domenica 11 maggio 2025

Sopravvivenze di latino e pure di greco nell’inglese di Joyce. Nona parte


Per queste etimologie  cfr. W. Skeat, A conse etymological dictionary of English language, Oxford At The Clarendon Press.

 

 

Dal sesto episodio Ade il funerale

 

Over 77, sopra cfr. greco  uJpevr.

 

The same 78 lo stesso cfr. greco oJmov~-

 

Son  78 figlio cfr, greco uJiov~

 

Heir 78 erede, latino heres herēdis

 

Wheel 79 ruota, greco kuvklo~

 

Name, nome latino nomen, greco  o{noma.

 

Stink 79 puzzo,  greco taggov~ rancido, tagghv puzzo di rancido.

 

Moustache 79 baffo greco muvstax, labbro superiore

 

 

He is right,79, ha ragione, right latino rectus.

 

Independent , indipendente, latino dependeo, dipendo (da a) 

 

Woman donna a phonetic alteration of wifman  (wife man) applied to both sex

In Greco abbiamo  a[nqrwpo~ uomo, essere unano,  preceduto dall’articolo femminile: Erodoto I, 60, 5  - th;n a[nqrwpon.

 

He sayd  81 egli disse cfr. latino arcaico insece . Livio Andronico (III a. C.) traduce il  primo verso dell’Odissea di Omero in questo  modo:"Virum mihi, Camena, insece versutum " (Odusia  fr. 1 Morel)

Cfr. greco e{nnepe da *ejn-sepe-

 

Turned  81 fece girare cfr. latino tornare lavorare al tornio, arrotondare.

 

Stiff 81 irrigidito, cfr. latino stipare, ammucchiare.+

 

Is airing 82 sta dando aria cfr. latino āēr –āĕris, greco ajhvr.

 

The flesh falls off 82  la carne cede. Cfr. Latino fallo-fefelli-falsum fallere ingannare; greco sfavllw, faccio inciampare. A proposito di Molly, la moglie che lo tradisce

Ci consoliamo così quando le donne ci maltrattano.

 

Cfr. Properzio:"At te celatis aetas gravis urgeat annis,/et veniat formae ruga sinistra tuae./Vellere tum cupias albos a stirpe capillos/ah speculo rugas increpitante tibi,/ exclusa inque vicem fastus patiare superbos,/ et quae fecisti facta queraris anus./ Has tibi fatalis cecinit mea pagina diras./Eventum formae disce timere tuae " (III, 25, 11-18), ma l'età greve incomba sugli anni dissimulati e vengano rughe sinistre sulla tua  immagine bella.  Che allora tu voglia strappare dalla radice i capelli bianchi, quando lo specchio ti rinfaccerà le rughe, e a tua volta respinta possa tu sopportare la sprezzante alterigia, e lamentarti ormai vecchia del male che hai fatto. Questi cattivi presagi ti ha cantato la mia pagina fatale, impara a temere la fine della tua bellezza.

 

Del resto la forma di Molly c’è ancora: spalle, anche, rotondità. 128- Shoulders. Hips. Plump 82

 la sera del ballo si vestiva. Camicia infilata tra le guance posteriori, deretane. Ancora callipigia

Night of the dance dressing. Shift stuck between the cheeks behind A Bloom la moglie piace sempre.

 

Bologna 11 maggio 2025 otre 18, 52 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1728347

Oggi1137

Ieri342

Questo mese5202

Il mese scorso15712

 

 

 

Ifigenia XCVIII. Le due carissime amiche di Carmignano di Brenta.


 

Il 29 giugno  andai a Carmignano di Brenta senza curarmi dei santi  del giorno: il Pescatore e  Polo [1], dato che venero l’onesto Giovanni non quale immagine già impressa nel fiorino di Firenza, città di cui era ed è tuttora patrono, bensì quale profeta  che malediceva il potere tanto che fu tratto al martirio.

Tornavo nel paese della scuola media dove avevo insegnato per cinque anni: dal 1969 al 1974. Anni contrassegnati dai termini estremi  del male: la strage di Milano e di quella di Brescia.

Per me tuttavia non fu un periodo di regresso.

A Carmignano di Brenta conobbi due belle persone Luciana e Antonia, una figlia spirituale e una mamma vicaria. Con entrambe c’è stato un rapporto di affetto, di intelligenza, di bontà durato decenni. Insomma ci siamo voluti  bene e aiutati  a vicenda.

Quando iniziai a insegnare quasi  10 anni prima della giornata che sto per raccontare io avevo 25 anni ancora da compiere, Luciana era una scolara di prima media, la più intelligente della classe, una bambina di 11 anni già capace di pensare in modo originale. In novembre compresi il suo genio quando scrisse non banalmente un tema dal titolo banale: “Tue impressioni sull’autunno”. La piccola allieva seppe trovare mito e poesia nella stagione che per me è sempre stata la più dolente. Descriveva la caduta di alcuni chicchi di uva nel fango di una pozzanghera dove imputridivano, come ogni cosa se non viene impiegata per il bene dell’uomo. Non ricordo le sue parole una per una, ma formavano un quadro che raffigurava una visione, un’ ijdeva. Provai ammirazione per l’alunna geniale. Ora la vedo con gli altri bambini di quella mia classe più antica e cara in una fotografia del giugno 1970: era l’ultimo giorno di scuola e noi siamo allineati davanti al grande tempio cristiano nella lunga piazza assolata. Luciana è una biondina chiara di pelle come molti da quelle parti, tanto che mi chiamavano affettuosamente “ marochin” per il mio essere niger tamquam corvus nei capelli, nei baffi e nella pelle molto abbronzata. L’allieva molto dotata di mente si trova accanto a me alla mia sinistra per chi guarda la foto. Io sono vestito di lino bianco, snello, in ottima forma. L’estate mi potenzia e in questa stagione, la meno dolente, sono me stesso più che nelle altre. Guardo la macchina fotografica, sorrido cosa che faccio di rado davanti al fotografo, e sono piacente se non proprio bello, un lepido moretto mi piace definire il mio aspetto prima dell’incanutimento del resto iniziato dopo il traguardo dei Settanta anni  e non ancora compiuto grazie all’eredità genetica della stirpe etrusca del nonno Carlino Martelli da Borgo Sansepolcro.

Mi rivedo in mezzo agli allievi, grato a quei bambini di avermi fatto imparare più di quanto avevo insegnato. Disco dum doceo. Nella piazza piena di sole a mezzo il giorno dalle ombre minime, sono contento. Ho la coscienza giovanilmente fiera di avere insegnato la dignità dell’uomo, la bellezza della letteratura e della vita, il dovere della nobile lealtà, della chiara onestà, della cara gratitudine, del generoso impegno in favore del prossimo, il rispetto dovuto a ogni creatura, e di avere imparato da loro che l’amicizia affettuosa è il valore supremo della nostra esistenza, che l’ignoranza e l’egoismo sono nemici dell’umanità.

 Un giorno pensavo quel 10 giugno, un giorno non lontano, una donna geniale mi amerà ricambiata e insieme faremo qualcosa di bello, di nobile e grande per il genere umano. Allora avevo già conosciuto una ragazza ventenne di buon formato,  un’Elena  studentessa di Praga dove ero andato nel maggio meraviglioso del 1968 grazie uno scambio di collegi universitari.

Noi giovani in quella primavera fatata avevamo fiducia nel futuro.

Avevo dunque già amato un’Elena . Ma il tempo e la distanza me la tolsero. Altre donne del mio stampo però contavo di incontrare. Tale presentimento non era vano. Infatti due anni più tardi incontrai un’altra Helena, finnica questa e più matura. Eravamo coetanei: tra i 26 e i 27 anni. Il tempo e la distanza mi avrebbero tolto anche questa Helena Augusta. Poi altre due finlandesi, Kaisa e Päivi, come sa chi mi legge. Poi diverse altre. Italiane queste.

 Luciana con il tempo sarebbe diventato un’amica benvoluta e stimata.

 Nel giugno del 1969 dunque - aveva 21 anni- andai a trovarla e le parlai della mia relazione problematica, instabile, spesso angosciosa con la bella collega di Bologna. Disse che non sarebbe durata. “Perché?” domandai. Non era  una domanda retorica. “Perché non ha l’intelligenza né la sensibilità, né l’educazione che tu cerchi, hai sempre cercato nella tua donna, anzi in ogni femmina umana”.

“E tu come stai?” le chiesi. Sapevo che studiava architettura a Venezia ed era brava. Mi disse che faceva di tutto per conseguire la bellezza e la bontà che proponevo alla  classe quando era bambina.

“Anche io non dimenticherò mai quanto ho imparato da te” promisi.

Siamo sempre rimasti in  un contatto di vera amicizia  da allora. La bella copertina del mio libro Tre amori a Debrecen è sua, di Luciana.

 

Quindi andai a trovare un’altra carissima amica: Antonia.

Era ancora la vicepreside della scuola media dove mi aveva aiutato e protetto dalla malevolenza del preside. Per fortuna il factotum della scuola era lei. Ma non fu solo per questo che diventammo amici. Sebbene fosse una donna di una generazione precedente la mia, e fosse sempre vissuta in quella Vandea che era allora il Veneto profondo, e nonostante discordasse dalle mie idèe  politiche, aveva un’intelligenza e una sensibilità tali che le consentivano di  capire e apprezzare le mie qualità ancora solo abbozzate, quindi  mi aiutò a svilupparle, mentre  con i suoi consigli appropriati poneva un freno al mio esibizionismo alle mie intemperanze giovanili. Nei primi tempi mi ribellavo, poi la ascoltai. Questa amica mi ha fatto del bene più di tante amanti.

Su Ifigenia però quel giorno fece un errore. Disse che non dovevo sciupare quell’amore pur difficile con un’avventura estiva di poche settimane a Debrecen perché l’inverno a Bologna sarebbe stato triste e desolato  senza il luminoso calore della ragazza che aveva potenziato il mio tono vitale e migliorato il mio aspetto. Dico che Antonia questa volta sbagliava perché la mia fedeltà mantenuta a Debrecen nel mese di agosto in qualche modo non venne contraccambiata, e l’inverno successivo a Bologna sarebbe stato cupo e desolato proprio per l’assidua presenza al mio fianco di quella giovane donna non più radiosa e ridente come era stata nei momenti migliori, bensì triste, spenta, noiosa e deprimente. Tanto che mi sarei innamorato di un’altra

 


 

Bologna 11 maggio 2025 ore 10, 37 giovanni ghiselli.

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1727643

Oggi433

Ieri342

Questo mese4498

Il mese scorso15712



[1] Io ho fermo il disio/ sì a colui che volle viver solo/ e che per salti fu tratto al martiro/ ch’io non conosco  il pescator né Polo” Dante, Paradiso, XVIII, 133-136

sabato 10 maggio 2025

Attenti alle truffe mediatiche!


 

Hanno tentato contro di me una truffa mediatica che voglio denunciare. Tale diffusione del male mi toglie il sonno. Nel campo della tecnologia sono un apprendista. L’uomo buono è sempre apprendista ma all’inizio si può ferire. Quando un apprendista si ferisce, questo vuole dire che il mestiere sta entrando in lui. E’ lo stesso mestiere di vivere che impariamo attraverso le ferite che ci infligge. Tw`/ pavqei mavqo~.

Ora cercherò di dormire perché domani devo studiare e scrivere.

Bologna 11 maggio ore 5, 04 giovanni ghiselli

p. s

Statistiche del blog

Sempre1727231

Oggi21

Ieri342

Questo mese4086

Il mese scorso15712

Omero, Odissea, XVI parte. Secondo canto. Connessione organica del capo con la sua terra e con il popolo.

Il popolo retto da un re buono prospera, traviato da  uno tiranno empio crepa.

La cura che viene dall’osservazione del cielo.

 

 

Procedo con un riassunto meno particolareggiato fino ai prossimi versi che leggeremo in greco.

All'inizio del secondo canto viene bandita l'assemblea dagli araldi e Telemaco, reso più bello da Atena, vi si reca a prendere il posto del padre. Codino definisce l'assemblea omerica "l'unico istituto sovrano (...) responsabile in blocco di ogni azione da essa approvata "[1].

 Ma vediamo, in breve come si svolge. Prende la parola un anziano, Egizio che era curvo per la vecchiezza e sapeva innumerevoli cose ("kai; muriva h/[dh", v. 16). E' un uomo come Ulisse che dall'esperienza ha imparato; infatti approva e benedice Telemaco che per la prima volta dopo la partenza di Ulisse ha convocato il popolo. Il giovane ne è incoraggiato e, ricevuto lo scettro dall'araldo Pisenore che conosceva saggi pensieri ("pepnumevna mhvdea eijdwv"", v. 38), prese a parlare.

Si può notare che i partigiani di Odisseo e dei suoi cari sono mentalmente più dotati degli oppositori: quindi si delinea un conflitto tra intelligenti e stupidi.

 

L'esito non potrà che essere favorevole ai primi. Tutta l'Odissea infatti è un grande campo di battaglia dell'intelligenza sviluppata, raffinata, contro la brutalità primordiale, oppure contro la stupidità civilizzata

Quindi parla Telemaco e denuncia lo sperpero perpetrato dai proci della roba non loro: un'ingiustizia che provocherà l'ira degli dèi contro tutti gli Itacesi se essi non interverranno a fermare lo scempio. Infatti Odisseo non ha meritato un danneggiamento del genere: era un sovrano buono come un padre.

 

Un re buono, dirà lo stesso Ulisse nel XIX canto parlando con Penelope, porta il popolo alla prosperità:"Raggiunge l'ampio cielo la tua fama,/ come quella di un re irreprensibile che pio,/ regnando su molti uomini forti,/tenga alta la giustizia; allora la nera terra produce/ grano e orzo, gli alberi si appesantiscono di frutti,/figliano continuamente le greggi e il mare offre i pesci,/per il suo buon governo, insomma prosperano le genti sotto di lui"(vv. 108-114).

Il ribaltamento di questa situazione è il re negativo, cattivo e malato, che contamina la sua terra, rendendola sterile e sconciandola quale mivasma. Si scopre essere tale il protagonista dell'Edipo re di Sofocle che decade da re a farmakov~ e deve allontanarsi dalla terra che lui stesso ha reso malata.  

Del resto questa idea che il benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e pietà religiosa del re non è limitata ai soli autori greci:"Nella nozione omerica della regalità sopravvivono rappresentazioni che si ritrovano più o meno in altre società indoeuropee. Si tratta soprattutto dell'idea che il re è l'autore e il garante della prosperità del suo popolo, se segue le regole della giustizia e i comandi divini. Si legge nell'Odissea  (XIX 110 sgg.) questo elogio del buon re (...) Questo passo ha avuto nella letteratura classica una lunga discendenza; gli autori si sono compiaciuti nell’ opporre la felicità dei popoli governati secondo la giustizia alle calamità che nascono dalla menzogna e dal crimine. Ma non si tratta in questo caso di un luogo comune morale. In realtà il poeta esalta la virtù mistica e produttiva del re la cui funzione è quella di incrementare la fecondità intorno a sé, negli esseri e nella natura. Questa concezione si ritrova, molto più tardi, è vero, nella società germanica, attestata quasi negli stessi termini. Presso gli Scandinavi, il re assicura la prosperità per terra e per mare; il suo regno è caratterizzato dall'abbondanza dei prodotti naturali, dalla fecondità delle donne. Gli si chiede, secondo una formula consacrata, ar ok fridr ' l'abbondanza della pace', come a Atena, durante le Bufonie, si sacrificava 'per la pace e la ricchezza'. Non si tratta di formule vane. Ammiano Marcellino ci dice che i Burgundi, dopo una disfatta o una calamità, mettevano a morte ritualmente il loro re, perché non aveva saputo far prosperare né dare successo al suo popolo"[2]. Benveniste non cita le parole dello storiografo né indica il libro e il capitolo dove si trovano. Se avessi più tempo andrei a cercarle ma devo procedere.

Torno dunque a proporre parole documentate con precisione.

Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono:  sarai re se farai bene:  "at pueri ludentes  'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [3].

 Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Quindi non può essere contorto.

Rex deriva da una radice indoeuropea *reg- che ha dato come esito in greco ojreg- con protesi oj- da cui ojrevgw, tendo;  in latino reg- da cui rex,  rego, regnum

Anche la virtù deve essere dritta: “et haec recta est, flexuram non recipit” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.

 

Guardare il cielo quale modello e come terapia.

Leggiamo alcuni versi dell’esodo delle Baccanti di Euripide quando Cadmo consiglia a  sua figlia Agave impazzita di osservare il cielo. La donna lo fa e rientra in sé dall’estasi

 

Cadmo.

Per prima cosa permetti ai tuoi occhi di guardare il cielo. 1264

 

Agave

 Ecco: perché mi hai ordinato di guardarlo?

 

Cadmo

Ti sembra ancora lo stesso o che mostri dei cambiamenti?

 

Agave

Più luminoso e traslucido di prima.

 

Cadmo

Questo smarrimento è ancora presente nella tua anima? 1268

 

Agave

Non intendo questa parola. Ma in qualche modo rientro

in me,  sottratta ai pensieri di prima. 1270

 

Cadmo

Potresti dunque ascoltare in qualche modo e rispondere con chiarezza?

 

Agave

Come ho dimenticato quello che ho detto prima, padre! 1272

 

Cadmo

In quale casa entrasti con i canti nuziali?

 

Agave

Mi hai data, a quanto dicono, al Seminato Echìone.

 

Cadmo

Quale figlio quindi nacque nella casa al tuo sposo? 1275

 

Agave

Penteo, dall'unione mia e del padre.

 

Cadmo

Allora di chi porti il viso tra le braccia?

 

Agave

Di un leone, come affermavano almeno, le cacciatrici. 1278

 

Cadmo

Ora osservalo bene: breve fatica è guardare. 1279

 

Agave

Oh, che vedo? Che cosa è questo che porto nelle mani?

 

Cadmo

Osservalo con attenzione e riconoscilo con maggiore chiarezza.

 

Agave

Vedo un dolore grandissimo ahi me infelice!

 

Cadmo

Ti sembra che assomigli a un leone?

 

Agave

No, ma la testa di Penteo ho in mano disgraziata me 1284

 

Sentiamo anche Shakespeare: “Princes are/a model which heaven makes like to itself[4], i principi sono ielo un modello fatto dal cielo a sua somiglianza.

Anche il cielo dà esempi di rettitudine pur con le sue circolazioni

La deduzione della bontà del creato dalla bontà del creatore si trova, com’è noto, nel Timeo  di Platone : se il cosmo è bello (eij me;n dh;  kalovς ejstin o{de oJ kovsmoς) l’artefice è buono (o Jdhmiourgo;ς ajgaqovς). 

 Il demiurgo, il migliore degli autori  (a[ristoς tw'n aijtivwn), ha guardato al modello eterno (pro;ς to; ajivdion e[blepen). Sicché il cosmo è la più bella tra le cose nate (kavllistoς tw'n gegonovtwn 29a).

Il demiurgo dunque era buono e chi è buono non prova invidia. Egli ridusse il disordine all’ordine (29d)

Ci ha donato la vista affinché osservando nel cielo i movimenti ciclici della mente ce ne servissimo per le circolazioni del pensiero (Timeo 47 b-c)

Dobbiamo quindi correggere i giri  guasti della nostra testa- dei`  ejn th`/ kefalh`/ diefqarmevna~  hjmw`n periovdou~ ejxorqou`nta- attraverso l’apprendimento dell’armonia dell’universo e delle sue circolazioni  (Timeo, 90 D).

Cncludiamo il discorso del re  buono dunque

“La crisi della regalità, che aveva sconvolto l’Iliade, prende fine: Ulisse-re non assomiglia ad Agamennone, che nel comando alternava l’eccesso, l’arroganza e la debolezza, e non conosceva il dono rarissimo che è la serenità del potere. Ulisse è il re “unico”, come egli stesso aveva teorizzato nell’Iliade: il re giusto “che teme gli dèi”. Se il sovrano obbedisce a questa immagine, la terra produce frumento e orzo, gli alberi sono colmi di frutti, le greggi figliano, il mare dà pesci, i popoli prosperano. Quando il re è un  giardiniere, come Laerte ha insegnato ad Ulisse, la terra diventa un giardino. Questi pensieri erano consueti nell’antichità greca e nel mondo iranico.

Quando è diffusa Giustizia-diceva Esiodo[5]-, la città fiorisce, il popolo risplende, c’è pace e prosperità, le querce sui monti sono piene di ghiande e di miele, e le greggi appesantite dal vello.

Lo sguardo del sovrano iranico giunge tra le nuvole che ci danno la pioggia, nelle valli che si coprono di messi e di fiori, tra gli animali che vivono in pace e sicurezza, come nella perduta età d’oro di Yima. Durante il regno di Cosroe I-scriveva Firdusi[6]- “si sarebbe detto che le lacrime delle nubi fossero acqua di rosa, e che non ci fosse più sofferenza né bisogno di medico. L’acqua cadeva sui fiori al momento propizio, il coltivatore non soffriva mai per la mancanza di pioggia: le valli e le pianure erano coperte di fiori, di case e di palazzi; il mondo era pieno di verdure e di bestiame, i ruscelli assomigliavano a fiumi e i fiori dei frutteti alle Pleiadi”.[7] 

Torniamo al secondo canto dell’Odissea.
 
 Telemaco conclude il dscorso ricordando al popolo le proprie pene non senza rinfacciargli una qualche complicità.

Quindi gettò a terra lo scettro e scoppiò a piangere, come chiedendo compassione, ed ebbe successo poiché la pietà prese tutto il popolo:"oi\kto" d  j  e[le lao;n a{panta", v. 81.

Bologna 10 maggio 2025 ore 18, 46 giovanni ghiselli

p. s. Statistiche del blog

Sempre1727089

Oggi221

Ieri387

Questo mese3944

Il mese scorso15712

 



[1] Introduzione a Omero , p. 89.

[2]Emile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , pp. 304-305.

[3] Orazio, Epistulae  I, 1, 59-60.

[4] Shakrspeare, Pericle, principe di Tiro, II, 2,

[5] Opere, vv. 240-244. Cfr. n. al v. 177. Ndr.

[6] Poeta epico neopersiano (940-1020 ca). Il suo poema Shāhnāmah, libro dei Re, narra mu'qoi e lovgoi dell’Iran dalla creazione del mondo alla conquista islamica. Ndr.

[7] P.Citati, La mente colorata, p. 283.

Ifigenia XCVII. La cena indigesta.


 

Disse: “qui non mi terrà Cristo” e corse via”(Machiavelli, L’asino d’oro,  84) 

 

Il 28 giugno andai con Ifigenia a casa di una mia conoscente che ci aveva invitati a cena con altri. Eravamo una decina in tutto. Ci trovammo a passare la sera tra persone medie nella graduatoria socio economica, e mediocre in quella culturale: professori, bottegai, proprietari di due o tre appartamenti. Erano infarciti di luoghi comuni e frasi fatte, di pregiudizi e prevenzioni ma credevano di possedere roba, cultura e talento.

Se mi capita ancora, assai raramente, di trovarmi tra persone del genere dichiaro di essere povero, incolto, decrepito, e mezzo pazzo, non senza vantarmi di tanta diversità da quanti sono reputati persone normali. Sno piuttosto uomini e donne usuali, ordinarie.

Un mendicante dell’amore e della bellezza credo di essere io.

 

Questa razza priva di stampo buono ignora i classici. Chi li conosce e li ama secondo loro è un  antiquato, un rottame. Io li prevengo presentandomi come un rifiuto della loro specie.

Borghese secondo me non è , come affermano molti, l’uomo o la donna tradizionale che offre e pretende fedeltà: il valore della lealtà è omerico, è quello della fides latina.

Il borghese piccolo è piuttosto l’ a{mouso~   janhvr, l’uomo privo di bisogni spirituali, l’ostile allo spirito. Questo è forse un mio pregiudizio e lo era già allora. Del resto i borghesi non sono tutti uguali e per giunta oggi la borghesia migliore, quella educata se non pure colta, va sparendo. Il suo posto è preso da una razza di affaristi e profittatori semianalfabeti guardati come modelli da una plebe ignorante, la borghesia infima che teme di essere raggiunta dai poveri e li odia. In altri tempi costoro sono stati il braccio armato del regime fascista. La borghesia dei penultimi scatenata contro gli ultimi.

Quanti stanno poco al di sopra degli ultimi e li aborriscono sono la parte peggiore dell’umanità. I borghesi di quella cena antica era gente mediocre, poco significativa ma innocua. Volevo osservarli e studiarli. Ma Ifigenia fin dall’inizio della serata cercò di  impedirmelo richiedendo per sé tutta la mia attenzione: i miei sguardi, il mio udito, senza pause.

Per ottenere alcuni intervalli di quella insana oppressione dovevo scontrarmi contro il suo egocetrismo maniacale senza dare in escandescenze. Mi limitavo a muti rimproveri fatti di occhiatacce e altre espressioni di riprovazione del suo egoismo ottuso. Le parole dei commensali a dire il vero non erano interessanti: alcuni dei più loquaci parlavano di una realtà che non è tale.

 I meno associati mentalmente agli affari e alla roba ragionavano di politica , ma la politica per loro non era tanto interesse per la polis, quanto per il potere e per i potenti tanto ammirati.

 

Mi tornò in mente Sallustio che considera l’ambizione un vizio meno lontano dalla virtù rispetto all’avidità: “Sed primo, magis ambitio quam avarizia animos hominum exercebat, quod tamen vitium propius virtutem erat” (Sallustio, Bellum Catilinae, XI), in un primo tempo più che l’avidità  tormentava gli animi l’ambizione la quale però era un vizio più vicino alla virtù. Si tratta comunque di virtù senza morale nel senso machiavelliano.

 

Ifigenia era disinteressata al modo di pensare di quella gente mentre avrebbe dovuto rivolgerle l’attenzione in maniera che la sua insofferenza divenisse un giudizio cosciente che l’avrebbe salvata dal diventare come loro. Io li osservavo perché volevo giungere a convalidare con un giudizio critico l’avversione istintiva che sentivo per quella razza distante da cultura, buon gusto e pietas. Quia religiosi non sunt [1]. Il  borghese tipico, il vero borghese non tollera l’assoluto.

Allora questo non mi era del tutto chiaro e volevo studiare tale specie. Dovevo però lottare con Ifigenia che cercava di impedirmelo. Ho sempre allontanato chi cercava di ostacolare i miei studi, la principale delle opere laboriose che devo a me stesso. Sicché sfuggendo alla molesta che mi incalzava mentre cercava ogni mio sguardo e parola per sé e aveva pure l’impertinenza e di avvertirmi che queste sue richieste erano la mia fortuna, mi sottraevo al tale importuna e rivolgevo domande a questo o a quella. Rispondevano ripetendo gli stereotipi allora di moda.

Faccio un  esempio:  un tale rispose a una mia domanda sulla felicità  dicendo che essere felice  significa vivere e morire senza rimpianti né rimorsi.

“In greco è eujdaimoniva- provavo a ribattere- un buon rapporto con il proprio demone o destino, o carattere”.

“Che cosa c’entra il greco?” obiettava costui, senza capire né chiedere spiegazioni. Come potevo controbattere? Non rimaneva che l’ironia  “Niente, dicevo, il greco non c’entra: è solo la mia malattia professionale”.

Le finniche erano interessate al greco, e il latino sapevano anche parlarlo. Mi mancava l’educazione accademica delle ragazze dell’Università estiva magiara. Un luogo e un’età di beatitudine.  Questi personaggi temevano la diversità dalla norma e dovevano mostrare di essere persone a posto.

L’ essere romito,  strano e a[topo~, fuori posto,  mi è costato molto già fin dagli anni di Pesaro, ma non ho mai voluto rinnegarlo perché fa parte del mio daivmwn appunto, del mio destino e carattere. Come la solitudine.

 Prima delle undici Ifigenia volle essere riaccompagnata a casa.

 Come fummo soli si mostò stupidamente affranta e disse che  non ne poteva più, mentre  io correvo il rischio di assimilarmi a loro. Pensai che una donna benevola non dovrebbe accentuare la mia solitudine ma non glielo dissi. Cominciavo a disperare della sua educazione.

Iniziavo a capire che quella giovane donna si comportava così perché era così, e nemmeno Cristo l’avrebbe trattenuta dall’agire in quel modo. “Non c’è Cristo che tenga” diceva la madre mia. E’ un toscanismo  espressivo. L’ho ritrovato nel Machiavelli, autore “mariolo sì, ma profondo” [2] e dalla parola efficace.

Con certe persone c’è poco da fare: possiamo osservarle come un fenomeno della natura e imparare qualcosa da loro. Insegnare, educarle è quasi impossibile.

Rimasi dunque in silenzio fino alla porta di casa sua. Mentre usciva dall’automobile le dissi che il giorno seguente sarei andato nel Veneto a trovare le mie amiche. Rispose che non poteva né voleva venire a trovare certa gente”.

Quindi entrò in casa. “Io non ti avevo invitata” pensai, quindi misi subito  in moto e tornai nella casa mia pienna di libri. Mi venne in mente con soddisfazione che in luglio sarei andato ancora una volta a Debrecen dove avrei conosciuto persone del mio stampo.  Quelle che conoscono e respirano kalokajgaqiva. Ne sentivo la mancanza.

 

Avvertenza: il blog contiene due note e il greco non traslitterato

 

Bologna 10 maggio 2025 ore 10, 39 giovanni ghiselli    

 

 

Statistiche del blog

Sempre1726939

Oggi71

Ieri387

Questo mese3794

Il mese scorso15712

 

 

 

 



[1] Cfr. Satyricon, 44.

[2] Cfr. Manzoni, I promess sposi, capitolo XVII.

Sopravvivenze di latino e pure di greco nell’inglese di Joyce. Ottava parte


Per queste etimologie  cfr. W. Skeat, A conse etymological dictionary of English language, Oxford At The Clarendon Press.

Stupefies 71 cfr. Latino stupefacio.

 

Corpse, cadavere cfr, latino corpus, corpo animano o inanimato.

 

Fraud 72 inganno, cfr. latino  fraus-fraudis f.

 

Music 72 latio musica greco mousikhv- e mou`sa.

 

Eunuchs, 73,  eunuchi. Cfr.  Latino eunūchus, greco eujnou`co~ formato con eujnhv letto + e[cw ho (la sorveglianza del)  letto.

 

Choir  coro latino chorus , greco corov~  oJ danza corale

 

Punish latino punio, punisco,  greco poinhv   hJ  prezzo del sangue, vendetta.

 

Plate 74 piatto sostantivo; cfr. greco platuv~, piatto,  largo, aggettivo.

 

Stood  passato di to stand cfr. latino sto-stare, stare in piedi e greco e[sthn aoristo III intranstivo di i{sthmi perfetto intransitivo e{sthka, stare trovarsi.

 

Moon 74  greco mhvnh , luna

 

Bore seccatura, to bore annoiare e forare forse come metafora di annoiare. Latino forare.

 

Age 74 età, latino aetas aevum, greco aijwvn  oJ eternità.

 

Rolled  75 arrotolato cfr., latino rotula, piccola ruota.

 

Round intorno, latino aggettivo rotundus

 

Combine 75 latino combinare, unire,

 

Navel 75  related with a difference of  gradation to ojmfalov~ , latino umbilicus  da umbo onis, sporgenza rotunda al centro dello scudo.

 

Younger 76 comparativo di young cfr. latino iuvenis.

 

Stream 77 corrente cfr. greco rJevw, scorro.

 

Languid, cfr. latino languidus, indebolito, langueo sono fiacco.

 

Bologna 10 maggio 2025 ore 11 giovanni ghiselli

 

p. s. Presenterò anche queste etimologie il 19 maggio tenendo una conferenza sull’Ulisse di Joyce nella bibliotea  Ginzburg di Bologna.

Sarà tutto gratuito e a chi lo chiederà saà inviato il materiale.

E’ bene prenotarsi. Il telefono della biblioteca è 051-466307

 

Questo è il link per accedere all'incontro online https://meet.google.com/sjy-euew-hxx?authuser=0&hs=122&ijlm=1744810639363