domenica 22 settembre 2024

Ifigenia XCII. Et lux facta est.


 

Uscivo dall’aula dove avevo tenuto una lezione bolsa, quasi distratta: mi rodeva l’ingiusta degradazione subita. Rimpiangevo i due presidi gentiluomini dei tre anni precedenti : Davide Ciotti del liceo Rambaldi di Imola e  Piero Cazzani del Minghetti che mi incoraggiavano e valorizzavano avendo compreso  quanto ardore di studio c’era dentro di me  e suscitavo negli studenti delle tre classi che mi erano state affidate.

 Il preside Tangheri, sopraggiunto in ottobre, invece mi aveva ostacolato fin dal primo giorno, messo su dalla sua vice cui non ero mai piaciuto. Ricordavo con nostalgia anche la vicepreside della scuola media di Carmignano, Antonia Sommacal che  mi aveva difeso da un altro preside tanghero e malevolo.

Antonia sarebbe stata una seconda mamma per me, poi sarebbe diventata la mia migliore amica. La gratitudine a chi ci ha fatto del bene non deve morire mai, anzi quel bene va fatto fruttificare e restituito moltiplicato. L’ingratitudine stigmatizza i plebei.

Dall’ottobre del 1978  tutto dunque era cambiato in peggio.

Con l’ottimismo necessario alla sopravvivenza pensai che prima o poi tutto sarebbe cambiato di nuovo: questa volta in meglio.

“Conosci quale ritmo tiene la vita degli uomini” mi dissi, ricordando Archiloco.

 

L’ottimismo dovuto a me stesso trovò quasi subito una conferma: il cupo edificio lucifugo a un tratto si spalancò e fece entrare la luce del cielo.

Ifigenia aspettava me a metà del corridoio: appena mi vide si mosse per abbracciarmi avanzando con fiammeggiante splendore, al pari di una cometa dalla chioma violacea: i capelli luminosi di gioventù e di bellezza, le spalle già molto abbronzate, il vestito rosso, perfino la borsa e le scarpine azzurre, incorniciavano evidenziando l’amabile sorriso dei denti bianchi come avorio tagliato, le labbra vermiglie come fragole e lamponi di Moena,e tutto il volto dove si incastonavano gli occhi neri che balenavano scintille di gioia e voluttà nel deprimente mortorio di via Nazario Sauro.

Come le fui vicino accostando la mia faccia alla sua, disse: “Gianni, sei bello!”

“Tu sei bella davvero” ribattei- io tutt’ al più sono un lepido moretto. Tu qua dentro sei un segno del cielo e della fiorita stagione. Ti amo quanto la luce del sole che è il primo fra tutti gli dèi da adorare”.

 

Dette queste parole diedi un’occhiata all’ambiente che ci attorniava: i docenti uscivano dalle classi con aria stanca, il preside gironzolava arcigno e maligno, i bidelli sgridavano i ragazzi troppo rumorosi che lasciavano cadere sul pavimento pezzetti di pizza o di carta unta. Lì dentro sarei stato annoiato e  depresso, magari pure ingrassato, canuto o calvo, e molto malato  se non mi avesse illuminato e incielato la luce di Ifigenia.

Questa annunciazione di gioia  mi fece pensare che  il prossimo mese di Debrecen non sarebbe bastato a intorbidare lo splendore con cui Ifigenia da mesi  mi illuminava la mente e la vita . In quel momento pensavo che la nostra meravigliosa intesa avrebbe superato la prova della separazione estiva con le sue tentazioni pressanti. Invece quel raggio divino, la luce più bella discesa dal cielo non riuscì a superare l’estate e si oscurò, si spense ancora prima che calassero invidiose le brume.

Gli amori durati un mese soltanto come quelli con le tre finniche dagli occhi da Tartare, o solo un giorno, come quello effimero con una collega sposata, conosciuta alla prova scritta di un concorso superato da entrambi e festeggiato insieme, o nemmeno iniziati ma soltanto sognati come l’innamoramento per  la  meravigliosa giovinetta bruna bruna Marisa nella scuola media Lucio Accio di Pesaro negli ultimi anni Cinquanta, lasciano ricordi più belli.

Io amo baciare chi se ne va. Chi resta prima o poi mi dà tanta noia. Perché sono fatto male, forse. Tuttavia non ho fatto male. Ognuna, prima o poi, se ne andata quando e come ha voluto. Per lo più benedette nell’ora dell’addio e per sempre. Vive o morte che siano.

 

Bologna 22 settembre 2024 ore 10, 26 giovanni ghiselli

p. s.

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