martedì 24 settembre 2024

Ifigenia CXXVIII. Discorsi politici.


 

 La rinuncia senza ragione del donnaiolo irretito e inceppato

 

Il dialogo sui “massimi sistemi” politici

La D.D.R. raccontava Silvia quella sera lontana,  è tiranneggiata da una schiera sostenuta dalla presenza massiccia dell’armata sovietica: nei confronti di tale dittatura burocratica-militare nessun dissenso è possibile; perciò nella Germania orientale non c’è libertà di espressione, né arte, né vita davvero umana.

Ero stato a Berlino est nel 1975, ospitato da un’amica figlia di un dirigente televisivo, nel suo piccolo, elegante appartamento sulla Unter den Linden dove viveva,  e, a dire il vero, avevo notato diversi aspetti non spiacevoli  nella città molto ordinata e pulita.

Perciò, quella sera di luglio del 1979, mi chiedevo se Silvia seguisse la moda sfacciata dei reazionari, magari nostalgici del nazismo, che dicevano ogni male di un paese scelto come dimora da persone di alta intellettualità quale Bertolt Brecht.

Tra l’altro la giovane donna che mi aveva ospitato, Martina, mi aveva fatto uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto da un’amica. Aveva detto: “tu non sei una persona ordinaria. Tu non giochi con il cuore delle persone”. Era sicuramente una giovane privilegiata nel suo paese e altrettanto sicuramente una donna tutt’altro che volgare. Più avanti ebbi modo di conoscerla bene e confermare la buona impressione.

Quest’altra tedesca poteva essere un’avventuriera fuggita dalla gigantomachia che avevo ammirato nel Museo berlinese di Pergamo: una scampata alla sconfitta di giganti e titani, quegli eterni nemici dell’ordine e della cultura debellati dagli dèi olimpici cosmizzatori del caos.

Questo pensavo.

Silvia però sosteneva che la cultura veniva penalizzata proprio dal governo della Germania comunista

Alcuni autori, diceva, sono introvabili, Scopenhauer, ad esempio,

 e Nietzsche considerati a torto i padri ideologici del nazismo con il loro irrazionalismo, pessimista e rinunciatario quello di Scopenhauer, aggressivo e velleitario quello di Nietzsche, come sosteneva irrazionalmente l’ungherese Lukács nel suo La distruzione della ragione.

Le risposi che Nietzsche era uno dei miei educatori, quale maestro di una cultura antiborghese, del “diventa quello che sei” ripreso da Pindaro, dell’amor fati, della fedeltà alla vita terrena, alla vita senz’altro.

Il fascismo, in effetti era ignoranza, luogo comune adatto ai gradassi fanfaroni, posa ridicola, spesso triviale.

“In Italia, aggiunsi, stanno tornando di moda l’ignoranza e la trivialità gradite alla feccia. I giovani crescono in un’atmosfera priva di idèe e di sentimenti buoni quale la solidarietà che nei primi anni Settanta era sentita come un dovere, un predicato di nobiltà morale: le idèe politiche di giustizia sociale nate nel ’68  sono state annientate dalle stragi, dalla droga, dalla mafia, dalla televisione volgare, dal consumismo plebeo che il potere incentiva. I libri buoni da noi si trovano, ma pochi li leggono,  e chi li legge, li capisce, li impara, ne divulga le idèe , viene boicottato dai dirigenti delle nostre istituzioni corrotte. Il preside  del liceo classico dove lavoro, per esempio, ha ostacolato in tutti i modi a lui possibili la mia opera di educazione attraverso gli autori classici. Nella mia scuola andare oltre i tecnicismi delle lingue e leggere gli autori per imparare da loro le parole e le idèe, invece che fermarsi alle sillabe è un delitto: chi legge gli auctores impara a pensare, quindi non dà sempre ragione all’autorità. Chi parla politicamente da noi è un sovversivo. Da noi in certi ambienti c’è di nuovo il fascismo: a scuola non si deve fare la politica vera, quella che si occupa della polis, della comunità, e aiuta a uscire dall’infelicità profonda dell’egoismo”.

“Nella D.D: R. –replicò Silvia- va peggio: là molti  libri non si trovano e tanto meno si può scrivere, o anche solo parlare, manifestando idèe contrarie al regime: ogni dissenso è vietato da una polizia prepotente e capillarmente informata da una fitta rete di spie. Vero è che non ci sono grandi sperequazioni retributive, la medicina e la scuola sono gratuite,

 ma questo è un magro compenso per chi crede che la realtà prima siano le idèe e non l’economia”.

“Secondo me venire curati e istruiti gratis non è un compenso piccolo per la povera gente -obiettai- e le idèe non sono indipendenti dall’economia, almeno non del tutto”.

Avevo delle riserve su questa donna, tuttavia i suoi discorsi, non eccelsi ma nemmeno del tutto banali, potevano interessarmi anche più dei baci già un poco stanchi di Ifigenia.

In ogni caso a Silvia Virág che nel parlare mi manifestava un inequivoco interessamento di femmina,  misi in chiaro che amavo una donna italiana, una compagna di letto e di spirito con la quale avevo stretto un patto di fedeltà equo e sacrosanto. Speravo ancora di potermi fidare e, soprattutto, quando siamo innamorati di una donna, o anche solo assuefatti a lei, magari tenacemente  male assuefatti, se per avventura ci capita di incontrarne un’altra disponibile e di qualità complessivamente non inferiore, può succedere che fuorviati dalla mania amorosa e dall’abitudine, seguitiamo a pensare che l’amante già nota valga di più. Allora la compagna di letto è diventata una rete che ti avviluppa o una ganascia che ti inceppa il cammino.

Ma forse tutto questo è troppo complicato e contorto e l’attrazione fisica è decisiva. Insomma, Ifigenia era più bella della Virág. Ancora mi piaceva la ninfa lasciata sulla riviera adriatica. E pure mi angosciava però.

Quella sera bevvi un decilitro di egri bikavér e mezzo litro di acqua. Ero in ottima forma e volevo restarci. Mi sentivo stilizzato, in una posa eroica. Il poco di caos residuo che rimaneva in me, doveva diventare forma. Volevo ridurre l’immane mia a stile semplice, ordinato, bello. Verso l’una tornammo in collegio. La salutai. Andai nel mio casto letto da solo come faceva il carissimo amico Fulvio, nel ’71 innamorato di Bruna che voleva sposare. Improvvidi io e lui, amici fraterni.

“Domani-pensai, in un momento di ottimismo da vero idiota, ricevo posta dalla mia donna bella, buona e fedele”.

Ma questo non era possibile, non era destino. Perciò non era bene, Placeat mihi, penso ora, quidquid deo placuit[1]. 

 

Pesaro 24 settembre   2024 ore 11, 41 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr. Seneca, A Lucilio, 74, 20

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