lunedì 23 settembre 2024

Ifigenia CVIII e CIX.


 

Ifigenia CVIII. Le ferite antiche si riaprono.

 

Ifigenia è un nome circondato da un alone letterario, eppure profano;  l’alone di Helena,  la finlandese amata nel 1971, è non solo letterario ma pure sacro.

Mi accingo a procedere nel racconto della storia con la bella italiana. Cercherò di rendere interessante quanto di personale scrivo in modo che nei miei amori ciascun lettore possa riconoscere qualche cosa dei propri.

La sera del 30 giugno Ifigenia con una coppia di amici suoi e con il suo bambolotto più caro, Cicciobello, partì per Misano dove avrebbe passato il mese di luglio in una casetta presa in affitto e sulla spiaggia gremita.

Ricordo bene quella piccola casa perché c’ero stato un paio di volte e diverse volte mentre ero a Debrecen dove non cercavo l’amore come negli anni passati ma affaticavo il cervello chidendomi perché non mi scrivesse, oppure non arrivasse l’espresso promesso, falso dilemma, pensavo all’amante silente tra le pareti della sua stanza di notte, o nella cucina a bere il caffè dopo il riposo nel letto, speravo non agitato e scosso da chissà quale tanghero, mentre  di giorno Ifigenia si inebriava di luce e calore come una nera puledra muovendo le sue splendide cosce lisce e abbronzate sulla riva affollata e nelle strade intasate.

A quella casetta prossima al mare indirizzavo la posta ogni giorno  senza ricevere mai l’agognata risposta. Come succedeva con la mamma bella e bruna negli anni Cinquanta quando ero a Moena con le zie, e la madre mia si trovava a Pesaro dove spedivo lettere e catoline senza ricevere mai nulla da lei. Accadrà di nuovo con Päivi dopo la mia visita in Finlandia e l’aborto mai comunicato. Helena invece mi scrisse e mi rese conto di quanto aveva giustamente deciso. Ecco perché è diventata la suprema, la sublime tra le donne incontrate in questa vita mortale.

 

A mano a mano che i giorni passavano e la posta promessa non arrivava, si ripeteva l’antico dolore del bambino che si sentiva abbandonato, sicché  il silenzio ostinato  riapriva la ferita, anzi l’ulcera mai guarita del tutto, e l’amore per Ifigenia diveniva ogni giorno più brutto, più impuro, infettando la piaga che generava  dolore, risentimento, rancore.  Sospettavo ma non volevo ancora saperlo con tutto me stesso che non rispondere  significa non amare la persona che ti cerca e ti aspetta siccome c’è altro  da fare,  ci sono piaceri da ricevere e dare.  Avrei dovuto approfittarne per fare altre esperienze anche io se fossi stato meno pazzo. C’era una tedesca di Berlino che mi corteggiava assiduamente ma io la frequentavo solo da amico. Tra l’altro questa ragazza aveva un eloquio, pur in inglese, più ricco di contenuti interessanti, ossia politici, dello sciocchezzaio sentimentale, falso oltretutto, cui mi ero assuefatto negli ultimi mesi. Tali donne se ci piacciono per qualche motivo, prevalentemente carnale, dobbiamo prenderle come sono, senza soffrire se non sono colte né intelligenti né sante come la vergine madre o Maria Goretti da Corinaldo.

Le femmine non sante sono incarnazioni della carne. Volerle diverse da come sono è u[bri~, è dismisura mentale e morale. Al ritorno Ifigenia voleva continuare con me: se avessi avuto una relazione con la fanciulla germanica, la bionda Silvia,  avrei avuto l’anima in pace. Ma ero mezzo pazzo.

 

 

Ifigenia CIX . La commedia di Misano.

 

Domenica primo luglio le zie mi aspettavano a Pesaro, Ifigenia a Misano.

Partìi da Bologna assai presto per l’impazienza di vedere non tanto le due aspre vegliarde mie benefattrici del resto, quanto la giovane amante e collega. Sapevo che a tutte e tre mancava la mia presenza ed ero sicuro di essere accolto bene. Le zie erano contente del mio ritorno a Pesaro: mi avevano aiutato come fossi stato il figlio che non avevano avuto, un nipote e pure figlio adottivo di cui erano compiaciute perché simile a loro nel prendere la scuola molto sul serio; Ifigenia mi gradiva quale maestro che le indicava un metodo per procedere sulla via della vita. Questo credevo e forse c’era qualcosa di vero, ma c’era dell’altro.

Mi ero svegliato presto: la novità della situazione, degli ambienti dove avremmo recitato per diversi giorni le nostre scene mi infondeva emozioni diverse e indefinite. Non mi erano chiari i sentimenti delle tre donne nei miei confronti, né i miei verso di loro. Le zie erano benefiche ma volevano condizionarmi, limitare la mia libertà; Ifigenia voleva essere amata e pure utilizzarmi. Non era del tutto gratuita come Elena che voleva solo essere amata e amarmi per un mese in tutto. Non voleva prendere e darmi altro che amore fatto del resto anche di parole ornate e intelligenti.

 Questa è sempre rimasta per me la donna e la condizione ideale.

Partìi da Bologna che erano solo le sette ma il cielo era già bello e pieno voli.

L’appartamento preso in affitto da Ifigenia era al piano terreno: la piccola porta d’ingresso e le anguste finestre erano oscurate da una  scala a due rampe  addossate alla facciata verde della casetta: il sole nel mese di luglio, nei primi giorni di luglio, si affacciava con stento all’interno soltanto dalle dieci alle due del pomeriggio.

Gli odiatori della luce, dato che le loro opere sono malvagie, penseranno che quel buio era una fortuna d’estate; io invece vi lessi un triste annunzio di prossimi danni e ne fui rattristato. Il mio amore poteva appunto intristirsi in quell’ombra. Pensai che non l’avremmo fatto lì dentro.

Il fatto è che quella donna non mi convinceva.

 Ifigenia mi invitò a enrare nella camera dove si stese su un letto. Prese in mano un bambolotto, lo accarezzò e disse: questo non è Cicciotello ma  il supplente che ha sostituito la tua presenza in questi giorni. Ma ora tu sei qui grazie a Dio”. Dicendo questo lanciò lontano il pupazzo  e alzò un  trillo di gioia, poi mi baciò. Mi strinse le spalle, appoggiò una mano mia sul petto suo per farmi sentire il palpitare affrettato del cuore, come del resto faceva ritualmente ogni volta che ci incontravamo dopo una separazione anche breve.

Ifigenia disse che il desiderio pungente come un assillo di vedermi arrivare non l’aveva lasciata dormire tutta la notte. Poi mi indicò Cicciobello e disse che quel bambolotto era stata la sua unica consolazione in mia assenza.

Mi scrutava per vedere se mi lasciavo prendere dalla sua rete.

 

Una rete (a[rku~) è la compagna di letto (hJ xuvneuno~, Eschilo, Agamennone,  1115)

 

 La osservavo anche io e riflettevo, e ricordavo, e confrontavo come faccio quando leggo i testi e li studio. Notavo che le sue fessure oculari erano poco espressive: nascondevano qualcosa dietro quelle parole spropositate.  Ricordavo le fessure tartare delle finlandesi e rimpiangevo il loro parlare onesto. Vero è pure che c’era una perfetta simmetria nelle braccia, gambe, natiche e seni di Ifigenia. Anche troppa. Mi venne in mente che nemmeno  le colonne dei templi greci  presentano una regolarità assoluta, una concinnitas perfetta. Volevo andare via di lì e probabilmente anche lei. La commedia era finita ed era stata un fiasco. A nessuno dei due era venuta voglia di fare l’amore. Un segno brutto assai.

Camminammo verso la riva marina mentre il sole salendo nel cielo faceva retrocedere tutte le ombre riempiendo di luce e calore ogni angolo che non fosse ipogeo. Pensai che del resto anche l’Olimpo ha le radici nel buio dell’Ade. Quando fummo arrivati sulla spiaggia, la distesa marina che rifletteva quel fulgore abbagliante mi sembrò un grande scudo disteso dalle Nereidi per proteggersi dai raggi canicolari mentre danzano imprimendo sul fondo sabbioso le bellissime orme dei loro agili piedi.

“Devo partire – dissi- a Pesaro mi aspettano le zie per il desinare del tocco. Hanno cucinato per me”.

Usai il toscanismo di casa per significarle che con quelle donne avevo comunque molto in comune e mi stavano a cuore.

 Finalmente Ifigenia disse parole sensate: “non permettere che diano giudizi sul mio conto”

“Nemmeno sul mio devono darne”, risposi

 

Pesaro  23 settembre 2024 ore 17, 03 giovanni ghiselli

 

 

 

 

 

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