scena di simposio, Paestum |
Viene poi il discorso di Aristofane (189 c 2 - 193 e 2) . Il grande commediografo si esprime per immagini e, con un'antropologia fantastica, interpreta Amore come nostalgia della totalità della natura umana. Ogni persona è una creatura dimidiata che tende a ricongiungersi con la metà da cui è stata divisa. Una bella immagine significativa di questa sofferta dicotomia rappresenta ciascuno di noi mortali come il segno di riconoscimento di un uomo in quanto siamo stati divisi come le sogliole:" e{kasto" ou\n hJmw'n ejstin ajnqrwvpou suvmbolon, a{te tetmhmevno" w{sper aiJ yh'ttai", quindi ognuno cerca l'altra metà del segno di se stesso: "zhtei' dh; ajei; to; auJtou' e{kasto" suvmbolon" (191 d). "Era come fossero le due metà d'un segno di riconoscimento"[1].
In origine gli uomini erano doppi rispetto a oggi: ciascuno
costituiva un intero (o{lon 189d) di
forma sferica con quattro mani, quattro gambe e due facce uguali. Inoltre i
sessi erano tre: quello maschile che traeva origine dal Sole, quello femminile
che derivava dalla Terra, e quello misto, l' androgino, di origine lunare,
costituito dalla natura maschile congiunta con quella femminile. Dai primi due
tagliati a metà sono derivati gli omosessuali, maschi e femmine, dal terzo gli
eterosessuali poiché ciascuno tenta di ricomporre l'unità fratturata cercando
ciò che gli è congenere.
Segue il discorso di Agatone
(194 e 4 - 197 e 8) .
Amore è il più bello
e nobile tra gli dèi. E' anche il più giovane: infatti fugge di corsa la
vecchiaia. Egli genera concordia: e se ci fosse stato lui nei tempi primordiali
non ci sarebbero stati incatenamenti né amputazioni:" ejktomai; oujde; desmoiv" (195c) .
Amore è delicato (aJpalov") ,
ma gli manca un poeta come Omero che rappresenti la sua delicatezza. Egli si
insedia nelle anime delicate, mentre si allontana dalle anime dure. Inoltre è
bello e cerca bellezza: infatti tra amore e bruttezza c'è una guerra continua. Passa
la sua esistenza in mezzo ai fiori. La sua virtù sta nel fatto che il dio non
fa e non riceve torti (ou[t j ajdikei' ou[t
j ajdikei'tai) . Oltre che di giustizia è dotato di somma temperanza (196c)
: infatti, essendo più forte di tutti gli altri piaceri e istinti, li domina.
Quanto a coraggio, neppure Ares resiste ad amore. Cfr. Lucrezio Inno a Venere e
Ovidio che negli Amores scrive:"Militat omnis amans, et habet sua castra
Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans " (I, 9, 1 - 2) , è un
soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi,
ogni amante è un soldato.
Inoltre rende poeta
chi lo prova. Amore insegna tutte le arti. Ciò che amore non tocca rimane nella
tenebra (skoteinov" 197a) .
Dall'amore della bellezza ha preso origine ogni cosa buona fra gli dèi e fra
gli uomini. Egli ci vuota di ogni ostilità e ci riempie di ogni fratellanza e
"prepara tali incontri tra noi per metterci insieme e diventa nostra guida
nelle feste, nei cori, nei sacrifici" (197d) , ispira mitezza, è
timoniere, compagno e salvatore supremo nella fatica, nella paura, nel
desiderio, nella parola (197e) . E’ una riabilitazione rispetto alle tante
calunnie dei detrattori di Eros. Cfr. Sofocle (Antigone) , Apollonio Rodio e altri.
Quindi parla Socrate
(198 a 1 - 212 c 3) che premette di volere fare un encomio non bello e
grandioso come i precedenti, ma vero, senza seguire le regole dell'oratoria ma
usando le parole e le frasi come gli verranno in mente. Il filosofo inizia un
dialogo confutatorio con Agatone ma, per cortesia nei confronti dell'ospite,
non percorre questa strada fino in fondo. In ogni modo il suo discorso,
successivo a quello dei due drammaturghi di successo "viene ad essere la
realizzazione visibile di quel primato della filosofia sulla poesia che Platone
sostiene nella Repubblica "[2].
Cfr. L’antica ruggine tra filosofi e poeti[3].
Socrate afferma di ripetere quanto udì da Diotima di
Mantinea una donna sapiente nelle cose d'amore e in molte altre (tau'tav ge sofh; h\n kai a[lla pollav ,
201 d) . La sacerdotessa dunque gli insegnò che Eros è qualche cosa di
intermedio (ti metaxuv, 202 a) . E' gran
demone, figura intermedia tra i mortali e gli dèi (Daivmwn mevga" … metaxuv
ejsti qeou' te kai; qnhtou' , 202d) , figlio di Poros (Espediente) e
della mendicante Penia (Povertà) , e partecipa della natura di entrambi, delle
miseria della madre e delle capacità anche seduttive del padre; inoltre è un
filosofo poiché si trova a metà strada fra sapienza e ignoranza:"sofiva" te au\ kai; ajmaqiva" ejn mesw/
ejstivn" (203 d) .
Cfr il De deo Socratis di Apuleio e il Peri; tou'
Swkravtou" daimonivou di Plutarco.
Amore insomma è la
tendenza a possedere il bene per sempre (206 a) e vuole la procreazione nel
bello secondo l'anima e secondo il corpo: "tovko"
ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (206 b) .
Per il tovko" ci vuole la
bellezza che è Moira e Levatrice nella procreazione. Amore infatti non è
desiderio del Bello ma di generare e partorire nel bello (206 d) . Ed è anche
amore di immortalità poiché la procreazione è immortalità. La natura mortale
cerca con ogni mezzo di rendersi immortale. La paternità fisica però "è la
forma più rudimentale in cui si esprime la brama per il bene eterno".
Lo scopo di Diotima -
Socrate "è quello di chiarire la concezione della paternità
spirituale"[4]. La brama di onori che ha
indotto Alcesti, Achille, Codro e molti altri a disprezzare la morte e il
pericolo è una forma più spiritualizzata di brama dell'eterno. Chi è maturo per
la creazione spirituale cerca, attraverso un bel viso e una bella persona,
un'anima bella e nobile e imprende a educarla. Quindi le due anime amiche danno
vita a una progenie spirituale quale i poemi omerici o le legislazioni di
Licurgo e Solone che sono già creazioni altissime ma si può andare oltre.
Infatti dall'amore delle cose belle si deve giungere alla contemplazione della
bellezza suprema. Il pellegrino d'amore prende le mosse dalle cose belle di
quaggiù e procede attraverso queste come per gradini, da un corpo bello a due e
da due a tutti i corpi belli, quindi alle belle attività umane, alle belle
conoscenze, fino alla conoscenza del bello in sé. Questo è il momento della
vita più di ogni altro degno di essere vissuto per l'uomo: quando contempla il
bello in sé (biwto;n ajnqrwvpw/ qewmevnw/
aujto; to; kalovn", 211d.) . La bellezza in sé è pura, schietta,
integra, non contagiata da carne umana, da colori e da altre sciocchezze di cui
è piena la condizione mortale, e coincide con lo stesso bello divino (aujto; to; kalovn… aujto; to; qei'on kalovn, 211e) . Solo l'uomo che ha
contemplato tale bellezza potrà produrre non simulacri di virtù ma virtù vere.
"L'unione di Eros e Paideia è il pensiero fondamentale del Simposio…Con
quella sua figurazione del volo di due anime intimamente unite al regno della
bellezza eterna, Platone ha dato a Eros l'immortalità"[5].
Nell'ultima parte della festa arriva Alcibiade che fa un panegirico di Socrate (212 c 4 - 222 b 7) . Il
figlio di Clinia costituisce "il più brillante esempio vivente di una vita
ambiziosa… Egli ha scelto il mondo, ed ha tutto ciò che il mondo può dare. Ci
stanno davanti i due tipi d'uomo, l'uno di fianco all'altro, e ascoltiamo la
confessione dell'uomo mondano, avvolto nella piena luce del trionfo, che
ammette di avere scelto la parte peggiore". Socrate "si muove in
mezzo ad una società brillante e spregiudicata come un sir Galahad non perché non
sia un vero uomo in carne e ossa, ma perché il suo cuore è impegnato altrove e
non ha nulla da sprecare per gli amori fatui"[6].
Alcibiade elogia Socrate per immagini (di'
eijkovnwn, 215 a) : lo paragona ai
Sileni esposti nelle botteghe, sia per l'aspetto, sia per il fatto che
all'interno contengono l'immagine del dio; inoltre lo assimila a Marsia: come
il satiro incantava con i flauti, così Socrate, l'uomo erotico, affascina con
le nude parole. Queste del resto mettono il giovane dandy sotto accusa: le parole
di Socrate mi costringono ad ammettere, confessa Alcibide, che, pur avendo
molte mancanze, trascuro me stesso e mi occupo invece delle cose degli Ateniesi
(ejmautou' me;n ajmelw', ta; d JAqhnaivwn
pravttw" (216 a) . Perciò fuggo da lui, come dalle Sirene, con le
orecchie turate. Socrate non si cura né della bellezza del corpo né della
ricchezza. Alcibiade che era un uomo di successo, bellissimo e molto
corteggiato cercò di sedurre Socrate senza riuscirvi. Lo invitò a cena proprio
come un amante che insidia l'amato. La prima volta la preda presunta andò via
subito dopo avere cenato, ma la seconda rimase a riposare in un letto vicino a
quello del corteggiatore il quale era stato colpito e morso dai suoi discorsi
di filosofia che si attaccano più selvaggiamente di una vipera (oi} e[contai
ejcivdnh" ajgriwvteron, 218 a) . Alcibiade dunque offrì con garbo i
suoi favori a Socrate il quale rispose com'è sua abitudine mavla eijrwnikw'" , molto
ironicamente che lo scambio propostogli era troppo impari :" tu infatti - disse
- cerchi di procurarti, invece dell'apparenza, la verità del bello e davvero
pensi di scambiare armi d'oro con quelle di bronzo[7] (218
e) . Sicchè Socrate disprezzò, derise e oltraggiò la bellezza dell'uomo più
avvenente e corteggiato di Atene. Alcibiade continuò ad ammirarlo lo stesso per
le sue qualità e capacità straordinarie: l'uomo davvero demoniaco e
meraviglioso era più invulnerabile alla ricchezza che Aiace alla spada, aveva
una straordinaria capacità di sopportare fame, freddo e fatiche, ma sapeva
anche godere fino in fondo nelle feste e poteva bere senza ubriacarsi.
Il giovane lo
osservava durante la campagna militare di Potidea[8]. Una
volta il filosofo rimase immobile a meditare da un'alba a un'altra finché,
rivolta una preghiera al sole (proseuxavmeno"
tw'/ hJlivw/ , 220 d) se ne andò. Dopo la battaglia, Alcibiade fu
decorato per il suo grado sociale ma durante lo scontro fu Socrate a salvargli
la vita.
A Delio (nel 424) il maestro si comportò ancora meglio che a
Potidea. Dunque questo filosofo è un uomo del tutto straordinario e può essere
paragonato solo ai sileni e ai satiri. I suoi discorsi, considerati
superficialmente sembrano ridicoli poiché parlano di asini, fabbri, calzolai e
conciapelli, ma quando vengono aperti rivelano, solo loro, di avere una mente (nou'n e[conta" , 222 a) e molte
immagini di virtù. Socrate dunque è l'incarnazione del bello in sé cui tende
l'amore come meta suprema.
Cfr Cristo. Erasmo pregava sancte Socrates, ora pro nobis.
Segue l'epilogo con
la conclusione del banchetto. Alla fine solo Agatone, Aristofane e Socrate
erano svegli e bevevano. Il filosofo parlando con i due drammaturghi li
costrinse ad ammettere che la stessa persona deve saper comporre tragedie e
commedie. Quindi il commediografo e il tragediografo si addormentarono. Socrate
invece, seguito da Aristodemo che racconterà questi fatti ad Apollodoro da cui
li abbiamo conosciuti in questa narrazione di narrazione, si recò al Liceo dove
si lavò e trascorse la giornata. Verso sera finalmente tornò a casa a riposare.
Fedro. Ambientato fra il 411 e il 404, scritto dopo la Repubblica (verso il 370. Fa parte del
gruppo di dialoghi scritti fra il primo (387) e il secondo (367) viaggio in
Sicilia. Troviamo l’allegoria grandiosa della biga alata con l’auriga e due
cavalli. Troviamo la teoria dell’immortalità dell’anima yuch; pa`sa ajqavnato~ (245c) ,
Prologo.
Socrate intanto afferma che non indaga sui miti poiché
ancora non è in grado di conoscere se stesso. Dunque innanzitutto"il
proprio petto esplorar " (Leopardi, Palinodia
al Marchese Gino Capponi , vv. 235 - 236) .
Prende il mito di Borea e Orizia come viene raccontato. Non
ha tempo di razionalizzare come fanno i sofoiv.
Deve indagare se stesso per vedere se per caso non sia una bestia più intricata
di brame di Tifone.
Il luogo lungo l'Ilisso è ameno ma Socrate preferisce la
città: egli ama imparare, ma la campagna e gli alberi non vogliono insegnargli
niente.
Fedro riferisce una dissertazione di Lisia il quale difende
la tesi che si deve essere più compiacenti verso un corteggiatore non
innamorato che verso uno innamorato (227c) .
Discorso di Lisia.
Il desiderio di un innamorato non nasce dall'affetto, ma è
l'amore dei lupi per gli agnelli: "wJ"
luvkoi a[rna" ajgapw'sin". Infatti l' ejrasthv" innamorato è possessivo, e mette a rischio la
reputazione in quanto tende a propalare il suo successo.
Socrate dice che il tema dell'irrazionalità della passione
amorosa è vecchio: già trattato da Saffo e Anacreonte.
Fedro sfida Socrate a trattare meglio di Lisia il tema: la
pazzia della passione amorosa.
Socrate rivolge una preghiera alle Muse quindi definisce
l'amore "desiderio del piacere non frenato dalla ragione".
L'innamorato è contrario all'indipendenza dell'amato: lo
tiene lontano dalla cultura e dalla filosofia. Inoltre non vorrà che l'amato
sia fisicamente indipendente e cercherà di far vivere l' ejrwvmeno" in modo effemminato e
molle. Questo non dovrà neppure acquistare indipendenza finanziaria. Dunque l' ejrasthv" è nemico dell'anima, del
corpo, e del patrimonio dell' ejrwvmeno"
il quale è vittima come l'agnello del lupo.
Socrate sta per andarsene, ma il suo demone lo trattiene
dicendogli che Eros è un grande dio e richiede una palinodia: Eros non è
identificabile con il brutale appetito fisico. La follia dell'innamorato è più
saggia della saggezza del mondo, come quella della Pizia e dei poeti. C'è una
pazzia che è alienazione volgare e porta alla possessività, ma una che è un
dono degli dèi ed è una fortuna: “ ejpj
eujtuciva/ th`/ megivsth/ para; qew`n hJ toiauvth maniva devdotai” (245c)
C'è una maniva
dalla quale ci vengono i beni più grandi.
Per comprendere questo bisogna vedere com'è la natura
dell'anima.
E' immortale poiché si muove da sola: yuch; pa'sa ajqavnato"/ : to; ga;r
aujtokivneton ajqavnaton. Descriviamola con immagini: assimilandola alla
potenza della stessa natura di una coppia di cavalli alati e di un auriga. Uno
dei cavalli però non è buono. L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il
coraggio, il nero l'appetito. Il bianco è nobile, buono e di buona razza,
l'altro il contrario:"tw'n i{ppwn, o
me;n kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo"" (246c)
.
Le anime seguono gli
dèi in una processione festiva intorno al cielo e danno ordine alle cose. La
meta del giro è la piana della realtà (jAlhqeiva"
pedivon, 248b) dove la processione si ferma e gode di un riposo
sabbatico. Nella pianura c'è il pascolo congeniale alla parte migliore
dell'anima. Questa pianura si trova fuori dall'Empireo: è un uJperouravnio" tovpo" (247c) ,
un sito sopraceleste dove si trovano le idee: essenze che essenzialmente sono,
senza colore, figura, toccabilità. A volte, per colpa dell'auriga che non
riesce a controllare il cavallo nero, gli uomini cadono in terra e non tornano
in cielo finché non siano ricresciute le ali che si possono riottenere mediante
il ricordo delle idee.
Chi segue tali ricordi è un entusiasta. L'idea della
bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è particolarmente
efficace nel risvegliare il ricordo. Chi vede una bella persona e ricorda la
bellezza ideale, la contempla e venera religiosamente, e gli spuntano le ali.
Chi non rammenta la bellezza ideale, si lancia a seminar figlioli 250 e, come
un quadrupede e un iventa un “funzionario della specie”.
Ci ricordiamo di quando eravamo ajpaqei'" e kaqaroiv,
senza dolori e puri, e contemplanti, ejpopteuvonte",
intere, semplici, immobili e beate visioni favsmata
, in pura luce e non eravamo marchiati da questa tomba che ora portiamo in giro
e chiamiamo corpo, chiusi al modo di ostriche (250) . Ognuno si innamora di una
bellezza che gli ricorda il dio che seguiva. Chi andava dietro a Zeus è
attirato da un amante filosofov" te
kai; hJgemoniko;" th;n fuvsin, 252e. Si tende a dare all'amato la
natura del proprio dio. Il cavallo nobile è bello, pudìco e ragionevole e si
lascia guidare senza la frusta, con l'uso della ragione; è di figura diritta e
snella, ha il mantello bianco, gli occhi neri e ama la gloria.
L'altro ha una struttura contorta e massiccia, mantello nero
e occhi chiari, è insolente, vanitoso e peloso fino alle orecchie. Questo porta
l'amante verso l'amato. L'auriga vedendo la bellezza, cade riverso
all'indietro, il cavallo bianco, smarrito inonda di sudore l'anima intera, ma
il nero infuria, rizza la coda (ejkteivna"
th;n kevrkon) e tira avanti impudico:"met j ajnadeiva" e{lkei"254d.
L'auriga tira indietro il morso, gli insanguina la lingua
malvagia e le mascelle e lo dà in preda ai dolori. Così l'amato diviene oggetto
di culto e accoglie l'innamorato nella sua intimità: infatti tra i buoni non
può non nascere l'amicizia. L'amato sente che nessun altro, compresi i
famigliari, può offrirgli qualcosa di paragonabile a quanto gli offre questo
amico posseduto da un dio. Allora una corrente di bellezza attraverso gli occhi
raggiunge l'anima, la eccita al volo e irrora i meati (aperture) delle penne
stimolando la crescita delle ali. Se prevalgono gli elementi migliori
dell'anima, questi si oppongono ai peggiori met
j aijdou'" kai; lovgou, con pudore e ragione, ed essi sono ejgkratei'" auJtw'n, padroni di se
stessi, kai; kovsmioi. Quindi, alla
fine della vita, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche necessarie
per tornare in cielo.
I due amanti che fanno l'amore, pur senza mettere le ali,
sentono la sollecitazione a rivestirsene purché siano fedeli. Ma l'intimità con
chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera grettezza e
condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di intelletto (256e).
continua
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