sabato 4 giugno 2016

Presentazione del libro "Limite" di Remo Bodei


Presentazione del libro Limite di Remo Bodei
(il Mulino, 1916)


L’estensione dei sensi e la plasticità del cervello umano (primo capitolo pp. 12-16).

I sensi costituiscono per quasi tutti gli animali “i canali di comunicazione tra l’interno e l’esterno dell’organismo”
Sono “le cinque principali finestre sul mondo”.
A mano a mano che queste  si chiudono, ci avviciniamo all’ultimo atto della vita dove noi, secondo il  malinconico Jaques di  As you like it [1],recitiamo sette parti durante sette età.
"L'ultima scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è una seconda fanciullezza e completo oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza nulla" (II, 7)

I nostri sensi sono in molti casi meno raffinati e potenti rispetto a quelli di altre specie: “ Non abbiamo, in effetti, l’udito dei cani per gli ultrasuoni, né l’olfatto degli squali (per non parlare del maschio di una farfalla, significativamente chiamata Satyr satyr, che avverte a chilometri di distanza l’odore della femmina). Non possediamo la proverbiale vista delle aquile, non cogliamo con i nostri occhi i movimenti rapidi come le rane, non percepiamo l’ultravioletto al pari delle api o l’infrarosso al pari dei polli”.

Pindaro attribuisce a Linceo ojxuvtaton- o[mma ( Nemea X, 61-62) , la vista più acuta tra tutti gli abitanti della terra. Dal Taigeto vide Ida che stava nel tronco di una quercia (cfr. anche Pausania, IV, 2, 7).
Per l’acutezza della sua vista (ojxuderkiva/)  Linceo era tanto superiore da penetrare anche sotto terra (wJ" kai; ta; uJpo; gh`n qewrei`n, Apollodoro, Biblioteca, III, 10). Ma questi sono miti, favole piene di iridescenti bugie.

“Vi è però uno dei canonici cinque sensi su cui la specie umana presenta un vantaggio: il tatto che- a causa della nostra pelle delicata, priva di pelliccia e di armature biologiche come quelle dei pachidermi-possiede nel suo campo una maggiore competenza e finezza nel discriminare le varie sensazioni. In noi questo senso si estende a tutto il corpo, che è sensibile al caldo e al freddo, al liscio e al rugoso, al morbido e al duro. In una storia della carne trovano così posto la carezza materna, l’erotica e il senso della certezza, del “toccare con mano” per accertarsi della verità di qualcosa”.

Admeto, nell’Alcesti di Euripide, comincia a credere che la donna velata portata nel suo palazzo da Eracle sia la propria moglie strappata alla morte solo dopo che ha chiesto e ottenuto dall’ospite il permesso di toccarla (qivgw (…);   v. 1131).

“Machiavelli, come strumento di potere da parte dei principi, contrappone opportunamente il tatto alla vista. Sostiene, infatti, che il principe lascia vedere ai sudditi solo quello che vuole mostrare, ma impedisce loro di toccare con mano, ossia di controllare, ciò che, simulando e dissimulando, vuol far loro credere.

E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscono opporsi all’opinione di molti che abino la maestà dello stato che li difenda” (Il principe, XVIII, 5-7)”.
In certi casi nemmeno il tatto è soddisfacente: per quanto riguarda l’amore, Lucrezio inficia il piacere del contatto sessuale con l’avverbio sesquipedale nequiquam:
"sic in amore Venus simulacris ludit amantis/nec satiare queunt spectando corpora coram/nec manibus quicquam teneris abradere membris/possunt errantes incerti corpore toto./Denique cum membris collatis flore fruuntur/aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus/atque in eost Venus ut muliebria conserat arva,/adfigunt avide corpus iunguntque salivas/oris et inspirant pressantes dentibus ora,/nequiquam, quoniam nil inde abradere possunt/nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam facere interdum velle et certare videntur:/usque adeo cupide in Veneris compagibus haerent,/ membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt " (De rerum natura, IV, vv. 1101-1114),  così nell'amore Venere con i simulacri beffa gli amanti, né possono saziarsi rimirando i corpi presenti, né con le mani possono raschiare via nulla alle tenere membra, mentre errano incerti per tutto il corpo. Infine, come, congiunte le membra, godono del fiore della giovinezza, quando già il corpo pregusta il piacere, e Venere è sul punto di seminare i campi della femmina, inchiodano avidamente il corpo e mescolano le salive della bocca, e ansimano premendo coi denti le labbra, invano poiché di lì non possono raschiare via niente, né penetrare e sparire nel corpo con tutto il corpo, infatti sembrano talvolta volere farlo lottando: a tal punto sono avidamente attaccati nei lacci di Venere, mentre le membra sdilinquite dalla violenza del piacere si struggono. 
Sembra che gli amanti vogliano mangiarsi a vicenda: invano.

Simile è questa situazione nel Castello di Kafka quando K. e Frieda “vacillarono e caddero sul letto. E lì giacquero, ma non con l’abbandono di quella prima notte. Lei cercava qualcosa, e lui pure, e ciascuno, furente e col viso contratto, cercava conficcando il capo nel petto dell’altro; né i loro amplessi né i loro corpi tesi li rendevano dimentichi, ma anzi li richiamavano al dovere di cercare ancora; come i cani raspano disperatamente il terreno, così essi scavavano l’uno il corpo dell’altro, e poi, delusi, smarriti, per trovare un’ultima felicità, si lambivano a volte con la lingua vicendevolmente il viso. Solo la stanchezza li pacificò e li riempì di mutua gratitudine. Poi sopraggiunsero le due serve. “Guarda quei due sul letto” disse l’una, e per compassione li coprì d’un lenzuolo”[2].

“Tutti i sensi possono essere modificati dall’educazione, come sa chiunque studi musica o pittura, faccia il sommelier o si eserciti semplicemente a guardare, ad ascoltare o a gustare. Essi possono essere migliorati, surrogati o sostituiti dalla tecnologia, che supera con artifici i limiti imposti dalla natura. Ciò avviene non solo attraverso protesi artificiali (dagli occhiali, inventati nel Medioevo, agli apparecchi acustici o ai più recenti sistemi di bioingegneria in grado, per ora, di far vedere ai ciechi delle ombre confuse), ma anche attraverso la realtà virtuale, che modifica lo stato di uno di essi, il tatto”.

La tecnologia ha fatto miracoli, ma il suo stesso inventore primo, Prometeo, deve riconoscere che essa è comunque molto più debole della necessità: “ tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ (Prometeo incatenato, v. 514).
Euripide riconosce questa forza suprema nel terzo stasimo dell’Alcesti
"Io attraverso le Muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).

Restituisco la parola all’autore che conclude questo secondo capitolo con un’altra considerazione relativa al tatto: “Quest’ultimo, appunto-a differenza della vista e dell’udito, che sono sensi pubblici della distanza e implicano la reciprocità del vedere e dell’essere visto, dell’udire e dell’essere udito-, è finora rimasto un senso privato: io tocco un oggetto, ma nessun altro può condividere con me la medesima sensazione nello stesso momento. Se però indosso, assieme ad altre persone vincolate al medesimo programma di realtà virtuale, un casco o dei guanti provvisti di sensori sul capo e nei polpastrelli, allora tanto io che gli altri abbiamo simultaneamente la medesima sensazione di toccare, ad esempio, gli spigoli di un cubo mostratoci nel cyberspazio”.


giovanni ghiselli 4 giugno 2016




[1] 1599-1600.
[2] Franz Kafka, Il castello, trad. it. Mondadori, Milano, 1973, p. 84

Nessun commento:

Posta un commento

La trasfigurazione di Isabella.

  Isabella sorrise, sedette e bevve il bicchiere di vino che le portai. Quindi contribuì alla mia educazione. Mi consigliò   di non ...