Pittore del Primato: Particolare con Elettra, Oreste e Pilade |
La falsa morte di Oreste
Il vecchio ricorda che Oreste vinse la gara di corsa drovmo~. Vinse anche il diauvlo~
e le altre gare del pentathlon ( lotta, salto, disco, giavellotto). Ma quando
un dio vuole fare del male, non c’è via di scampo, neppure se uno è forte. Il
giorno seguente al sorgere del sole c’era la corsa dei carri-wjkuvpou~ ajgwvn
(699). I concorrenti erano dieci da tutta la Grecia e due libici, ossia coloni ellenici della
Cirenaica, C’era fragore di carri e polvere che si levava (kovni~, 714). Oreste tenendosi stretto
alla meta, la rasentava sempre con il mozzo e allentava la briglia al cavallo
di destra, mentre frenava quello di sinistra che la sfiorava. A un certo punto
ci fu uno scontro. E l’intera pianura di Crisa si riempiva dei relitti dei
carri.
Rimanevano in gara
Oreste e l’auriga ateniese, abilissimo (781). Oreste era dietro e inseguiva, a
un tratto luvwn hJnivan ajristeravn,
allentando la briglia sinistra (743) del cavallo che faceva la curva (kavmptonto~ i{ppou, 744), urtò l’orlo estremo
della stele e spezzò l’asse della ruota. Cadde dal carro impigliato nelle
redini. La folla lanciò un grido di orrore. Non c’era più niente da fare. Lo
arsero sul rogo.
Clitennestra chiede a Zeus che cosa significhi. Se è una
fortuna o una cosa tremenda ma utile (deina;
me;n, kevrdh dev, 767). Comunque è penoso se mi salvo la vita a prezzo
dei miei lutti (768).
“deino;n to; tivktein
ejstivn (770), partorire è tremendo, e una madre, anche se maltrattata,
non può odiare i figli (771).
Però poi dice di essersi liberata dalla paura di Oreste
(783) e anche del fovbo~ delle
minacce di Elettra che infatti si sente distrutta.
Elettra rimasta sola dice che non ha più voglia di vivere: tou` bivou d j oujdei;~ povqo~ (822).
Commo Coro Elettra
823-870.
Il Coro per fare coraggio alla ragazza che crede mporto il
fratello nomina Anfiarao vendicato dal figlio Alcmeone che uccise la madre
Erifile, la quale, sedotta dalla collana di Armonia promessale da Polinice
rivelò il nascondiglio dove si era rifugiato il marito.
“Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fé caro
parer lo sventurato adornamento” (Purgatorio, XII, 49-51). Esempio di superbia punita I cornice
Ma Elettra è disperata.
III Episodio 871-1057
Arriva Crisotemi dicendo che Oreste è vivo.
Ha visto safh`-
shmei` j segni chiari sulla
tomba (885-6). Ha visto un bovstrucon
tagliato da poco (901). E’ convinta che sia di Oreste perché nessun altro può
avere fatto quell’offerta pericolosa. Ma Elettra continua a crederlo morto.
Comunque propone alla sorella un’impresa che costerà fatica
poiché senza fatica niente riesce bene (povnou
cwriv~ oujde;n eujtucei`, 945)
Elettra rivolge una perorazione a Crisotemi: vuole un aiuto
contro gli assassini del padre. Se la loro ribellione avrà successo, lei sarà
sempre chiamata ejleuqevra
(970) e otterrà nozze degna poiché le
azioni nobili sono ammirate da tutti (972).
Le due sorelle (kasignhvtw, 977) saranno ammirate per il
loro coraggio. Per quelli di nobile nascita è turpe vivere turpemente ( zh`n aijscro;n aijscrw`~ toi`~ kalw`~ pefukovsin,
989).
Ecco il codice eroico e aristocratico (cfr. l’ Aiace: il Telamonio prima di suicidarsi
per non sopravvivere alla degradazione, dice :"ajll j h] kalw'" zh'n h]
kalw'" teqnhkevnai- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve vivere con stile, o con stile morire.
(vv.479-480).
Ma Crisotemi ha paura; dice alla sorella che deve cedere ai
potenti (toi`~ kratou`sin eijkaqei`n
(1014), poiché è nata donna e non uomo (gunh;
me;n oujd j ajnhvr e[fu~, 997) e
non ha alcuna forza (sqevnousa mhdevn,
1014). Si comporta come Ismene nell’Antigone.
Elettra allora decide che dovrà agire da sola e di sua mano ajll j aujtoceiriv moi movnh/ te drastevon
(1029)
Dice poi alla sorella che invidia la sua prudenza ma odia la
sua viltà.
Elettra vuole cacciarla e Crisotemi le rinfaccia la mancanza
di mavqhsi~ (1032), capacità di capire.
E aggiunge che anche la giustizia a volte porta danno: all’ e[stin e[nqa chj divkh blavbhn fevrei
(1042). Cfr. summum ius summa
iniuria[1] di Cicerone.
Elettra dice che non vuole vivere con le loro leggi (1043,
cfr. ancora una volta Antigone).
Poi dà della vile e della odiosa alla sorella. E conclude: andare
a caccia del vuoto è segno di grande stoltezza: “pollh`~
ajnoiva~ kai; to; qhra`sqai kenav (1054)
II Stasimo (1058-1097)
Il Coro nota che i saggissimi uccelli dell’aria (a[nwqen fronimwtavtou~ oijwnouv~, 1058)
provvedono all’alumentazione dei padri dai quali ricevettero benefici. Perché
noi no?
Negli Uccelli di
Aristofane, Pistetero ricorda al parricida, che vuole strozzare il padre e prendergli
tutta la roba, una legge antica degli
uccelli: quando un padre cicogna (oJ path;r
oJ pelargov~, 1355) ha nutrito tutti i cicognini, finché siano atti al
volo, dopo dei` tou;~ neottou;~ to;n patera
pavlin trevfein (1357), bisogna che i piccoli a loro volta poi nutrano
il padre.
Zeus e Temi metteranno le cose in ordine.
Elettra piange senza posa suo padre come il dolente usignolo
(o{pw~ aJ pavndurto~ ajhdwvn (1077)
senza paura della morte. La ragazza è il degno germoglio di una stirpe di eroi.
Sei caduta in una sorte cattiva ma ricevi il premio più alto
secondo le leggi che supreme germogliarono –
a} de; mevgist j e[blaste novmima (1096).
Sono gli a[grapta
novmima dell’Antigone (454 ss)
e i novmoi uJyivpode~ dell’Edipo re (v. 865)
IV Episodio 1098-1383
Entrano Oreste e Pilade con un’urna cineraria.
Dicono che sono mandati dal vecchio Strofio.
Oreste mostra l’urna con le “sue” ceneri a Elettra la quale stringe l’ a[ggo~ tra le braccia e dice al morto che è diventato un nulla (oujdevn, 1129), mentre si allontanò da casa che era fiorente
di vita. Sei giunto smikro;~ o[gko~ ejn
smikrw`/ kuvtei (1142), piccolo mucchio in piccola urna.
Non nostra madre ajll j
ejgw; trofov~ (1147), ma io ti sono state nutrice, io la sorella che
sempre chiamavi.
Ora gelw`si d j ejcqroiv (1153), i nemici
ridono e impazzisce di gioia la madre- non madre: maivnetai d j uJf j hJdonh`~ -mhvthr ajmhvtwr (1153.4). Cfr.l’orrore della derisione nell’Aiace di Sofocle e nella Medea
di Euripide.
Ora oJ dustuch;~ daivmwn,
il destino di sventura mi manda, invece della tua amatissima forma, spodovn te kai; skiavn (1159) cenere e
ombra.
Elettra vorrebbe seguire il fratello nella tomba: “ non vedo
infatti morti che soffrono” ( tou;~ gar qanovnta~ oujc oJrw` lupoumevnou~,
1170).
Il Coro la consola dicendo che la morte è un debito che
tutti dobbiamo scontare.
Un topos che si trova
anche in Anassimandro (VI sec. a, C.)
Nietzsche
definisce Anassimandro “il primo scrittore filosofico dell’antichità”, un
filosofo che si esprime con “una scrittura lapidaria e grandiosamente
stilizzata”[2].
Il frammento
superstite dice che le cose che nascono devono morire kata; to; crewvn, secondo il dovuto, siccome pagano reciprocamente il
fio della loro ingiustizia (didovnai
ga;r auJta; divkhn kai; tivsin ajllhvloi~ th`~ ajdikiva~) secondo l’ordine del tempo (kata; th;n tou' crovnou tavxin).
Oreste si
commuove e dura fatica a dominare la parola.
Compiange il
corpo devastato di Elettra e la sua esistenza priva di nozze. Elettra accusa
Clitennestra la quale mhvthr
kalei`tai, mhtri;; d j oujde;n ejxisoi`
1194 , non assomiglia per niente a una madre.
Infatti ha
percosso e umiliato la propria figliola. Oreste che ancora non si è fatto
riconoscere è il primo a provare compassione.
Il fratello
infine si rivela dicendo che la storia
della propria morte era un racconto fittizio (lovgo~ hjskhmevno~,
1217, da ajskevw)
Quindi
mostra come prova sfragi`da patrov~ (1223) un sigillo del padre nel
castone dell’anello.
Festeggiamenti
reciproci
Duetto
lirico-giambico tra i due fratelli (1232-1287)
Oreste dice
che per il momento siga`n a[meinon (1238) è meglio tacere. Elettra non
teme l’eccessivo carico di donne che sta dentro il palazzo ( perisso;n a[cqo~ e[ndon-gunaikw`n, 1241-1242).
Forse pensa
anche a Egisto che il Coro dell’Agamennone
aveva chiamato “donna” (1625)
Ma Oreste risponde
che c’è un Ares anche nelle donne kajn
gunaixi;n [Arh~ e[nestin (1243-1244). Per agire bisogna
aspettare l’occasione
Ora Elettra si sente libera di parlare e dice al
fratello quanto le è mancato
Oreste
invita Elettra a non parlare invano correndo il rischio di non acciuffare il kairovn
(1292). Bisogna piuttosto agire. Bisogna fingere davanti a Clitennestra che è
nella reggia, mentre Egisto è lontano.
Questo
calcolare pieno di prudenza fa pensare all’Odisseo di Omero e del Filottete.
Elettra, ben
più eroica, dice a Oreste che se lui non fosse giunto lei si sarebbe salvata kalw`~ oppure
sarebbe morta kalw`~ (h] kalw`~ ajpwlovmhn,
1321).
Il Pedagogo
li esorta ad agire : “to; mevllein
kakovn” 1337, l’esitazione è pericolosa.
Elettra
manifesta la sua riconoscenza al vecchio maestro il quale ribadisce nu`n kairo;~ e[rdein (1368), ora è il momento di agire
poiché Clitennestra è sola. Elettra prega Apollo.
III Stasimo
1384-1397
Ares avanza
spirando strage. Poi ci sono a[fuktoi
kuvne~ (1388) le cagne ineludibili, ma in questa
tragedia non se la prendono con Oreste, l’ ajrwgov~ , il
soccorritore guidato da Ermes, bensì con Clitennestra.
Esodo
1398-1510
Si sente
Clitennestra che grida da dentro. Chiama Egisto. Poi dice al figlio oi[ktire th;n tekou`san (1411), abbi pietà per chi ti ha
partorito.
Elettra ribatte da fuori che lei non ha avuto pietà.
E Clitennestra w[[moi
pevplhgmai (v.1414, cfr.
Eschilo, Agamennone 1343 e 1345).
Quindi Elettra: “pai`son, eij sqevnei~, diplh`n /1415). Parole chiave del dramma omesse da
quell’imbecille di Lavia.
Dunque telou`s j ajraiv (1419), commenta il coro: le maledizioni si compiono, e
i morti di prima attingono il sangue dai loro uccisori.
Come Nesso
nelle Trachinie.
Oreste esce
insanguinato e dice alla sorella che non dovrà più temere la madre. Quindi
arriva Egisto, lo spensierato, dal
sobborgo.
Oreste e
Pilade si appostano
Egisto
chiede a Elettra notizie su Oreste e, credendo che sia morto, vuole farlo
sapere a tutti. Elettra finge di sottomettersi.
Si apre la
porta e si vede un cadavere coperto da un velo.
Egisto teme
gli dèi e decide che come parente deve compiangere il morto. Poi vede che non è
di Oreste il cadavere, ma di Clitennestra
Capisce di
essere caduto ejn mevsoi~
ajrkustavtoi~ (1476) in
mezzo a reti tese. Capisce di essere perduto o[lwla (1482)
ma vuole parlare.
Elettra
grida a Oreste di non permettergli di mhkuvnein
lovgou~ (1484),
allungare il discorso. Devono ammazzarlo subito e abbandonarlo tafeu`sin
(1488) ai suoi becchini (cani e uccelli). Sarà il riscatto luthvrion
(1490) delle proprie sofferenze.
Oreste dice
a Egisto che non c’è un lovgwn
ajgwvn (1491) una torneo
oratorio, ma si tratta della sua vita. Poi lo spinge dove lui ha ucciso
Agamennone. Egisto chiede se sia necessario che la casa dei Pelopidi continui a
vedere delitti.
Ma Oreste
non sente ragioni e gli fa fretta. Con le ultime parole dice che se la morte
venisse inflitta a quanti vogliono trasgredire le leggi la delinquenza non
sarebbe molta (to; ga;r panou`rgon
oujk a]n h\n poluv (1507)
Il Coro
chiude il dramma dicendo che con queste sofferenze, alla stirpe di Atreo si è
aperto un varco verso la libertà.
Il problema
morale non si pone. Oreste esegue un ordine di Apollo ed è innocente. Ma
dell’oracolo Sofocle scrive poche parole. L’uccisione di Clitennestra è ridotta
a un brevissimo episodio rispetto alle Coefore.
Per Sofocle
gli dèi sono buoni e giusti ma gli uomini non possono penetrare nell’abisso
della loro saggezza.
Giovanni
ghiselli
Mi piace. Giovanna Tocco
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