La Moira Atropo siede nell'attesa inesorabile di reciderlo John Strudwick, A Golden Thread, 1885 |
Ma torniamo al X libro della Repubblica di Platone.
Le anime dunque vedevano l’asse dell’universo.
Le Moire
Sedevano in trono tre persone diverse dalla folla: le figlie
di Ananche, le Moire vestite di bianco e con dei serti (stevmmata, 617c) sul capo.
Queste sono Lachesi, Cloto e Atropo che cantavano
sull’armonia delle sirene.
Lachesi cantava ta; gegonovta, il passato, Cloto ta; o[nta, il presente, Atropo ta; mevllonta, il futuro.
Le tre Moire[1]
accompagnavano con la mano i moti del fuso.
Le anime dovettero presentarsi a Lachesi, quella che dà le
sorti.
Quindi un portavoce (profhvth~)
dispose in fila la folla, poi prese
delle sorti, dei modelli di vita dalle ginocchia di Lachesi.
Infine il profhvth~
, salito su un’alta tribuna, diede voce al pensiero di Lachesi, la vergine
figlia di Ananche ( jAnagkh" qugatro;" kovrh"
Lacevsew" lovgo~).
Disse: “Questo è
l’inizio di un altro ciclo di mortalità
della razza mortale.
, e non sarà il demone a sorteggiare voi, bensì voi
sceglierete il demone
( “ oujc uJma'"
daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (617 e).
Chi è sorteggiato a scegliere per primo, prenda per primo la
vita cui sarà congiunto”.
La parola di Lachesi
aggiunge che la virtù è senza padrone (ajreth;
de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda
che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta[2], non
la divinità” (aijtiva eJlomevnou: qeo;~
ajnaivtio~ (617 e).
Riferite queste parole, il portavoce di Lachesi gettò le
sorti con il turno della scelta, e ognuno tirò su quella che aveva vicino. Er
non poté farlo.
Quindi il prfhvth~
mise in terra davanti a loro svariati modelli di vite: umane e di animali.
C’erano vite di tutti i tipi, e anche mescolanze di tipi.
Il profhvth~
aggiunse che anche chi sceglieva per primo non doveva essere negligente e
l’ultimo non doveva scoraggiarsi ma
scegliere con senno: mhvte oJ a[rcwn
aiJrevsew~ ajmeleivtw mhvte oJ teleutw`n ajqumeivtw (619b).
Socrate che fa questo
racconto dice a Glaucone che bisogna studiare soprattutto come scegliere la migliore tra le vite possibili.
Buona è la vita che tende alla giustizia, cattiva quella che
va verso l’ingiustizia. Bisogna essere refrattari a lasciarsi colpire dalle
ricchezze e da simili malanni come la tirannide. Bisogna fuggire tutti gli
eccessi in entrambi i sensi (feuvgein ta;
ujperbavllonta eJkatevrwse, 619).
Er raccontò che il primo scelse la tirannide senza
accorgersi che questa racchiude il destino di mangiare i propri figli e altre
sciagure. Poi se ne avvide e si mise a piangere. Quest’uomo veniva
dall’apertura nel cielo poiché aveva vissuto la vita precedente in uno Stato
bene ordinato praticando la virtù, per abitudine, senza filosofia (e[qei a[neu filosofiva~, 619d).
Era più facile che scegliessero precipitosamente e
sbagliassero quelli scesi dal luogo beato, in quanto inesperti di travagli (a{te povnwn ajgumnavstou~), mentre quelli
che venivano dalla terra, siccome erano tribolati e avevano visto altri
soffrire, non facevano la scelta ejx
ejpidromh`~ in modo affrettato.
Di nuovo il tw`/ pavqei
mavqo~.
Così c’era una permuta di beni e di mali.
Ma se uno in vita filosofa, poi la sua scelta non cade tra
le ultime, è facile che quest’uomo abbia due buone vite di seguito.
Comunque, dice Er, lo spettacolo era degno di essere visto,
uno spettacolo pietoso, ridicolo e meraviglioso (qevan
ajxivan ijdei`n kai; geloivan kai; qaumasivan, 620).
Vediamo però che la
scelta non è però del tutto libera siccome è condizionata dalle quantità di
sorti rimaste disponibili quando tocca
scegliere a ciascuno secondo
il numero d’ordine raccolto in
precedenza. Inoltre le anime erano condizionate
dalle esperienza fatte nella vita precedente.
Vediamo come.
Aiace Telamonio scelse la vita di un leone poiché rifuggiva
dal nascere uomo in quando ricordava il giudizio delle armi (620b).
Agamennone, per avversione al genere umano, scelse la vita
di un’aquila. Orfeo, scelse la vita di
un cigno non volendo nascere da grembo di donna mivsei
tou` gunaikeivou gevnou~ , in odio del genere femminile per la
morte sofferta dalle donne[3].
Il buffone Tersite scelse la natura di una scimmia.
L’anima di Odisseo, prese la sorte per ultimo e, guarito da
ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un
uomo privato e amante del quieto vivere ("bivon
ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", Repubblica 620c).
La trovò messa da parte e negletta dagli altri, ma disse che
l’avrebbe presa anche se avesse dovuto fare la scelta per primo.
Quindi Lachesi diede a ciascuno come custode (fuvlaka) il demone (daivmona, 620d) che si era scelto. Poi
Cloto Atropo e Ananche confermavano le
scelte e le rendevano immutabili.
In seguito le anime
venivano portate attraverso una
terribile calura e arsura fino al fiume Amelete perché ne bevessero l’acqua.
Una certa misura era obbligatoria. I meno prudenti ne bevevano più della misura
(plevon tou` mevtrou, 621) e mentre
bevevano scordavano tutto. Infine si addormentavano, scoppiava un tuono e le
anime venivano spinte a una nuova nascita cui si lanciavano come stelle
cadenti.
A Er era stato
impedito di bere e non sapendo come, si era trovato il mattino sulla pira. Socrate
commenta il mito con poche parole dicendo che per entrare nell’apertura e nella
via che va in alto bisogna praticare sempre la giustizia in modo da essere cari
a noi stessi e agli dèi qui in terra e dopo, nel viaggio millenario di cui si è
detto (621d)
Questo mito è un’immagine concentrata del nostro destino di
mortali. A me piace molto, e pur essendo una fantasia, credo che la sua
bellezza contenga anche una verità: che noi dobbiamo vivere in sintonia con il
nostro daivmwn che è il destino ed è
pure il carattere.
Eraclito
con il suo stile ieratico e lapidario insegna che l’uomo e il suo
destino coincidono: “ h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[4]”.
Se davvero noi abbiamo scelto sia pure con delle
limitazioni, il verso di questa vita prima di nascere, non lo so. So però che
ciascuno di noi eredita delle predisposizioni e che sta in ciascuno di noi
assecondarle o contrastarle secondo la direzione (trovpo~)
che intendiamo dare alla nostra vita. Voglio fare notare che la parola greca trovpo~ significa tanto “verso”,
“direzione”, quanto carattere.
Il nucleo dell’infelicità è tradire il proprio destino.
Se veniamo rinnegati dal nostro demone,
non c’è scampo all’infelicità.
"Qui, proprio qui, sta l'origine
dell'infelicità…Avvertiamo allora lo squilibrio tra il nostro essere in potenza
e il nostro essere in atto. E questa, questa è l'infelicità"[5].
"Molti provavano, per un istante, una penosa tristezza
perché tra la loro vita e i loro istinti c'era un tale dissidio, un tal
conflitto che la loro vita non era affatto una danza, bensì un faticoso e
affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si
erano accollati"[6].
“Nessuna creatura è
più squallida e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio”[7].
Sconcio in greco
si dice ajeikhv~, ossia non eijkov~ che
è la cosa neutra che non assomiglia, è l’uomo oggetto
non somigliante a se stesso.
Ognuno deve individuare il proprio destino, o ricordarlo
secondo il mito di Er, quindi amarlo poiché ciascuno è il proprio destino e l’uomo, se vuole realizzarsi, deve diventare quello che è.
Lo prescrive la somma del pensiero educativo di Pindaro: “gevnoio
oi|o~ ejssiv” (Pitica II v. 72), diventa quello
che sei.
Sentiamo anche Nietzsche
“ Il necessario
non mi ferisce; amor fati è la mia
intima natura, das ist meine innerste Natur ”[8].
“L’individuo è un frammento di fato da cima a fondo”[9].
"Il fatalismo turco contiene
l'errore fondamentale di contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose
separate…In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato…Tu stesso, povero
uomo pauroso, sei la Moira
incoercibile che troneggia anche sugli dèi"[10].
Inoltre: "La nostra origine è nei miti: tutti i miti
sono di origine"[11].
Può trattarsi dell’origine di un’usanza, di un nome, di un
culto, di una città, come spesso nella poesia ellenistica, ma può riguardare
anche la nostra genesi di persone.
Il mito di Er dell’ultimo libro della Repubblica di Platone ci ricorda che prima di venire sulla terra ci
siamo scelti un daivmwn, che è carattere e destino. Eujdaimoniva, felicità è,
etimologicamente, l’accordo con il proprio daivmwn.
Se non ricordiamo, non riconosciamo e non assecondiamo quel daivmwn liberamente scelto, saremo infelici e saremo
colpevoli della nostra infelicità: “aijtiva
eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~” (Repubblica,
617e), responsabile è chi ha fatto la scelta, il dio non lo è. E’ quello del
resto che afferma già Omero, attraverso Zeus nel primo canto dell’Odissea: “ Ahimé, come ora davvero i
mortali incolpano gli dèi!/ da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi
essi stessi/per la loro stupida scelleratezza hanno dolori oltre il
destino" (vv. 32-34).
Durante la vita
terrena "ci resta accanto un
compagno, una specie di angelo custode o spirito guida: il Daimon, il modello
del nostro destino, che in qualche modo ci aiuta e indirizza al compimento di
quella scelta che inizialmente proprio noi avevamo fatto, ma che abbiamo
dimenticato. Poiché il mito di Er, come lei accennava prima, è alla base del
suo Codice dell'anima…Lei ha citato uno dei miti sul perché esiste il dolore:
il Daimon ci mette di fronte le richieste del destino e noi recalcitriamo"[12].
"Poiché la felicità alla sua antica fonte era eudaimonia,
cioè un daimon contento, soltanto un daimon che riceve ciò che gli
spetta può trasmettere un effetto di felicità all'anima"[13].
Giovanni ghiselli
[1] Cfr. lagcavnw “ricevo in sorte”, klwvqw, “filo” e trevpw “volgo”
preceduto da aj- privativo, quindi l’inflessibile.
[2] E’ l’afferrmazione della responsabilità degli uomini,
già fatta da Zeus nel primo canto dell’Odissea:"Ahimé,
come ora davvero i mortali incolpano gli dèi! Da noi infatti dicono che
derivano i mali, ma anzi essi stessi per la loro stupida presunzione hanno
dolori oltre il destino. Così anche ora Egisto oltre il destino si prese
la moglie legittima dell’Atride, e lo ammazzò appena tornato,
pur sapendo della morte
scoscesa, poiché gliela predicemmo noi,
mandando Ermes, l’Argifonte
dalla vista acuta,
di non ammazzarlo e di non
corteggiarne la sposa:
infatti da Oreste ci sarà la
vendetta dell’Atride,
quando sia adulto e desideri
la sua terra.
Così diceva Ermes, ma non
persuadeva la mente
Di Egisto, pur pensando al
suo bene; e ora tutto insieme ha pagato” (vv. 32-43).
[3] Cfr. Virgilio, Georgica IV: spretae Ciconum quo munere
matres-inter sacra deum nocturnique orgia Bacchi-discerptum latos
iuvenem sparsere per agros” ( vv. 520-522) spregiate da questa fedeltà (a
Euridice)) le donne dei Ciconi fra riti
religiosi e le orge di Bacco notturno, sparsero per i vasti campi il giovane fatto a pezzi.
[4] Fr. 91 Diano, il carattere è il destino dell’uomo
[5] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 42.
[6] H. Hesse, Klein
e Wagner, p. 126.
[7] Schopenhauer come educatore, III inattuale (1874), p. 166.
[8] F. Nietzsche, Ecce homo (del 1888), Il caso
Wagner, p. 92.
[9] Crepuscolo degli idoli,
Morale contronatura 6.
[10]Nietzsche, Umano troppo
umano ,. II, Il viandante e la sua ombra, pp.. 155-156. Uscito nel 1878.
“Fu concepito come una quinta “considerazione inattuale”, intitolata Il vomere,, ma poi fu trasformato nel
libro di aforismo che conosciamo” (S. Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 236).
[11] J. Hillman, Il piacere
di pensare, p. 52.
[12] James Hillman, Il
piacere di pensare. conversazione con Silvia Ronchey, pp. 53-54.
[13] J. Hillman, Il codice
dell'anima , p. 112.
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