martedì 21 giugno 2016

Alcesti. II parte

Alcesti al Teatro Greco di Siracusa

Nietzsche accusa Euripide di avere portato lo spettatore sulla scena, ossia di avere scoperto e rappresentato il modello negativo del graeculus, dell’omuncolo.
Tuttavia nel Simposio Platone pone Alcesti tra i primi eroi quando fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita, non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ("uJpe; r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").

 In effetti il coro dell'Alcesti elogia l'eroina morente con queste parole: " i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh - gunhv t j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/" ( Alcesti, vv. 150 - 151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
 Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa", v. 290), poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292).
“Alcesti è “fida” come lo sono in battaglia i compagni pronti a morire per il capo. La scala dei valori è quella eroica della tradizione aristocratica”

 Manca dunque in questo dramma, presentato come quarto nella tetralogia, perciò al posto del satiresco, e dall' esito lieto, uno degli elementi caratteristici di Euripide: la polemica contro gli Spartani. Sono presenti invece le accuse contro il dio Apollo, il profeta dell'oracolo delfico che "spartaneggiava".

In questi primi versi vediamo la violenza e la frode del dio delfico che ammazza i Ciclopi e inganna le Moire; inoltre notiamo la sua viltà nell'abbandonare gli amici nel momento più difficile; quindi la vigliaccheria e l'egoismo sfacciato di un uomo, e re per giunta, che chiede alla giovane moglie di morire al suo posto, e infine la donna eroica e ottima consorte, Alcesti, che si sobbarca al sacrificio estremo che anche i genitori avevano rifiutato.

La prima parte del Prologo (1 - 76) è recitata Apollo (1 - 27) che, situato davanti alla reggia di Fere, in Tessaglia, espone l'antefatto della tragedia.
Ma vediamo i primi versi:

O reggia di Admeto, nella quale io sopportai 1
Di acconsentire a una tavola da servo, pur essendo un dio.
Zeus di fatto, ne è causa avendo ucciso il figlio mio
Asclepio con il gettargli la folgore dentro il petto:
e per questo adirato io ammazzo i Ciclopi 5
artefici del fuoco di Zeus; e il padre mi costrinse (hjnavgkasen)
a servire da salariato (qhteuvein) presso un uomo mortale come espiazione di questo. 7

Compare già l’ajnavgkh che costringe anche un dio come Apollo

Giunto a questa terra, pascolavo il bestiame per l’ospite
E fino a questo giorno custodivo questa dimora.
Infatti io pio (o{sio~ w[n) ho incontrato un uomo pio 10

Alla osiva inneggiano le Baccanti nel I stasimo delle Baccanti (vv. 370 ss)
Nel primo Stasimo delle Baccanti di Euripide il Coro invoca la Pietà perché scenda sulla terra a punire l'empia violenza di Penteo: " J Osiva povtna qew'n, - J Osiva d ' a{ kata; ga'n - crusevan ptevruga fevrei", - tavde Penqevw" ajivvvei"; " (vv. 370 - 373), Pietà signora tra gli dèi/Pietà che attraverso la terra/porti l'ala d'oro, /odi queste bestemmie di Penteo?
Antigone qualifica come "santa" la trasgressione degli ordini del tiranno: "o{sia panourghvsa" ' (Antigone, v. 74), dopo che ho compiuto un'illegalità santa.
In questo caso è pia non l'obbedienza ma la disobbedienza.
 “Hosía è la personificazione della purezza rituale: hósios per eccellenza è chi è stato iniziato e perciò si trova mondato da ogni contaminazione; così questa parola torna tipicamente nel vocabolario misterico.
I seguaci di Iacco sono “puri compagni di tiaso” (Aristofane, Rane 327); per contro, Penteo è anósios (v. 613)”.
Nelle Rane il Coro degli iniziati chiede a Iacco: ejlqevoJsivou~ eij~ qiaswvta~ (v. 327) vieni dai pii tuoi confratelli.
Nelle Baccanti, Penteo è estraneo e ostile al tiaso, quindi empio.

Il figlio di Ferete, che ho salvato dalla morte
Ingannando (dolwvsa~) le Moire: le dee mi concessero
Che Admeto sfuggisse all’Ade immediato,
se avesse dato in cambio un altro cadavere agli dei di laggiù (Al cesti, 11 - 14).

dolwvsa~ (v. 12) Apollo nelle tragedie del “sacrilego Euripide” è una divinità ingannevole, a volte addirittura criminale.

Nell’Andromaca "il ragazzo di Achille" (v. 1119) domanda:
"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà? per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini, mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani" (vv. 1125 - 1128). Il clero non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante che aizzò quel manipolo e lo spinse a combattere (vv. 1146 - 1148).
 Il messo alla fine della rJh'si" accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov" (v. 1164), come un uomo malvagio, e domanda: "pw'" a]n ou\n ei[h sofov"; " (v. 1165), come potrebbe essere saggio?
A questo proposito G. De Sanctis scrive: "Ora può darsi che Euripide osasse porre in così cattiva luce Apollo profittando del mal animo degli Ateniesi verso il dio che spartaneggiava in quegli anni come poi filippizzò".

E dopo avere messo alla prova e interpellato tutti gli amici,
 (il padre e la vecchia madre che li partoriva)
non trovò, tranne la moglie, uno che volesse,
morendo al suo posto, non vedere più la luce del sole (Alcesti, 15 - 18)

plh; n gunaikov~ (v. 17): Alcesti è l’eroina che si eleva su tutti gli altri personaggi di questa tragedia.

Diversamente da Sofocle, Euripide mostra che i legami di sangue (il padre e la madre di Admeto) sono meno forti di quelli nati dall’affetto.

Antigone fin dal primo verso sottolinea ed enfatizza il vincolo di sangue che, a parer suo, è il più forte tra le persone, come chiarirà nel quarto episodio, dove spiega che un parente pur stretto come uno sposo, ma acquisito, una volta morto si può rimpiazzare, mentre un fratello, defunti i genitori, non è possibile che nasca di nuovo
Questa è una delle non poche posizioni che accomunano Sofocle a Erodoto il quale (in III, 119, 3 - 6) esprime il medesimo punto di vista attraverso la moglie di Intaferne: la donna, potendo salvare uno solo dei suoi familiari imprigionati dal grande re Dario, scelse il fratello con la medesima argomentazione della ragazza sofoclea.
Questa scelta costituisce uno degli aspetti dell'arcaismo di Sofocle, il quale, sostiene Hauser, "fin da principio sacrifica l'idea dello stato popolare democratico agli ideali dell'etica nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il potere assoluto ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l'idea tribale". Sofocle nuotò contro le onde della storia e delle mode culturali. Del resto “solo i pesci morti vanno con la corrente”.

e ora la sostiene in casa tra le braccia
agonizzante: infatti in questo giorno
è fatale che muoia e che si stacchi dalla vita.
Ed io, perché la contaminazione non mi colga (mh; miasma m j ejn dovmoi~ kivch/) nella reggia,
lascio (leivpw) il carissimo tetto di questa casa (Alcesti, 19 - 23).

Mivvasma (v. 23): è una parola chiave in diverse tragedie. Nell’Edipo re di Sofocle, miasma è lo stesso Edipo che ha contaminato la terra tebana con i suoi atti contrari alla natura.
Ricordo poi l'Oedipus dove il protagonista si accusa dicendo "fecimus coelum nocens ( v. 36), abbiamo reso colpevole il cielo.
La città malata per antonomasia è Tebe: Dante chiama Pisa "vituperio delle genti" e "novella Tebe" (Inferno, XXXIII, 89) per la crudeltà della pena inflitta ai figli innocenti del conte Ugolino.
Ma qui siamo in Tessaglia, e, del resto, la guerra del Peloponneso non è cominciata.
Qui si mette in evidenza la viltà di Apollo che abbandona (leivpw, v. 23) l’amico nel momento del lutto e del dolore, come farà sua sorella Artemide alla fine dell’Ippolito, quando il suo pupillo muore, perseguitato da Afrodite. La casta Artemide maledice la divinità madre di Eros ma non aiuta il ragazzo: “Kuvpri~ ga; r hJ panou'rgo~ w||d j ejmhvsato “ ( Ippolito, v. 1400) la scellerata Cipride ha macchinato questo.

Ma ecco che vedo già la morte qui vicino, 23
sacerdotessa dei morti, che ora sta per condurla giù
nella dimora di Ade: è giunta nel tempo dovuto (summevtrw~),
attenta a questo giorno in cui bisogna che lei muoia 27

summevtrw~ (v. 26): la morte non guarda in faccia nessuno: è la grande Eguagliatrice.

Quindi entra Thanatos, la morte, corredata di ali nere (cfr. v. 843: a[nakta to; n melavmpteron nekrw`n, la signora dei morti dalle ali nere) che, vedendo Apollo, rabbrividisce e lo accusa:
"Ahi, ahi, /che fai tu presso il palazzo? perché tu ti aggiri qui/Febo? commetti ingiustizia di nuovo limitando/e annullando gli onori degli inferi? /Non ti bastò avere impedito la sorte/di Admeto avendo ingannato le Moire/con arte dolosa? E ora, armata/la mano di arco fai la guardia su costei, /che si sobbarcò questo, liberando lo sposo: /di morire al suo posto lei stessa, la figlia di Pelia? (vv. 28 - 37)
La morte stessa dunque accusa Apollo di iniquità: anzi di varie forme di ingiustizia che si precisano nella sticomitia seguente:
"Fatti coraggio: ho buon diritto e argomenti validi" (v. 38), comincia Apollo sfidando l'avversario con la legge e soprattutto con la parola in una tenzone dialettica che considera la medesima azione come fatta bene e fatta male: "Che bisogno c'è dell'arco, se hai buon diritto? " (v. 39).
L'accusa di Thanatos è di violenza intenzionale. " E' abituale per me portarlo sempre" (v. 40), replica Apollo. Non si sa mai. E giovare a questa casa anche contro la giustizia" (ejkdivkw~, v. 41), ribatte la Morte con ironia, ribadendo l'accusa di fondo.
"Infatti mi affliggo per le sventure di un amico" (42). E' solo l'amicizia il movente delle azioni che dunque non possono essere malvagie.
" E mi priverai di questo secondo morto? " (43).
Thanatos, come dio e come forza della natura, ha i suoi diritti.
"Ma neppure quello ti ho portato via a forza" (44).

Infatti Apollo al v. 12 ha affermato di avere raggiunto il suo scopo "ingannando le Moire", un episodio che gli era stato rinfacciato dalle dèe venerande nelle Eumenidi (722 - 724):
 io vincerò la causa"
"così facesti anche nella casa di Ferete", risponde la corifèa delle Erinni,
"quando persuadesti le Moire (Moivra~ e[kpeisa~) a rendere immortali i mortali". Senza violenza dunque ma con un logos accorto

Ma qui nell'Alcesti si tratta di controbattere l'accusa di violenza.
Qualche maneggio deve esserci stato, a parere di Thanatos, altrimenti, domanda:
"Come mai è sulla terra e non sotto terra? " (45).

Apollo ricorda la permuta che ha salvato la vita di Admeto:
"Poiché ha dato in cambio la sposa per la quale tu vieni" (46), un cambio che certamente non fa onore al marito. Febo insiste perché Thanatos risparmi anche Alcesti: arriva a promettere un onore ancora più grande di quello che la Morte si aspetta dal decesso di un giovane:
"quando muoiono i giovani io ottengo un onore più grande" (55), afferma Thanatos, e Apollo ribatte:
"se muore vecchia sarà sepolta sontuosamente" ( plousivw~, v. 56)
 Allora la grande "uguagliatrice" accusa Febo di stare dalla parte dei ricchi:
"Stabilisci la legge, o Febo, per gli abbienti" (pro; ~ tw`n ejcovntwn, v. 57).
In effetti i sacerdoti dell'oracolo delfico, l'ombelico del mondo da dove zampillavano gli oracoli apollinei, appoggiava le consorterie aristocratiche e i regimi oligarchici.
Apollo replica con ironia: " come hai detto? non mi ero proprio accorto che tu fossi sapiente (sofo; ~ levlhqa~ w[n, v. 58)" rilevando nella critica dell'avversario un'eco di teorie sofistiche quali, ad esempio, quella di Antifonte che nel Discorso sulla verità denuncia come innaturali le differenze che le leggi e le usanze stabiliscono tra gli uomini.
Thanatos chiarisce a quale ingiustizia porterebbero i privilegi concessi da Apollo:
"pagherebbero (wjnoi`nt j a]n) quelli cui fosse possibile per morire vecchi" (59).

La Morte dunque appare egualitaria e irremovibile, ma Apollo le preannuncia:
"Certo tu, pur essendo cruda (wjmov~), dovrai cedere,
tale uomo sta per arrivare al plazzo di Ferete,
poiché l'ha mandato Euristeo, per una pariglia
di cavalle dai luoghi della Tracia dove duri sono gli inverni,
 uno che, ospitato in questa casa di Admeto,
ti porterà via a forza questa donna. " (64 - 69).

Con queste parole Febo svela il finale togliendo suspense alla trama e consentendo agli spettatori di concentrare l'attenzione sui caratteri dei personaggi: soprattutto sull'ottima Alcesti.


continua 

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