfaltata e la riva renosa. Era circondato da una rete metallica tanto fitta di squarci che poteva essere attraversata anche da persone assai meno snelle di noi. Eravamo in costume da bagno. Avevo preso  un lenzuolo per la schiena di Ifigenia o per quella mia se avessi fatto l’amore beato e resupino come era solito Totò Merumeni con la cuoca diciottenne.

Tra la rete e il cupo edificio c’era un prato che sembrava quello della sciagura: pieno di morbi e putredine.

Vi si vedevano carte, lattine, bottiglie, siringhe, stracci sporchi, resti di fuochi e di sciagurati bivacchi. Doveva esserci stato un qualche sabba di streghe presiedute da Ecate o da altre incantatrici .

La brama amorosa doveva essere immensa per superare lo schifo della turpitudine sparsa dovunque. Attraversammo quella landa dell’orrore attenti a non rimanerne insudiciati o feriti, e giungemmo a tre gradini grandi ma sbrecciati che menavano a un corridoio. Li superammo con cautela e apprensione. Sull’andito macerie e sporcizia erano un po’ dappertutto :  si vedevano ovunque segni di caos: pezzi di soffitto caduto, di piancito crollato, di scale precipitate: doveva esserci stato  uno sfacelo non tanto remoto, una catastrofe scatenata dall’ira divina contro i malvagi fruitori di quel luogo ove ogni sorta di nefandezza era stata a lungo attuata.

A un certo punto però  quei discepoli di Satana non avevano trovato scampo. Da uno di quegli orribili mucchi sbucò una piccola serpe nera che saettò per alcuni metri fino a infilarsi in un altro  cumulo immondo. Due amanti meno ossessi sarebbero fuggiti via da quel posto infernale. Invece noi provammo a salire due lunghe rampe di scale senza ringhiera. Il piano di sopra presentava un pavimento non meno bucato e  più pericoloso di quello inferiore dato il dislivello, però era anche meno ingombro di schifezze. Lassù sentivamo con paura maggiore il problema della stabilità ma con minore urgenza lo schifo del luridume e il terrore di imbatterci in persone pazze e criminali.

La spinta erotica reciproca era ineluttabile, sicché ci mettemmo a cercare un luogo  appena plausibile finché trovammo uno stanzone deve si trovavano accumulate vasche gigantesche, forate in varie zone ma pur sempre gravose sul pavimento che perciò doveva essere duro. Pensammo che l’esiguo peso dei nostri corpi, non più di cento chili in due, non avrebbe aggravato granché quello delle vasche per ghiottoni obesi defunti oramai, né inficiato la resistenza dell’impiantito. Quindi stesi il lenzuolo da bagno sopra i pochi mattoni sgombri e lo pregai di svolgere la funzione di vello matrimoniale. Per lusingarlo lo chiamai vello d’oro e lo accarezzai.

In tale talamo facemmo l’amore diverse volte nonostante sentissimo rumoreggiare qualcuno o qualcosa e potessimo essere colti durante il concubito periglioso da qualche drogato o alcolizzato o delinquente pazzo pronto a spezzarci la schiena, il ventre, le gambe, insomma la vita.

 

Pesaro  23 settembre 2023 ore 18, 14 giovanni ghiselli

 

p. s.

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