Edipo a Colono. Parodo vv. 117-253 Coro di anziani
Traduzione e commento dei versi 117-137
117Guarda! Chi era dunque? Dove si trova?
dove si è cacciato fuori mano il più
insaziabile -ajkorevstato~- di tutti, di tutti? 119- 120
Questi vecchi coreuti rappresentano la diffidenza della gente senza razza, senza identità.
Vedono nel povero, nello sconosciuto straniero una minaccia alla loro vita da gregari.
Hanno bisogno di essere dirozzati.
Per ora incarnano un aspetto dell’eterna piccola borghesia che qui in Italia ha fatto il fascismo bastonando contadini e operai incarcerando o uccidendo chi si batteva per i proletari.
Oggi certa gente vota per un governo che nega il salario minimo a chi guadagna 5 o 6 euro all’ora.
La chiaroveggenza di Edipo cieco di occhi, non di mente, e l’umanità e la signorilità di Teseo porteranno luce a questi abitanti del borgo dalla natura rigogliosa.
Teseo il re di Atene da gran signore qual è in questa tragedia, accoglierà fraternamente Edipo il collega decaduto a mendicante.
Nel romanzo Resurrezione di Toltoj, la bella e nobile ex prostituta e galeotta Katiuscia individua e ammira tra i prigioneri politici i giovani di famiglia ricca deportati perché avevano preso le parti del popolo: “aveva capito che agivano per il popolo contro i signori; e il fatto che fossero essi stessi dei signori e avessero sacrificato i loro privilegi, la libertà e la vita per il popolo faceva sì che li apprezzasse particolarmente e ne fosse entusiasta” (III, 3).
Una categoria di belle persone quali Engels, Brecht e don Lorenzo Milani.
Sentiamo Bertolt Brecht a questo proposito:
“Io son cresciuto figlio
di benestanti. I miei genitori mi hanno
messo un colletto, e mi hanno educato
nelle abitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe,
né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega
Con la gente del basso ceto
(…)
La bilancia della loro giustizia
la tiro giù e mostro
i falsi pesi. E le loro spie riferiscono
che siedo con i depredati quando
tramano la rivolta
(…)
Dove giungo, sono uno marcato a fuoco
per tutti i possidenti; ma i nullatenenti
leggono il mandato di cattura e
mi concedono un rifugio. Quelli, io sento
dire allora, per cacciarti avevano
buone ragioni”[1]
Quindi don Milani
“Ci ho messo venticinque anni a sortire dalla classe sociale che scrive e legge L’Espresso e Il Mondo. Non mi devo far ricattare nemmeno per un sol giorno. Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono come loro” (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, L’esilio di Barbiana, Introduzione di Tomaso Montanari, p. 7) .
Queste parole mi hanno aiutato a “giustificare” le vessazioni subite da molti nell’Istituzione scolastica.
Avevano ragione: non ero e non sono come loro.
Torniamo ai coreuti diffidenti della Parodi dell’Edipo a Colono
121Fissalo bene, vedilo con chiarezza,
informati dappertutto. Vagabondo,
un vagabondo planavta~ è il vecchio, non
vagabondo è ripetuto con spregio e paura. E’ il timore del provincialismo e del conformismo dell’abitante dei borghi. Guai a chi è differente da noi è il suo pensiero fisso, dunque: “dagli al diverso!”
125uno del luogo oujd j e{gcwro~: infatti non si sarebbe accostato
Il vecchio Edipo è sospetto in quanto a[topo~, fuori luogo, insolito.
Nel dialogo Fedro di Platone Fedro dice a Socrate : “tu o mirabile Socrate, sembri un tipo stranissimo- ajtopwvtatov~ ti~ faivnh/ (230C) in quanto pari un forestiero condotto da una guida, non uno del luogo. Tu non esci dalla città neppure per recarti fuori le mura- exw teivcou~- 230D.
Leopardi si sente:
“quasi romito e strano
Al mio loco natio” (Il passero solitario, 23-35) che è poi il “natio borgo selvaggio” (Le ricordanze 30) di Recanati
126 all'inaccessibile bosco sacro a[lso~
Invero nel bosco sacro delle Eumenidi il re dell’anticittà Tebe decaduto a farmakov~ va a riconsacrasi re benefico per gi Ateniesi.
di queste vergini invincibili
che noi temiamo -trevmomen- di nominare
i coreuti temono tanto che tremano cfr, latino tremo
e passiamo oltre
129 senza guardare, ajdevrkto~:- devrkomai è un fissare con sguardo da serpente-dravkwn
‘senza tirar fuori la voce, voce jafwvnw~ senza parlare ajlovgw~. L’ aj-privativo torna tre volte.
i coreuti chiudono gli occhi strozzano la voce e bloccano la lingua e la mente davanti al mistero del sacro. Questo invece può aprire la mente e il cuore oltre l’ambito ristretto del razionale.
131muovendo la bocca della mente che serba religioso silenzio eujfavmou.
Nella Parodo delle Baccanti di Euripide il coro canta “stovma t j eufhmon a[pa~ ejxosiouvsqw”. 70,
e ognuno consacri la bocca che serba religioso silenzio. In latino è favete linguis.
Ma ora si dice che è giunto uno
che non ha nessun sacro timore oujde;n a{zonq j.
Nella Parodo dell’Edipo re i vecchi tebani pregano Apollo con sacro timore:
“intorno a te con sacro timore-ajzovmeno~- domando che cosa, o di nuovo
o con il volgere delle stagioni un'altra volta
effettuerai per me” (155- 157) .
135 un tale che io pur osservando per tutto il recinto
non posso ancora sapere
dove mai si trovi.
Il vagabondo si occulta, rimane latente e questo nascondersi dello straniero accresce la diffidenza e il sospetto nei suoi confronti
Bologna 17 giugno 2025 ore 11, 32 giovanni ghiselli
p. s.
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