NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 2 giugno 2016

IL MITO. Il mito in Platone. Parte III

scena di simposio, Paestum

Viene poi il discorso di Aristofane (189 c 2 - 193 e 2) . Il grande commediografo si esprime per immagini e, con un'antropologia fantastica, interpreta Amore come nostalgia della totalità della natura umana. Ogni persona è una creatura dimidiata che tende a ricongiungersi con la metà da cui è stata divisa. Una bella immagine significativa di questa sofferta dicotomia rappresenta ciascuno di noi mortali come il segno di riconoscimento di un uomo in quanto siamo stati divisi come le sogliole:" e{kasto" ou\n hJmw'n ejstin ajnqrwvpou suvmbolon, a{te tetmhmevno" w{sper aiJ yh'ttai", quindi ognuno cerca l'altra metà del segno di se stesso: "zhtei' dh; ajei; to; auJtou' e{kasto" suvmbolon" (191 d). "Era come fossero le due metà d'un segno di riconoscimento"[1].
In origine gli uomini erano doppi rispetto a oggi: ciascuno costituiva un intero (o{lon 189d) di forma sferica con quattro mani, quattro gambe e due facce uguali. Inoltre i sessi erano tre: quello maschile che traeva origine dal Sole, quello femminile che derivava dalla Terra, e quello misto, l' androgino, di origine lunare, costituito dalla natura maschile congiunta con quella femminile. Dai primi due tagliati a metà sono derivati gli omosessuali, maschi e femmine, dal terzo gli eterosessuali poiché ciascuno tenta di ricomporre l'unità fratturata cercando ciò che gli è congenere.

Segue il discorso di Agatone (194 e 4 - 197 e 8) .
 Amore è il più bello e nobile tra gli dèi. E' anche il più giovane: infatti fugge di corsa la vecchiaia. Egli genera concordia: e se ci fosse stato lui nei tempi primordiali non ci sarebbero stati incatenamenti né amputazioni:" ejktomai; oujde; desmoiv" (195c) . Amore è delicato (aJpalov") , ma gli manca un poeta come Omero che rappresenti la sua delicatezza. Egli si insedia nelle anime delicate, mentre si allontana dalle anime dure. Inoltre è bello e cerca bellezza: infatti tra amore e bruttezza c'è una guerra continua. Passa la sua esistenza in mezzo ai fiori. La sua virtù sta nel fatto che il dio non fa e non riceve torti (ou[t j ajdikei' ou[t j ajdikei'tai) . Oltre che di giustizia è dotato di somma temperanza (196c) : infatti, essendo più forte di tutti gli altri piaceri e istinti, li domina. Quanto a coraggio, neppure Ares resiste ad amore. Cfr. Lucrezio Inno a Venere e Ovidio che negli Amores scrive:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans " (I, 9, 1 - 2) , è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato.
 Inoltre rende poeta chi lo prova. Amore insegna tutte le arti. Ciò che amore non tocca rimane nella tenebra (skoteinov" 197a) . Dall'amore della bellezza ha preso origine ogni cosa buona fra gli dèi e fra gli uomini. Egli ci vuota di ogni ostilità e ci riempie di ogni fratellanza e "prepara tali incontri tra noi per metterci insieme e diventa nostra guida nelle feste, nei cori, nei sacrifici" (197d) , ispira mitezza, è timoniere, compagno e salvatore supremo nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola (197e) . E’ una riabilitazione rispetto alle tante calunnie dei detrattori di Eros. Cfr. Sofocle (Antigone) , Apollonio Rodio e altri.

Quindi parla Socrate (198 a 1 - 212 c 3) che premette di volere fare un encomio non bello e grandioso come i precedenti, ma vero, senza seguire le regole dell'oratoria ma usando le parole e le frasi come gli verranno in mente. Il filosofo inizia un dialogo confutatorio con Agatone ma, per cortesia nei confronti dell'ospite, non percorre questa strada fino in fondo. In ogni modo il suo discorso, successivo a quello dei due drammaturghi di successo "viene ad essere la realizzazione visibile di quel primato della filosofia sulla poesia che Platone sostiene nella Repubblica "[2].
Cfr. L’antica ruggine tra filosofi e poeti[3].
Socrate afferma di ripetere quanto udì da Diotima di Mantinea una donna sapiente nelle cose d'amore e in molte altre (tau'tav ge sofh; h\n kai a[lla pollav , 201 d) . La sacerdotessa dunque gli insegnò che Eros è qualche cosa di intermedio (ti metaxuv, 202 a) . E' gran demone, figura intermedia tra i mortali e gli dèi (Daivmwn mevga" … metaxuv ejsti qeou' te kai; qnhtou' , 202d) , figlio di Poros (Espediente) e della mendicante Penia (Povertà) , e partecipa della natura di entrambi, delle miseria della madre e delle capacità anche seduttive del padre; inoltre è un filosofo poiché si trova a metà strada fra sapienza e ignoranza:"sofiva" te au\ kai; ajmaqiva" ejn mesw/ ejstivn" (203 d) .

Cfr il De deo Socratis di Apuleio e il Peri; tou' Swkravtou" daimonivou di Plutarco.

 Amore insomma è la tendenza a possedere il bene per sempre (206 a) e vuole la procreazione nel bello secondo l'anima e secondo il corpo: "tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (206 b) . Per il tovko" ci vuole la bellezza che è Moira e Levatrice nella procreazione. Amore infatti non è desiderio del Bello ma di generare e partorire nel bello (206 d) . Ed è anche amore di immortalità poiché la procreazione è immortalità. La natura mortale cerca con ogni mezzo di rendersi immortale. La paternità fisica però "è la forma più rudimentale in cui si esprime la brama per il bene eterno".
 Lo scopo di Diotima - Socrate "è quello di chiarire la concezione della paternità spirituale"[4]. La brama di onori che ha indotto Alcesti, Achille, Codro e molti altri a disprezzare la morte e il pericolo è una forma più spiritualizzata di brama dell'eterno. Chi è maturo per la creazione spirituale cerca, attraverso un bel viso e una bella persona, un'anima bella e nobile e imprende a educarla. Quindi le due anime amiche danno vita a una progenie spirituale quale i poemi omerici o le legislazioni di Licurgo e Solone che sono già creazioni altissime ma si può andare oltre. Infatti dall'amore delle cose belle si deve giungere alla contemplazione della bellezza suprema. Il pellegrino d'amore prende le mosse dalle cose belle di quaggiù e procede attraverso queste come per gradini, da un corpo bello a due e da due a tutti i corpi belli, quindi alle belle attività umane, alle belle conoscenze, fino alla conoscenza del bello in sé. Questo è il momento della vita più di ogni altro degno di essere vissuto per l'uomo: quando contempla il bello in sé (biwto;n ajnqrwvpw/ qewmevnw/ aujto; to; kalovn", 211d.) . La bellezza in sé è pura, schietta, integra, non contagiata da carne umana, da colori e da altre sciocchezze di cui è piena la condizione mortale, e coincide con lo stesso bello divino (aujto; to; kalovn aujto; to; qei'on kalovn, 211e) . Solo l'uomo che ha contemplato tale bellezza potrà produrre non simulacri di virtù ma virtù vere. "L'unione di Eros e Paideia è il pensiero fondamentale del Simposio…Con quella sua figurazione del volo di due anime intimamente unite al regno della bellezza eterna, Platone ha dato a Eros l'immortalità"[5].

Nell'ultima parte della festa arriva Alcibiade che fa un panegirico di Socrate (212 c 4 - 222 b 7) . Il figlio di Clinia costituisce "il più brillante esempio vivente di una vita ambiziosa… Egli ha scelto il mondo, ed ha tutto ciò che il mondo può dare. Ci stanno davanti i due tipi d'uomo, l'uno di fianco all'altro, e ascoltiamo la confessione dell'uomo mondano, avvolto nella piena luce del trionfo, che ammette di avere scelto la parte peggiore". Socrate "si muove in mezzo ad una società brillante e spregiudicata come un sir Galahad non perché non sia un vero uomo in carne e ossa, ma perché il suo cuore è impegnato altrove e non ha nulla da sprecare per gli amori fatui"[6]. Alcibiade elogia Socrate per immagini (di' eijkovnwn, 215 a) : lo paragona ai Sileni esposti nelle botteghe, sia per l'aspetto, sia per il fatto che all'interno contengono l'immagine del dio; inoltre lo assimila a Marsia: come il satiro incantava con i flauti, così Socrate, l'uomo erotico, affascina con le nude parole. Queste del resto mettono il giovane dandy sotto accusa: le parole di Socrate mi costringono ad ammettere, confessa Alcibide, che, pur avendo molte mancanze, trascuro me stesso e mi occupo invece delle cose degli Ateniesi (ejmautou' me;n ajmelw', ta; d JAqhnaivwn pravttw" (216 a) . Perciò fuggo da lui, come dalle Sirene, con le orecchie turate. Socrate non si cura né della bellezza del corpo né della ricchezza. Alcibiade che era un uomo di successo, bellissimo e molto corteggiato cercò di sedurre Socrate senza riuscirvi. Lo invitò a cena proprio come un amante che insidia l'amato. La prima volta la preda presunta andò via subito dopo avere cenato, ma la seconda rimase a riposare in un letto vicino a quello del corteggiatore il quale era stato colpito e morso dai suoi discorsi di filosofia che si attaccano più selvaggiamente di una vipera (oi} e[contai ejcivdnh" ajgriwvteron, 218 a) . Alcibiade dunque offrì con garbo i suoi favori a Socrate il quale rispose com'è sua abitudine mavla eijrwnikw'" , molto ironicamente che lo scambio propostogli era troppo impari :" tu infatti - disse - cerchi di procurarti, invece dell'apparenza, la verità del bello e davvero pensi di scambiare armi d'oro con quelle di bronzo[7] (218 e) . Sicchè Socrate disprezzò, derise e oltraggiò la bellezza dell'uomo più avvenente e corteggiato di Atene. Alcibiade continuò ad ammirarlo lo stesso per le sue qualità e capacità straordinarie: l'uomo davvero demoniaco e meraviglioso era più invulnerabile alla ricchezza che Aiace alla spada, aveva una straordinaria capacità di sopportare fame, freddo e fatiche, ma sapeva anche godere fino in fondo nelle feste e poteva bere senza ubriacarsi.
 Il giovane lo osservava durante la campagna militare di Potidea[8]. Una volta il filosofo rimase immobile a meditare da un'alba a un'altra finché, rivolta una preghiera al sole (proseuxavmeno" tw'/ hJlivw/ , 220 d) se ne andò. Dopo la battaglia, Alcibiade fu decorato per il suo grado sociale ma durante lo scontro fu Socrate a salvargli la vita.
A Delio (nel 424) il maestro si comportò ancora meglio che a Potidea. Dunque questo filosofo è un uomo del tutto straordinario e può essere paragonato solo ai sileni e ai satiri. I suoi discorsi, considerati superficialmente sembrano ridicoli poiché parlano di asini, fabbri, calzolai e conciapelli, ma quando vengono aperti rivelano, solo loro, di avere una mente (nou'n e[conta" , 222 a) e molte immagini di virtù. Socrate dunque è l'incarnazione del bello in sé cui tende l'amore come meta suprema.
Cfr Cristo. Erasmo pregava sancte Socrates, ora pro nobis.

 Segue l'epilogo con la conclusione del banchetto. Alla fine solo Agatone, Aristofane e Socrate erano svegli e bevevano. Il filosofo parlando con i due drammaturghi li costrinse ad ammettere che la stessa persona deve saper comporre tragedie e commedie. Quindi il commediografo e il tragediografo si addormentarono. Socrate invece, seguito da Aristodemo che racconterà questi fatti ad Apollodoro da cui li abbiamo conosciuti in questa narrazione di narrazione, si recò al Liceo dove si lavò e trascorse la giornata. Verso sera finalmente tornò a casa a riposare.

Fedro. Ambientato fra il 411 e il 404, scritto dopo la Repubblica (verso il 370. Fa parte del gruppo di dialoghi scritti fra il primo (387) e il secondo (367) viaggio in Sicilia. Troviamo l’allegoria grandiosa della biga alata con l’auriga e due cavalli. Troviamo la teoria dell’immortalità dell’anima yuch; pa`sa ajqavnato~ (245c) ,
Prologo.
Socrate intanto afferma che non indaga sui miti poiché ancora non è in grado di conoscere se stesso. Dunque innanzitutto"il proprio petto esplorar " (Leopardi, Palinodia al Marchese Gino Capponi , vv. 235 - 236) .
Prende il mito di Borea e Orizia come viene raccontato. Non ha tempo di razionalizzare come fanno i sofoiv. Deve indagare se stesso per vedere se per caso non sia una bestia più intricata di brame di Tifone.
Il luogo lungo l'Ilisso è ameno ma Socrate preferisce la città: egli ama imparare, ma la campagna e gli alberi non vogliono insegnargli niente.
Fedro riferisce una dissertazione di Lisia il quale difende la tesi che si deve essere più compiacenti verso un corteggiatore non innamorato che verso uno innamorato (227c) .

Discorso di Lisia.
Il desiderio di un innamorato non nasce dall'affetto, ma è l'amore dei lupi per gli agnelli: "wJ" luvkoi a[rna" ajgapw'sin". Infatti l' ejrasthv" innamorato è possessivo, e mette a rischio la reputazione in quanto tende a propalare il suo successo.
Socrate dice che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è vecchio: già trattato da Saffo e Anacreonte.

Fedro sfida Socrate a trattare meglio di Lisia il tema: la pazzia della passione amorosa.
Socrate rivolge una preghiera alle Muse quindi definisce l'amore "desiderio del piacere non frenato dalla ragione".
L'innamorato è contrario all'indipendenza dell'amato: lo tiene lontano dalla cultura e dalla filosofia. Inoltre non vorrà che l'amato sia fisicamente indipendente e cercherà di far vivere l' ejrwvmeno" in modo effemminato e molle. Questo non dovrà neppure acquistare indipendenza finanziaria. Dunque l' ejrasthv" è nemico dell'anima, del corpo, e del patrimonio dell' ejrwvmeno" il quale è vittima come l'agnello del lupo.
Socrate sta per andarsene, ma il suo demone lo trattiene dicendogli che Eros è un grande dio e richiede una palinodia: Eros non è identificabile con il brutale appetito fisico. La follia dell'innamorato è più saggia della saggezza del mondo, come quella della Pizia e dei poeti. C'è una pazzia che è alienazione volgare e porta alla possessività, ma una che è un dono degli dèi ed è una fortuna: “ ejpj eujtuciva/ th`/ megivsth/ para; qew`n hJ toiauvth maniva devdotai” (245c)
C'è una maniva dalla quale ci vengono i beni più grandi.
Per comprendere questo bisogna vedere com'è la natura dell'anima.
E' immortale poiché si muove da sola: yuch; pa'sa ajqavnato"/ : to; ga;r aujtokivneton ajqavnaton. Descriviamola con immagini: assimilandola alla potenza della stessa natura di una coppia di cavalli alati e di un auriga. Uno dei cavalli però non è buono. L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il coraggio, il nero l'appetito. Il bianco è nobile, buono e di buona razza, l'altro il contrario:"tw'n i{ppwn, o me;n kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo"" (246c) .
 Le anime seguono gli dèi in una processione festiva intorno al cielo e danno ordine alle cose. La meta del giro è la piana della realtà (jAlhqeiva" pedivon, 248b) dove la processione si ferma e gode di un riposo sabbatico. Nella pianura c'è il pascolo congeniale alla parte migliore dell'anima. Questa pianura si trova fuori dall'Empireo: è un uJperouravnio" tovpo" (247c) , un sito sopraceleste dove si trovano le idee: essenze che essenzialmente sono, senza colore, figura, toccabilità. A volte, per colpa dell'auriga che non riesce a controllare il cavallo nero, gli uomini cadono in terra e non tornano in cielo finché non siano ricresciute le ali che si possono riottenere mediante il ricordo delle idee.
Chi segue tali ricordi è un entusiasta. L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo. Chi vede una bella persona e ricorda la bellezza ideale, la contempla e venera religiosamente, e gli spuntano le ali. Chi non rammenta la bellezza ideale, si lancia a seminar figlioli 250 e, come un quadrupede e un iventa un “funzionario della specie”.
Ci ricordiamo di quando eravamo ajpaqei'" e kaqaroiv, senza dolori e puri, e contemplanti, ejpopteuvonte", intere, semplici, immobili e beate visioni favsmata , in pura luce e non eravamo marchiati da questa tomba che ora portiamo in giro e chiamiamo corpo, chiusi al modo di ostriche (250) . Ognuno si innamora di una bellezza che gli ricorda il dio che seguiva. Chi andava dietro a Zeus è attirato da un amante filosofov" te kai; hJgemoniko;" th;n fuvsin, 252e. Si tende a dare all'amato la natura del proprio dio. Il cavallo nobile è bello, pudìco e ragionevole e si lascia guidare senza la frusta, con l'uso della ragione; è di figura diritta e snella, ha il mantello bianco, gli occhi neri e ama la gloria.
L'altro ha una struttura contorta e massiccia, mantello nero e occhi chiari, è insolente, vanitoso e peloso fino alle orecchie. Questo porta l'amante verso l'amato. L'auriga vedendo la bellezza, cade riverso all'indietro, il cavallo bianco, smarrito inonda di sudore l'anima intera, ma il nero infuria, rizza la coda (ejkteivna" th;n kevrkon) e tira avanti impudico:"met j ajnadeiva" e{lkei"254d.
L'auriga tira indietro il morso, gli insanguina la lingua malvagia e le mascelle e lo dà in preda ai dolori. Così l'amato diviene oggetto di culto e accoglie l'innamorato nella sua intimità: infatti tra i buoni non può non nascere l'amicizia. L'amato sente che nessun altro, compresi i famigliari, può offrirgli qualcosa di paragonabile a quanto gli offre questo amico posseduto da un dio. Allora una corrente di bellezza attraverso gli occhi raggiunge l'anima, la eccita al volo e irrora i meati (aperture) delle penne stimolando la crescita delle ali. Se prevalgono gli elementi migliori dell'anima, questi si oppongono ai peggiori met j aijdou'" kai; lovgou, con pudore e ragione, ed essi sono ejgkratei'" auJtw'n, padroni di se stessi, kai; kovsmioi. Quindi, alla fine della vita, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche necessarie per tornare in cielo.
I due amanti che fanno l'amore, pur senza mettere le ali, sentono la sollecitazione a rivestirsene purché siano fedeli. Ma l'intimità con chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera grettezza e condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di intelletto (256e).


continua


[1] G. Orwell, 1984, p. 155.
[2] W. Jaeger, Paideia 2, p. 303.
[3] palaia; mevn ti~ diaforav, Repubblica, 607b. 
[4] A. Taylor, Platone, p. 356.
[5] Jaeger, Paideia p. 306 e p. 307.
[6] A. Taylor, Platone, p. 364.
[7] Come riuscì a fare Diomede con Glauco, accecato da Zeus, nel VI dell'Iliade (vv. 234 - 236)
[8] Del 432 a. C.

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