In settembre il nostro rapporto riacquistò qualche scintilla. Ifigenia si lasciò istruire sulla tecnica pedalatoria e comprese i benefici grandi conseguenti all’impegno ciclistico. Procedemmo gradualmente. I primi giretti dovevano essere più divertenti che faticosi per non creare sazietà nauseante e repulsione nella giovane donna.
Un pomeriggio uscimmo da porta San Donato e ci recammo a Mezzolara, una frazione di Budrio, a 24 chilometri da Bologna.
Un percorso non brevissimo per una principiante del ciclo. Ifigenia era stanca e ci sedemmo a un tavolino davanti a un bar. Sulla campagna arata calava veloce la sera coprendo con un lenzuolo di bruma la terra esaurita dai parti.
Ifigenia invece, sebbene affaticata, era luminosa: l’impegno messo nel pedalare l’aveva depurata dai miasmi velenosi.
Non parlammo subito, poiché non era il momento: eravamo contenti mentre ognuno pensava a quanto gli stava nel cuore.
Le campane di una chiesa vicina suonarono a morto.
I rintocchi lenti e gravi mi fecero tornare in mente un giorno lontano a Moena quando intorno ai dieci anni ero tenuto a bada dalle zie.
Le due sorelle della madre mia che non dava notizie, al suono funereo colsero l’occasione per mettermi in guardia.
Una disse: “ecco, è morto un bischero. Avrà commesso qualche imprudenza”
La guardai con aria interrogativa.
“Si sarà ammalato di “core” correndo come un matto, sarà stato morso da una vipera mentre gironzolava nell’erba, sarà caduto nell’Avisio mentre cercava di afferrare una trota. Anche tu giannetto non sei mai stato prudente. Dunque stai molto attento. Hai capito bambino?”.
Avevo sentito, ma già allora intuivo che non ero come loro, che Cloto stava filando per me una vita diversa da quella che volevano impormi. Invece di avere paura dei rischi, ne ero attirato.
Già per mio conto pensavo: “Il rischio è bello”.
Molti anni più tardi ne avrei trovata conferma in Pindaro e in Platone.
Dovevo dimostrare a me stesso che non ero debole come volevano farmi credere. Ma non replicai. Ero deciso però a non lasciarmi inculcare la paura di vivere.
Bologna 13 giugno 2025 ore 17, 40 giovanni ghiselli
p. s.
Nel settembre del 2024 il ciclista più grande di tutti i tempi, Tadej Pogačar, ha vinto il campionato mondiale di ciclismo su strada dopo una fuga degli ultimi 100 chilometri del percorso lungo quasi tre volte tanto. Questo ragazzo di 26 anni è un modello per me: mi insegna che se voglio eccellere non devo cedere mai e che devo correre qualche rischio se mi spinge a farlo l’istinto ragionato.
Pindaro ha scritto: “il pericolo grande non prende l'uomo imbelle (oJ mevga~ de; kinduno~ -a[nalkin ouj fw'ta lambavnei). Per coloro ai quali è necessario morire, come uno potrebbe smaltire una vecchiaia anonima seduto nell'ombra invano?" (Olimpica I vv.81-84).
Non posso esimermi dal ricordare quanto afferma del rischio il personaggio Socrate del dialogo Fedone di Platone: “il rischio difatti è bello “ kalo;ς ga;r oJ kivndunoς” ( 114d).
Pogačar ha rischiato scattando quando era ancora tanto lontano dal traguardo: negli ultimi chilometri ha perduto più di metà del vantaggio guadagnato nei primi 60 della fuga e sembrava che la muta degli inseguitori scatenati potesse riprenderlo e vanificare l’impresa. Ma non ha ceduto e ha vinto la gara. Tifo per lui che ha realizzato uno dei miei sogni infantili e adolescenziali. Io ne ho realizzati altri, ma il metodo è comunque lo stesso.
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Ifigenia CLXIII. L’impresa ciclistica compiuta e quella progettata.
Davanti alle nostre gambe nude che principiavano a rabbrividire sostava un cane bavoso, pieno di zecche. Un poco più in là due galline sonnolente ripetevano il loro verso. La ragazza cominciava a perdere il beneficio umorale tratto dalla buona pedalata e dava i primi segni tipici della propria inquietudine: sollevava e subito dopo abbassava il tallone agitando la punta del piede convulso.
Ero preoccupato e cercai di calmarla: le raccontai una favola esopica pulita, contaminata con la fabula milesia più licenziosa che conoscevo. Così tornarono il suo e il mio buonumore.
Durante quel mese la educai a imprese pedalatorie sempre più egregie: dopo diversi allenamenti, un giorno di sole languido ma non malsicuro, la indussi a seguirmi per la via che il console Emilio fece costruire da Rimini a Piacenza ut Flaminiae committeret, per unirla alla Flaminia, come scrive “Livio che non erra”. Il latino che le citavo doveva accrescere nobiltà alla pedalata fino a Pesaro che durò dall’alba al tramonto. Quando giungemmo a vedere il mare gridai Qalavtta! Per aggiungere un altro po’ di lustro alla nostra fatica. Arrivammo a casa poco primo che fosse buio, il sudario dell’estate, che l’umido e invido equinozio fa calare prima delle otto, ora legale.
La ragazza era sfinita eppure contenta e radiosa. Disse: “ce l’ho messa tutta Gianni, per essere degna di te”.
Le risposi che l’amavo, e, se avesse scalato con me la durissima salita del Monte delle formiche, là ci saremmo dati la mano per sempre.
“Lassù c’è un santuario con l’immagine di Maria la mamma di Gesù - spiegai - Sotto l’icona si legge questo distico
Certatim volitant formicae ad virginis aram
at simulac volitant victima quaeque cadit.
Le vittime che sacrificheremo noi saranno l’egoismo, l’invidia, l’ignoranza”.
Ifigenia disse: “Tu sei un genio e io ti amerò per sempre”.
Quel giorno fu brava senza intermissione. A Savignano sul Rubicone qui finis est Galliae1 avevamo fatto una sosta durante la quale Ifigenia giurò che durante l’estate non aveva mai fornicato con chicchessia. Non mi convinse, però quel giorno fu talmente brava che volli mostrarmi persuaso della sua vacanza immacolata nell’infernale bufera erotica del lido romagnolo.
Nota 1
Che la Gallia finisca a Savignano come afferma Cicerone (Filippica VI, 3, 5) non è lontano dal vero: si dice che noi di Pesaro parliamo romagnolo; io invece sostengo che da Cattolica a Rimini sono loro mezzi marchigiani siccome allungano le vocali come facciamo noi pesaresi
Bologna 13 giugno 2025 ore 17, 47 giovanni ghiselli
p. s.
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La ragazza era sfinita eppure contenta e radiosa. Disse: “ce l’ho messa tutta Gianni, per essere degna di te”.
Le risposi che l’amavo, e, se avesse scalato con me la durissima salita del Monte delle formiche, là ci saremmo dati la mano per sempre.
“Lassù c’è un santuario con l’immagine di Maria la mamma di Gesù - spiegai - Sotto l’icona si legge questo distico
Certatim volitant formicae ad virginis aram
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Le vittime che sacrificheremo noi saranno l’egoismo, l’invidia, l’ignoranza”.
Ifigenia disse: “Tu sei un genio e io ti amerò per sempre”.
Quel giorno fu brava senza intermissione. A Savignano sul Rubicone qui finis est Galliae1 avevamo fatto una sosta durante la quale Ifigenia giurò che durante l’estate non aveva mai fornicato con chicchessia. Non mi convinse, però quel giorno fu talmente brava che volli mostrarmi persuaso della sua vacanza immacolata nell’infernale bufera erotica del lido romagnolo.
Nota 1
Che la Gallia finisca a Savignano come afferma Cicerone (Filippica VI, 3, 5) non è lontano dal vero: si dice che noi di Pesaro parliamo romagnolo; io invece sostengo che da Cattolica a Rimini sono loro mezzi marchigiani siccome allungano le vocali come facciamo noi pesaresi
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