martedì 17 giugno 2025

Traduzione e commento dei versi 117-137. Sofocle Edipo a Colono. Parodo.

Edipo a Colono. Parodo vv. 117-253 Coro di anziani

 

Traduzione e commento dei versi 117-137

 

117Guarda! Chi era dunque? Dove si trova?

dove si è cacciato fuori mano il più

insaziabile -ajkorevstato~- di tutti, di tutti? 119- 120

 

Questi vecchi coreuti rappresentano la diffidenza della gente senza razza, senza identità.

Vedono nel povero, nello sconosciuto straniero una minaccia alla loro vita da gregari.

Hanno bisogno di essere dirozzati.

Per ora incarnano un aspetto dell’eterna piccola borghesia che qui in Italia ha fatto il fascismo bastonando contadini e operai incarcerando o uccidendo  chi si batteva per i proletari.

Oggi certa gente vota per un governo che nega il salario minimo a chi guadagna 5 o 6 euro all’ora.

La chiaroveggenza di Edipo cieco di occhi, non di mente, e l’umanità e la signorilità di Teseo porteranno luce a questi abitanti del borgo dalla natura rigogliosa.

Teseo il re di Atene da gran signore qual è in questa tragedia, accoglierà fraternamente Edipo il collega decaduto a mendicante.

 

Nel romanzo Resurrezione di Toltoj, la bella e nobile ex prostituta e galeotta Katiuscia individua e ammira tra i prigioneri politici i giovani di famiglia ricca  deportati perché avevano preso le parti del popolo: “aveva capito che agivano per il popolo contro i signori; e il fatto che fossero essi stessi dei signori e avessero sacrificato i loro privilegi, la libertà e la vita per il popolo faceva sì che li apprezzasse particolarmente e ne fosse entusiasta” (III, 3).

Una categoria di belle persone quali Engels, Brecht e don Lorenzo Milani.

Sentiamo Bertolt Brecht a questo proposito:

“Io son cresciuto figlio

di benestanti. I miei genitori mi hanno

messo un colletto, e mi hanno educato

nelle abitudini di chi è servito

e istruito nell’arte di dare ordini. Però

quando fui adulto e mi guardai intorno

non mi piacque la gente della mia classe,

né dare ordini né essere servito.

E io lasciai la mia classe e feci lega

Con la gente del basso ceto

(…)

La bilancia della loro giustizia

la tiro giù e mostro

i falsi pesi. E le loro spie riferiscono

che siedo con i depredati quando

tramano la rivolta

(…)

Dove giungo, sono uno marcato a fuoco

per tutti i possidenti; ma i nullatenenti

leggono il mandato di cattura e

mi concedono un rifugio. Quelli, io sento

dire allora, per cacciarti avevano

buone ragioni”[1]

 

Quindi don Milani

“Ci ho messo venticinque anni a sortire dalla classe sociale che scrive e legge L’Espresso e Il Mondo. Non mi devo far ricattare nemmeno per un sol giorno. Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono come loro” (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, L’esilio di Barbiana, Introduzione di Tomaso Montanari, p. 7) .

Queste parole mi hanno aiutato a “giustificare” le vessazioni subite da molti nell’Istituzione scolastica.

Avevano ragione: non ero e non sono come loro.

 

 

Torniamo ai coreuti diffidenti della Parodi dell’Edipo a Colono

121Fissalo bene, vedilo con chiarezza,

informati dappertutto. Vagabondo,

un vagabondo planavta~ è il vecchio, non

vagabondo è ripetuto con spregio e paura. E’ il timore del provincialismo e del conformismo dell’abitante dei borghi. Guai a chi è differente da noi è il suo pensiero fisso, dunque: “dagli al diverso!”  

125uno del luogo oujd  j e{gcwro~: infatti non si sarebbe accostato

 

Il vecchio Edipo è sospetto in quanto a[topo~, fuori luogo, insolito.

Nel dialogo Fedro di Platone Fedro dice a Socrate : “tu o mirabile Socrate, sembri un tipo stranissimo- ajtopwvtatov~ ti~ faivnh/ (230C)  in quanto pari un forestiero condotto da una guida, non uno del luogo. Tu non esci dalla città neppure per recarti fuori le mura- exw teivcou~- 230D.

Leopardi si sente:

“quasi romito e strano

Al mio loco natio” (Il passero solitario, 23-35) che è poi il “natio borgo selvaggio” (Le ricordanze 30) di Recanati

 

 126 all'inaccessibile bosco sacro a[lso~

Invero nel bosco sacro delle Eumenidi il re dell’anticittà Tebe decaduto a farmakov~ va a riconsacrasi re benefico per gi Ateniesi.

di queste vergini invincibili

che noi temiamo -trevmomen- di nominare

i coreuti temono tanto che tremano cfr, latino tremo

e passiamo oltre

129 senza guardare, ajdevrkto~:- devrkomai è un fissare con sguardo da serpente-dravkwn

‘senza tirar fuori la voce, voce  jafwvnw~  senza parlare  ajlovgw~. L’ aj-privativo torna tre volte.

i coreuti chiudono gli occhi strozzano la voce e bloccano la lingua e la mente davanti al mistero del sacro. Questo invece può aprire la mente e il cuore oltre l’ambito ristretto del razionale.      

131muovendo la bocca della mente che serba religioso silenzio eujfavmou.

Nella Parodo delle Baccanti di Euripide  il coro canta “stovma t  j eufhmon a[pa~ ejxosiouvsqw”. 70,

e ognuno consacri la bocca che serba religioso silenzio. In latino è favete linguis.

 Ma ora si dice che è giunto uno

che non ha nessun sacro timore oujde;n a{zonq j.

Nella Parodo dell’Edipo re i vecchi tebani pregano Apollo con sacro timore:

“intorno a te con sacro timore-ajzovmeno~- domando che cosa, o di nuovo

o con il volgere delle stagioni un'altra volta

effettuerai per me” (155- 157) .

135 un tale che io pur osservando per tutto il recinto

non posso ancora sapere

dove mai si trovi.

Il vagabondo si occulta, rimane latente e questo nascondersi  dello straniero accresce la diffidenza e il sospetto nei suoi confronti

Bologna 17 giugno 2025 ore 11, 32 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.

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