Cercherò di trovare analogie e
differenze tra i punti cruciali dell’allocuzione del Papa e alcuni topoi
presenti nei miei autori classici.
Sua santità Francesco ha
detto che l’Europa è “alquanto invecchiata e compressa”.
Il tema dell’invecchiamento di
una civiltà e della terra sulla quale essa è nata ricorre nella letteratura
antica.
La causa di tale senescenza è
spesso individuata nell’empietà e nell’immoralità degli uomini.
Nell'
Antigone di Sofocle, Tebe è
malata
:
la città che è di tutto il popolo è sottoposta a un morbo violento
per l'empietà del tiranno accusato dal vate Tiresia di amare i turpi guadagni
(v.1056) e di infliggere violenza ai concittadini (v. 1073).
Nell' Edipo re
lo spengersi degli oracoli procede
parallelamente al declinare della polis e il Coro depreca la
miscredenza nei confronti dei responsi, in particolare dei vaticini delfini
:"infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo
Apollo/risplende per gli onori/e tramonta il divino
(e[rrei
de; ta; qei'a)
" ,vv. 907-910.
Sofocle insomma fa dipendere dalla
dussevbeia (empietà) la decadenza della
vita umana fino alla sterilità delle donne e perfino a quella della terra e
degli animali.
Leggiamo come il sacerdote nel
prologo della tragedia descrive il flagello a Edipo:"la città infatti, come
anche tu stesso vedi, troppo/già fluttua e di sollevare il capo /dai gorghi del
vortice insanguinato non è più capace/e si consuma nei calici infruttuosi della
terra,/si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli
delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi, si avventa sulla
città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo, e il nero/Ades
si arricchisce di gemiti e lamenti" (Edipo re, vv. 22-30).
Empietà secondo Sofocle è la noncuranza degli oracoli e l'abbandono dei riti
tradizionali.
Isocrate
nell'Areopagitico (del 356) condanna più in generale lo sconvolgimento
delle tradizioni antiche:"
ejnovmizon ei\nai th;n eujsevbeian (...) ejn tw''/ mhde;n kinei'n w|n aujtoi'"
oiJ provgonoi parevdosan" (30),
ritenevano che la devozione stesse nel non cambiare niente di quello che gli
antenati avevano loro tramandato.
Su
un'analoga linea di tradizionalismo si trova Sallustio il quale
lamenta la decadenza della virtus in seguito alla troppo alta
considerazione del denaro:"Operae pretium est (…) visere templa deorum
quae nostri maiores religiosissumi mortales fecere. Verum illi delubra
deorum pietate, domos suas gloria decorabant (Cat. 12), vale la pena
di visitare i templi degli dèi che i nostri antenati, uomini religiosissimi,
avevano costruito. In effetti quelli ornavano i santuari degli dèi con la
devozione, le case con la gloria.
Gli dèi sono offesi dal venire
meno della pietas, dalla immoralità, dall'irreligiosità, dall'idolatria
degli uomini adoratori del denaro.
Sentiamo Petronio che “dipinge
in una lingua da orafo i vizi d'una civiltà decrepita, d'un impero che si va
sfasciando
”
:"
ego puto omnia illa a diibus fieri. nemo enim caelum caelum putat, nemo
ieiunium servat, nemo Iovem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua
computant. antea stolatae ibant nudis pedibus in clivum, passis capillis,
mentibus puris, et Iovem aquam exorabant. itaque statim urceatim plovebat: aut
tunc aut numquam: et omnes redibant udi tamquam mures. itaque dii pedes lanatos
habent, quia nos religiosi non sumus, agri iacent…" (Satyricon, 44,
17-18), io credo che tutto questo derivi dagli dèi. Nessuno infatti considera il
cielo cielo, nessuno rispetta il digiuno, nessuno stima un pelo Giove, ma tutti
a occhi chiusi fanno il conto dei loro possessi. Prima le matrone in stola
salivano a piedi nudi sul colle del Campidoglio, con i capelli sciolti, i cuori
puri, e supplicavano Giove per l'acqua. E così subito pioveva a catinelle: o
allora o mai più: e tutti tornavano bagnati come topi. ora gli dèi hanno i piedi
felpati. Poiché non siamo religiosi, i campi sono abbandonati.
Sono parole di un liberto
ignorante, eppure per l’espressione opertis oculis si può trovare una
analogia nell’Antico Testamento a proposito degli idolatri:"Gli idoli
dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non
parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro
nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi,
135, 15-18).
Properzio fa dipendere il tramonto
degli dèi, della
pietas, della
fides, della
lex, del
pudor, dal lusso e dalla lussuria di uomini e donne, e dalla maledetta fame
dell'oro già esecrata da Virgilio
:"
At
nunc desertis cessant sacraria lucis:/aurum omnes victa iam pietate colunt./Auro
pulsa fides, auro venalia iura,/aurum lex sequitur, mox sine lege pudor" (III,
13, 47-50), ma ora sono trascurati i santuari nei boschi deserti: vinta la
devozione, tutti venerano l'oro. Dall'oro è stata messa fuori corso la lealtà,
con l'oro si compra la giustizia, la legge obbedisce all'oro, presto il pudore
sarà fuori legge. Tutto questo porterà alla caduta di Roma:"
frangitur ipsa
suis Roma superba bonis" (v. 60), la stessa Roma superba viene spezzata
dalle sue ricchezze.
Nella letteratura latina del resto c'è
un'altra spiegazione.
Lucrezio con la visione
materialistica ripresa da Epicuro smonta questo tipo di pietas legata,
secondo lui alla superstizione (religio) e confuta il " tristis…
vetulae vitis sator atque vietae (De rerum natura, II,
1168), il rattristato coltivatore della vigna vecchia e vizza, il quale "temporis
incusat nomen saeclumque fatigat,/et crepat, antiquum genus ut pietate repletum/perfacile
angustis tolerarit finibus aevum,/cum minor esset agri multo modus ante viritim./
Nec tenet omnia paulatim tabescere et ire/ad capulum spatio aetatis defessa
vetusto " (vv. 1169-1174), accusa il corso del tempo e insulta la sua età,/e
brontola che l'antico genere umano pieno di devozione/sosteneva assai facilmente
la vita entro confini ristretti,/sebbene molto minore fosse prima la misura del
campo per testa./ E non capisce che tutto a poco a poco si consuma e va/ verso
la tomba, spossato da lungo spazio di tempo.
Sono gli esametri conclusivi del
secondo libro.
In questo poema c'è dunque una
concezione organica della terra che invecchia come tutto nell'Universo.
Ma torniamo al nostro Papa.
"Una volta - ha detto - c'era la
fiducia nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente". Tale
fiducia significa non trattare uomini e donne come strumenti da usare e buttare
via quando non servono più.
Platone raccomanda agli uomini
l’assimilazione a Dio (oJmoivwsiς
qew̃/ Teeteto, 176b)
quella che sarà l’Imitatio Christi per i Cristiani.
Tale assimilazione alla
divinità significa essere buoni.
Agostino ricorda Platone in
questi termini: habemus sententiam Platonis dicentis omnes deos bonos esse
(civ. Dei, 8, 13).
La deduzione della bontà del
creato dalla bontà del creatore si trova, com’è noto, dal Timeo (29a)
dove si legge che Dio, creatore di un cosmo bellissimo, è il migliore degli
autori (a[ristoς
tw̃n aijtivwn).
Il Timeo viene
riecheggiato ripetutamente da Agostino attraverso la traduzione ciceroniana. Per
esempio: “hanc etiam Plato causam condendi mundi iustissimam dicit, ut a bono
Deo bona opera fierent (civ. Dei, 11, 21), anche Platone afferma che
la causa più giusta della creazione del mondo è che le opere buone sono fatte da
un Dio buono.
Pure Seneca aveva tradotto il
medesimo passo del Timeo: “ ita certe Plato ait: Quae deo
faciendi mundum fuit causa? Bonus est (ep. 65, 10)
E ancora: “Quae causa est
dis bene faciendi? Natura. Errat si quis illos putat nocere nolle: non possunt
(ep. 95. 49).
L’uomo che non si è allontanato
da Dio dunque è buono e in questo Gli assomiglia.
Torniamo a Bergoglio.
L’uomo non è una monade, ma una
persona associata ad altre con diritti e doveri e il divenire individuale deve
svilupparsi in maniera sociale, tendendo al bene comune, non senza dialogo e
discussione . Siamo infatti animali politici e animali linguistici. Orrendo,
anzi infernale, è, a parer mio, il costume di tanti individui che invece di
dialogare con altre persone, magari addirittura sedute allo stesso tavolo in
quella che dovrebbe essere la comunione del pasto, maneggiano per tutto il tempo
telefonini o altri strumenti del genere senza mai rivolgere parola ai vicini o
alzare gli occhi per guardarli.
Il Papa ha denunciato il male
della solitudine. Ora le persone vi si sprofondano senza nemmeno accorgersene o
compiacendosene, data la paura e la diffidenza che distanzia ciascuno dal
prossimo suo.
Nella tragedia greca l’isolamento è vissuto come un male tra i peggiori:
Filottete
lasciato solo dai compagni nella deserta Lemno lamenta di essere “
a[ndra duvsthnon,
movnon,-ejrh'mon
w|de ka[filon" ( vv. 227-228), uomo infelice, solo, abbandonato, così e
senza amici.
La solitudine di Filottete dunque è penosa per un greco antico, tipicamente,
come ha notato bene Kierkegaard
.
Secondo il filosofo danese, per l'uomo greco che viveva nella
povli" democratica la solitudine
dell’impolitico è una condizione innaturale :"benché si muovesse liberamente, l'
individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato,
nella famiglia, nel fato.
Questa
determinazione sostanziale è la vera e propria fatalità della tragedia greca, e
la sua vera e propria caratteristica."
L'abitudine e il desiderio di stare soli sono già condannati come disumani da
Omero nella figura mostruosa del Ciclope
,
e, dopo Sofocle, da Menandro
nel prologo de
Duvskolo" dove il
misantropo Cnemone
viene definito uomo disumano assai (
Knevmwn,
ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo" sfovdra",
v. 6).
Invece più avanti nel tempo, con la degenerazione brutale dei rapporti umani,
con la trasformazione delle persone in turba, folla, diventerà non solo
dignitoso ma necessario rimanere soli.
Seneca, tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia ,
omicidi veri e propri, scrive:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo
vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui "(Ep. 7, 3),
torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più
disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini. Il consiglio allora è:"recede
in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza nell'incipit di un'altra lettera: “ Seneca
Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiam: fuge multitudinem,
fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo
Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche
uno solo.
Infine Nietzsche: “C’è da dir male anche di chi
soffre per la
solitudine-io ho sempre e soltanto sofferto per la moltitudine”
.
La solitudine dunque è un portato della difficoltà nei rapporti umani, della
loro disumanità.
Eppure noi uomini, come ha
scritto l’imperatore Marco Aurelio “siamo
nati per darci aiuto reciproco ("pro;"
sunergivan"), come i piedi, le mani, le
palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è
cosa contro natura ("to; ou\n
ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin",
Ricordi , II, 1). .
In questa Europa non più fertile e vivace, ha detto ancora Bergoglio, siamo
passati dai grandi ideali ai tecnicismi burocratici.
Chi scrive queste note ha trascorso quasi tutta la vita nella scuola e ha
sofferto l’invadenza di troppi tecnicismi anche nel campo che dovrebbe essere
quello della cultura. La valutazione del fanciullo (pais), e a maggior
ragione la sua paideia, educazione, non può ridursi a una serie di
questionari o quiz senza anima, senza idèe, né sentimenti, né bellezza, né
verità. Una serie di formule da imparare a memoria. So di ragazzi che nella
scuola media devono rispondere qual è la differenza tra “favola” e “fiaba” senza
avere mai letto nulla di Esopo né di Fedro. Non si leggono più gli autori nelle
scuole.
Eppure gli auctores sono i nostri “accrescitori”. Ma se i giovani non
crescono mentalmente è più facile tenerlo sottomessi e farne dei consumatori
bulimici.
Prevalgono le questioni tecniche e gli affari economici in una sorta di
tirannide contraria all’indagine sui sentimenti, alla discussione sulle idèe.
Questo male viene già denunciato da Giacomo Leopardi : “un franco/di poetar
maestro (…) lascia, mi disse,/i propri affetti tuoi. Di lor non cura/questa
virile età, volta ai severi/economici studi, e intenta il ciglio/nelle pubbliche
cose, Il proprio petto/esplorar che ti val?”
.
In questo culto dell’economia, del mercato e del profitto l’uomo viene trattato
come l’ingranaggio di un meccanismo. E’ la cultura “del consumismo esasperato e
dello scarto” ha detto il nostro pontefice.
Il culto del consumo, del profitto e del PIL arriva a ritualizzare le guerre.
Seneca nel De ira ricorda che i re
incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica
di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges
saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut
aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1).
Quindi cito di nuovo la Palinodia al marchese Gino Capponi di Leopardi_
“…coverte/fien di stragi l’Europa e l’altra riva/dell’atlantico mar (…) sempre
che spinga/ contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o
d’altro aroma/fatal cagione, o di melate canne/o cagion qual si sia ch’ad auro
torni” (vv. 62-68).
Papa Francesco ha ricordato La scuola di Atene di Raffaello Sanzio
urbinate. Ha fatto notare che tra i filosofi presenti e vivi in questo affresco
del 1510, Platone punta l’indice della mano destra verso l’alto, mentre
Aristotele tiene la mano davanti a sé, con la palma rivolta verso la terra.
Noi uomini siamo creature anfibie e non possiamo perdere il doppio contatto con
la terra e con il cielo, se non vogliamo rinnegare la nostra natura composita.
Ciascuno di noi è un
suvmbolon, la
metà di in segno di riconoscimento, uno spezzone da completare. Dobbiamo
congiungere il non eterno con l’eterno: senza spregiare il transitorio, il
mortale, dobbiamo trovare in noi l’immortale. Il Faust di Goethe si chiude con
il Chorus mysticus che canta: “Tutto l’effimero-è solo un simbolo”
Bergoglio ha poi ricordato la centralità della persona umana e l’educazione che
deve dare la famiglia, la scuola, la società. Educazione al rispetto della
dignità propria e di quella del prossimo. Quindi il diritto-dovere del lavoro
la cui mancanza inficia la dignità dell’uomo. Quanto alla questione dei
migranti, il Papa ha detto che il nostro mare Mediterraneo non deve diventare un
grande cimitero.
Infine la questione centrale dell’identità: tanto quella delle singole persone
quanto quella dei popoli non va portata all’ammasso di una globalizzazione alla
quale non dobbiamo permettere di annientare il principium individuationis
con il “conosci te stesso”, proprio mentre con stridente contraddizione
incentiva l’egoismo più feroce.
Alcune aggiunte ha fatto Papa Bergoglio parlando al Consiglio d’Europa,
sempre il 25 novembre a Strasburgo.
Il pontefice ha indicato la via
della pace. Per incamminarci su questa strada e percorrerla “metodicamente”
dobbiamo riconoscere nell’altro un fratello da accogliere, da cui imparare.
L’umanesimo è amore per l’umanità, come la fanciulla di Sofocle :"
ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun",
(
Antigone, v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma
l'amore
Ed è espressione di umanesimo quanto dice
Teseo a Edipo nell’ultima tragedia del poeta di Colono : "e[xoid
j ajnh;r w[n"( Edipo a Colono
v.567), so di essere un uomo. Sapere di essere uomo è la coscienza della
propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Sapere di essere
uomo significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio,
provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande:" e sentendo compassione -
continua Teseo - voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la
città e per me ti sei fermato qui” (vv.562-563). Poi significa ascoltare e
comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e
destinati alla morte. "Anche io-dice il re di Atene al mendicante cieco,
incestuoso e parricida-sono stato allevato fuggiasco come te. Dunque so di
essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567-568).
Una simile dichiarazione di
umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo
nel più famoso verso di Terenzio:" :"
Homo sum: humani nil a me alienum
puto "
.
"Umana cosa è l'aver
compassione degli afflitti" sono le prime parole del Decameron.
Papa Bergoglio recentemente ha
detto di stare dalla parte dei poveri. In questo è davvero imitator Christi
e del santo suo eponimo.
Già Papa Ratzinger ha sottolineato il fatto che “Gesù si
identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati,
carcerati “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli
più piccoli, l’avete fatta a me” (
Matteo, 25, 40). Amore di Dio e amore
del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in
Gesù incontriamo Dio”
Sentiamolo in latino: “Amen dico vobis: Quamdiu fecistis
uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis”
E in greco ‘ajmh;n
levgw uJmi`n, ejf j o{son ejpoihvsate eJni; touvtwn tw`n ajdelfw`n mou tw`n
ejlacivstwn, ejmoi; ejpoihvsate”.
Anche questa forma di umanesimo, di alta umanità non era
ignota ai Greci:
Nausicaa nel VI
canto dell’
Odissea (vv.207-208) poi Eumeo nel XIV (vv. 57-58) dicono a
un Odisseo malridotto che vogliono aiutarlo perché vengono tutti da Zeus gli
stranieri e i mendichi, e un dono anche piccolo è caro per loro
Occorre combattere la cultura
del conflitto ha detto il Papa: bisogna fermare la corsa agli armamenti.
Dobbiamo opporci al traffico degli esseri umani, alla loro mercificazione, alle
nuove forme di schiavitù che possono essere più dolorose e degradanti di quelle
antiche. Per fare questo ci vuole coscienza e ci vuole cultura. Coscienza di noi
stessi, del presente e del passato. Senza la conoscenza del passato si vive come
entità casuali, come un albero senza radici. Non siamo qui per caso. Niente
avviene per caso.
“There is a special
providence in the fall of a sparrow" c'è una provvidenza speciale perfino
nella morte di un passero (Amleto, V, 2).
C’è un fatum che è il
fari (il parlare) di Dio: Fatum nihil
aliud est quam series implexa causarum
(Seneca, de beneficiis IV 7), una serie di cause concatenate
Paolo VI definì la Chiesa come
una istituzione “esperta in umanità”. L’uomo umano ha bisogno di dialogare, di
meravigliarsi, di considerare se stesso e la vita intera come problema. Non può
accontentarsi dei luoghi comuni della propaganda pubblicitaria avida,
interessata al lucro.
E’ necessaria una nuova agorà
dove confrontare le idèe, dove cercare la verità che è
ajlhvqeia, non latenza
,
disvelamento.
La cultura,
paideiva, come educazione e come
apprendimento, nasce sempre dall’incontro, dall’attenzione, dall’ascolto e dalla
cura degli altri
Bologna 27 novembre 2014
Giovanni Ghiselli
S.
Kierkegaard,
Enten-Eller , Il riflesso del tragico antico nel
tragico moderno, Tomo Secondo, p. 24.
.
Il
quale, come vede Sostrato davanti alla porta di casa sua, invoca il suo
bene supremo:
Lettera Enciclica
Deus Caritas est di Benedetto XVI sull’amore
cristiano, Libreria editrice vaticana. Città del Vaticano 2006, p. 36).