NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 31 maggio 2017

Il potere. XXIII parte

Carle van Loo, Giasone e Medea

La tendenza all’incesto e la zoppia del tiranno. Il monosandalismo di Giasone

Il despota teme chi gli sta sopra[1] anche solo fisicamente: "Edipo uccide il padre che, dall'alto del suo carro, precipita allo stesso suo livello (...) Come Edipo che colpendo Laio con il suo bastone lo fa cadere dall'alto del suo carro a terra, ai suoi piedi, Periandro falcia e abbatte tutti coloro la cui testa supera di poco quella degli altri. E in secondo luogo le donne. La tradizione greca fa di Periandro, modello del tiranno, un nuovo Edipo. Egli avrebbe, in segreto, consumato l'unione sessuale con la madre Krateia[2] (...) Ma la tirannide, sovranità claudicante, non può procedere a lungo nel suo successo. L'oracolo, che aveva dato via libera a Cipselo per aprirgli la porta del potere, aveva fissato, fin dall'inizio, il termine al di là del quale la discendenza di Labda, non diversamente da quella di Laio, non avrebbe avuto il diritto di perpetuarsi. "Cipselo, figlio di Eezione, re dell'illustre Corinto" aveva proclamato il dio; ma per aggiungere subito: "lui e i suoi figli, ma non più i figli dei suoi figli"[3]. Alla terza generazione, l'effetto della "pietra rotolante" uscita dal ventre di Labda non si fa più sentire [4]. Per la stirpe dei claudicanti, istallati sul trono di Corinto, è venuto il momento in cui il destino vacilla, precipita, sprofonda nella sventura e nella morte"[5].
A proposito della zoppìa del tiranno, Periandro era figlio di Cipselo, nato da una Bacchiade zoppa (cwlhv, V, 92 b), Labda[6], che nessun membro di questa oligarchia dominante Corinto voleva sposare. La sposò invece uno di origine Lapita, Eezione il quale, siccome non nascevano figli, andò a interrogare l'oracolo di Delfi. La Pizia rispose che Labda era già incinta e avrebbe partorito un masso rotondo[7] che si sarebbe abbattuto sui governanti punendo Corinto.
Zoppicante è anche the bloody king (IV, 3), il re sanguinario di Shakespeare, Riccardo III il quale si presenta dicendo di essere: "so lamely and unfashionable/That dogs bark at me, as I halt by them "(I, 1), così claudicante e goffo che i cani mi latrano contro quando gli passo vicino arrancando.
E' questa una zoppia che rende malata tutta la sua terra secondo il tovpo" che risale a Omero ed Esiodo: un cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i fratelli della regina e se costoro non governassero ma fossero governati "this sickly land might solace as before " (II, 3), questa terra malata[8] potrebbe avere ristoro come prima.
Anche il cielo viene ammorbato dal capo malato
Così l'Oedipus di Seneca: “fecimus caelum nocens” (36).
Altrettanto pensa lo zio di Amleto che ha assassinato il fratello: “Oh, my offence is rank, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.
La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth: "poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E' il nobile Ross che parla.
Nel Riccardo III Lady Ann dice a Riccardo che si appresta a corteggiarla: “Foul devil, for God’s sake hence, and trouble us not; - For thou hast made the happy earth thy hell, - Fill’d with cursing cries and deep exclaims” (I, 2), sconcio demonio, per amor di Dio, via di qui e non darci pena; perché tu hai fatto della terra felice il tuo inferno, riempito con urla di maledizione e profondi gemiti. Dopo una battuta corteggiante di Riccardo, Anne rincara la dose chiamandolo “diffus’d infection of a man”, infezione di uomo diffusa.

Macbeth di Shakespeare inciampa nel meccanismo del potere che è una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare: "That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap / For in my way it lies " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada.


Diversi tiranni in conclusione hanno qualche cosa di zoppo: Cipselo e Periandro in quanto discendenti da Labda, Edipo poiché ha avuto i piedi perforati[9]. Anzi, se consideriamo con attenzione la prima antistrofe del secondo stasimo dell'Edipo re vediamo che tutte le tirannidi sono zoppe: "la prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/ se si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni e non convengono (mhde; sumfevronta)[10]/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai "(vv. 873 - 879). Non solo il tiranno è zoppo e scivola, ma anche i suoi decreti. Antigone non obbedisce ai khruvgmata di Creonte, ma alle leggi della coscienza e degli dèi che, viceversa, sono a[grapta kajsfalh' (Antigone, v. 454), non scritti e non vacillanti.
Del resto il nome dottor Hinkfuss, il regista che vuole assoggettare gli attori in Questa sera si recita a soggetto [11] significa "piè zoppo". Il dramma potrà procedere solo quando la compagnia avrà conquistato la sua libertà interpretativa. Fuss significa “piede” e hinken “zoppicare”. Friabile è la base del regno registico. Si noti che Hitler nel film di Chaplin è chiamato Hinkel.
Anche Giasone, il seduttore punito da Medea, si presentò con un solo sandalo[12], al sacrificio in onore di Nettuno celebrato da Pelia, figlio del dio del mare, e usurpatore. L’asimmetria dei piedi di Giasone partecipa, in qualche modo della zoppia: “L’arrivo del vendicatore preannunciato da un oracolo e segnato da un marchio che lo rende riconoscibile alla sua vittima è un tema mitico e narrativo largamente diffuso nei racconti folklorici: un uomo fatale segnato da un marchio fu pure Edipo, “l’uomo dai piedi gonfi”, destinato da una profezia a uccidere il padre…Più complesso è il segno di Giasone e il tratto che distingue la sua missione, vale a dire il monosandalismo: evidentemente il monosandalismo è una forma simbolica di marchio fisico e una forma attenuata di zoppia; d’altro lato, l’uso di indossare un solo calzare è un elemento che s’inserisce in un complesso sistema rituale”[13]. Ma questa altra parte non riguarda il nostro discorso.



CONTINUA



[1] Cfr. " formidolosum… supra principem attolli " di Tacito, citato sopra.
[2]Diogene Laerzio, I, 96. “Aristippo nel primo libro Sulla lussuria degli antichi dice che sua madre Crateia era innamorata di lui e a lui si univa di nascosto e che egli se ne compiaceva. Divulgatasi la notizia, si addolorò per essere stato scoperto e divenne severissimo con tutti”. L’opera del III sec. a. C. è falsamente attribuita ad Aristippo. Si intitolava jArivstippo~ peri; palaia`~ trufh`~, ed era un pamphlet scandalistico scritto per dimostrare che i filosofi, soprattutto gli Academici, erano altrettanti Aristippi. Per la tendenza all’incesto del tiranno si ricordino anche i rapporti tra Nerone e Agrippina. Ndr.
[3]Erodoto, V, 92, e 8 - 9.
[4]Erodoto, V, 92, e 2. Così le streghe del Macbeth promettono il regno al signore di Glamis, ma la successione ai figli di Banquo (I, 3).
[5]Vernant e Vidal - Naquet, Mito e tragedia due, pp. 39, 48 e 49.
[6] Cfr. Edipo nipote di Labdaco
[7] Erodoto, V, 92 b 2
[8] Cfr la scheda “Dalla salute del re dipende quella del suo popolo e della sua terra”, in Medea, a cura di Giovanni Ghiselli, Cappelli, pp. 135ss
[9]Edipo re, 1034, e Rane, 1192.
[10] Queste parole possono smontare l’utile perseguito da Giasone.
[11] Terza commedia (del 1929) della Trilogia del teatro nel teatro di Pirandello. Le altre due sono i Sei personaggi in cerca d'autore (del '21) e Ciascuno a suo modo (del '24).
[12] Cfr. Pindaro, Pitica IV e Igino, Miti, 12 e 13.
[13] Giulio Guidorizzi, a cura di Igino, Miti, p. 200. 

sabato 27 maggio 2017

Teocrito. Parte II

Elisabetta I

Teocrito si presenta come il nuovo Pindaro di Ierone II.
Alla fine c'è un autoinvito a corte.
In questo idillio (XVI) c'è il tovpo" arcaico (Omero, Esiodo, Solone) che collega pace- buon governo e agricoltura fiorente.
A Siracusa vengono tributate lodi non inferiori a quelle di Ierone. E' una convenzione epinicia particolarmente forte in Pindaro.
Io andrò da chi mi invita: “aei; Carivtessin a{m j ei[hn, v. 109 possa restare sempre con le Grazie (fr. Euripide, Eracle, 673-674). Infatti: Che cosa c’è di amabile (ajgapatovn) per l’uomo senza le Grazie?

Dopo questo Encomio di Ierone, tra il 275 e il 270, Teocrito scrisse l'Encomio di Tolomeo (XVII) dove viene celebrato il matrimonio incestuoso di Tolomeo Filadelfo (285-246) e Arsinoe. La religione ufficiale era avviata alla faraonizzazione.
Tolemeo è proclamato “il più grande dei mortali” (v. 4).
Io che so dire cose belle (ejpistavmeno~ kala; eijpei'n, v. 7) canterò Tolomeo. Ma da dove comincio? Dal padre, Tolemeo Lagide che ora siede accanto ad Alessandro nella casa di Zeus. Discendono entrambi da Eracle.
Tolemeo I amava Berenice I ed era riamato con grande fedeltà.
Se una donna non ama il marito, pensa sempre ad altro e i figli non assomigliano al padre (v. 44). Tevkna d j ouj poteikovta patriv. Berenice dunque partorì Tolomeo II a Tolomeo I.
Il bambino simile al padre (patri; ejoikwv~) nacque a Cos.
L’isola parlò e lo benedisse e una grande aquila, uccello di buon augurio (ai[sio~ o[rni~), gridò tre volte dalle nubi. Fu probabilmente il segno di Zeus (Zhnov~ pou tovde sa'ma, v. 73).
A Zeus stanno a cuore i re venerandi. Nessun paese è fecondo come l’Egitto. Mari e fiumi dalla Fenicia alla Libia obbediscono a Tolomeo. Il biondo Tolomeo è generoso e il suo oro non giace inutile nella casa come ricchezza di formiche sempre affaticate (v. 107). Egli dona primizie agli dei, regali agli amici e ai poeti i quali lo celebrano in cambio della sua munificenza (ajnt j eujergesiva~, v. 116). Il poeta dona ai re l’immortalità.
Cfr. munus che è dono ma anche dovere, per l’idea della reciprocità
Le ricchezze erano degli Atridi, ma non la loro gloria dovuta a Omero.
Tolomeo II ha instaurato il culto del padre e della madre Berenice e ha sposato la sorella Arsinoe, la migliore delle donne che ama ejk qumou', con tutto il cuore, kasivgnhtovn te povsin te, il fratello e sposo. La loro è una ierogamia (ijero;~ gavmo~) come quella tra Era e Zeus.
Freud del resto dice che il tabù dell’incesto non è naturale ma risale alla proibizione del capo dell’orda primitiva.
Il mio canto non verrà disprezzato, ma la virtù devi chiederla a Zeus.


Il poco effetto degli idilli per la scarsa passione di pastori e pastorelle
Leopardi: “le arti che non possono esprimere passione, come l’architettura, sono tenute le infime fra le belle, e le meno dilettevoli. E la drammatica e la lirica son tenute fra le prime per la ragione contraria. Che vuol dir ciò? Non è dunque la sola verità dell’imitazione , né la sola bellezza e dei soggetti e di essa, che l’uomo desidera, ma la forza, l’energia, che lo metta in attività, e lo faccia sentire gagliardamente. L’uomo odia l’inattività, e di questa vuol essere liberato dalle arti belle. Però le pitture dei paesi, gl’idilli ec. ec. saranno sempre d’assai poco effetto; e così anche le pitture di pastorelle, di scherzi ec. di esseri insomma senza passione: e lo stesso dico della scrittura, della scultura, e proporzionatamente della musica” (Zibaldone, 2361-2362).


Poesia encomiastica dei latini
Orazio Virgilio e Shakespeare
Nel Carmen saeculare di Orazio[1] il poeta di Venosa celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[2], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.
Tali beni derivano dalle preghiere e dalle vittorie di Augusto, discendente del “castus Aeneas” (Carmen saeculare, v. 42), “clarus Anchisae Venerisque sanguis” (v. 50) puro sangue di Anchise e di Venere, “bellante prior, iacentem/lenis in hostem"(vv. 51-52), vincente sul nemico in armi, mite con il nemico caduto.

L'età dell'oro, secondo la profezia di Anchise, ritornerà con Augusto: “ Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata per arva Saturno quondam" (Eneide VI, vv. 792-793), Cesare Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui regnò nei campi arati un tempo Saturno

Nwll’Enrico VIII di Shakespeare, Arriva la notizia della nascita di Elisabetta: è una femmina ma promette molti maschi in avvenire
Alla fine c’è la benedizione di Cranmer, cappellano del re e arcivescovo di Canterbury. Bacia Elisabetta, l’infante reale e dice che già nella culla promette al paese mille e mille benedizioni promises upon this land a thousand thousand blessings (V, 4, 18-19 ).


CONTINUA



[1] Del 17 a. C.
[2] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

giovedì 25 maggio 2017

Teocrito. Parte I


Teocrito e Callimaco sono postfilosofici, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo.
E' anche una poesia postmitica che, sazia di ripercorrere le vie di tutti i racconti della mitologia tradizionale, tenta l'elaborazione letteraria del mondo dei pastori e degli umili della città.
Filita di Cos (IV-III sec.) ha avuto qualche ruolo nell'incubazione della poesia pastorale.
Teocrito (310-260) però trova l'archetipo nel canto popolare di leggendari pastori antichi.
I codici conservano 30 carmi con il nome di eijduvllia, più il carme figurato Su'rigx, zampogna, e 22 epigrammi presenti anche nell'antologia Palatina.
Non tutti gli idilli sono autentici. Alcuni sono propriamente bucolici, altri di ambientazione urbana, altri encomiastici (per Tolomeo Filadelfo e la moglie Arsinoe, per Ierone II di Siracusa)
 Sono prevalentemente in dialetto dorico, ma il XXII (ai Dioscuri), il XII (pederotico) e il XXV (epillio di Eracle) sono in dialetto ionico omerico, i 28-31 in dialetto eolico.
Il metro è l’esametro
Il VII, le Talisie, è ambientato a Cos ed evoca la toponomastica dell'isola dell'Egeo che nel 309 aveva dto i natali a Tolomeo Filadelfo (285-246).
Teocrito vuole distanziarsi da Esiodo che per seguire le Muse aveva ripudiato la sua natura di pastore (Teogonia, 26:"poimevne"... gastevre" oi|on").
Teocrito canta gli uomini, e i suoi dei (Dioniso, 26; Eracle, 24) sono simboli di membri della dinastia tolemaica. C'è dunque un'autolimitazione tematica a protagonisti umani o a dèi umanizzati: è la ricerca di "vie non battute" secondo la poetica callimachèa.

Nell'Encomio a Ierone II (XVI) il poeta auspica la pacificazione dell'isola con l'allontanamento dei Cartaginesi: si preparino i maggesi per la semina "quando la cicala spia i pastori nel sole di mezzogiorno e frinisce in alto tra i rami delle piante". Ierone prende il potere a Siracusa nel 275.
 E’ uno dei Bettel-gedichte[1], canti della questua. Chiede di non mandare via le sue Grazie (Cavrita~), le sue poesie, ajdwrhvtou~, (v. 7) senza doni. Tornerebbero a casa corrucciate, a piedi nudi, dileggiando il poeta che le ha fatte camminare invano.
Ora domina il guadagno e gli uomini non desiderano più essere glorificati aijnei'sqai (v. 15) per imprese gloriose.
Domina l’avarizia. Teocrito presenta un vade-mecum della liberalità: beneficare gli uomini, sacrificare agli dèi, non essere un cattivo ospite, ossia accoglierlo amabilmente alla mensa e congedarlo quando voglia andarsene, ma soprattutto onorare i sacri ministri delle Muse.

Non bisogna cercare di intrattenere l'ospite.
Nel IV canto dell’Odissea (v. 610 sgg.) Menelao elogia Telemaco e lo asseconda senza cercare di trattenerlo, da ospite perfetto qual è.
"Perché l'ospitalità ha due facce: bisogna infatti accogliere lo straniero, ristorarlo con un banchetto, dargli la possibilità di dormire, di lavarsi e magari perfino rivestirlo, e infine offrirgli dei regali e dargli la possibilità di tornarsene a casa con quei regali. In breve, la buona ospitalità consiste sia nel non uccidere lo straniero che nel non trattenerlo a forza"[2].

Il celebrato ne avrà onore eterno. I ricchi signori della Tessaglia furono committenti di Simonide e Pindaro.
Senza la celebrazione dei poeti, si cadrebbe nell’oblio una volta entrati nella larga zattera dell’odioso vecchio (ej~ eujrei'an scedivan stugnoi'o gevronto~, v. 41).
Simonide viene ricordato come valente poeta di Ceo (deino;~ ajoido;~ oJ Khvio~, v. 44) che ha modulato vive canzoni variopinte sulla lira policorde (aijovla fwnevwn-bavrbiton ej~ poluvcordon, vv. 44-45).
Anche i cavalli ebbero onore. Senza il canto di Omero non avrebbero onore tanti eroi, compreso Odisseo che errò per 120 mesi, e il porcaro Eumeo e il bovaro Filezio.
Io preferisco onore e amicizia a tanti muli e cavalli. Difficili sono le vie per i poeti. I Fenici tremano già ora. Ierone guida i Siracusani ed è pari agli eroi antichi.


CONTINUA



[1] Das gedicht, poesia. Die Gedichte, poesie.
[2]F. Dupont, Omero e Dallas, p. 57.

lunedì 22 maggio 2017

Introduzione alla satira "Numi, Eroi e Wieland" di Goethe. Di Giuseppe Moscatt

ritratto giovanile di Goethe
Dei, Eroi e Wieland, note introduttive a una satira di Johann Wolfang von Goethe (1773).


All'età di 24 anni, il Nostro Johann compie la sua prima scelta di vita: abbandona i controversi studi di diritto che nella sua Weltanschauung cercherà sempre di evitare, anche se non fu così, perché come consigliere di stato a Weimar dimostrò di essere un fine giurista e un governante amministrativo di polso (1). Così si dedicò profondamente alle lettere e alla poesia. Intemperante nella vita e un bohémien a tutto respiro, ammalatosi di tutte le malattie dell'artista sregolato, a pochi passi dalla morte, ha due folgorazioni: l'amicizia virile per il poeta Jakob Lenz, portatore del germe culturale dello Sturm und Drang; l'amore più duraturo per Susanna Katharina von Klettenberg che lo introduce alla corrente protestante del pietismo (2). Due indirizzi culturali che ebbero uno sbocco inaspettato, la diretta conoscenza di un altro mito della cultura tedesca di metà settecento: il teatro di Shakespeare nella traduzione di una altro eroe dell'illuminismo dell'epoca, Christoph Martin Wieland (3). Chi era mai costui? Nato più a sud nel Baden-Württemberg, in un area culturale più meridionale che guardava anche ad est - mentre Goethe era di Francofonte, nettamente più vicino al mondo di lingua francese - aveva quasi 41 anni, quando accolse nel 1742 l'invito della duchessa Anna Amalia di stabilizzarsi a Weimar in qualità di precettore dei principini Konstantin e Karl August, destinato a diventare duca di Weimar, Sassonia e Eisenach. Ma Wieland era già un nome nell'intellighenzia illuminista: editore e direttore della rivista letteraria Der deutsche Merkur, non solo aveva tradotto molte opere del Bardo (per es. Il sogno di una notte di mezza estate che poi rielaborerà nella commedia Oberon) ma aveva pubblicato vari autori classici greci e latini, riscrivendo e attualizzando Euripide - l'Alcesti - e le Satire di Luciano, opere che avevano attirato l'attenzione degli illuministi più avanzati, da Lessing a Herder; fino ad avere un certo consenso fra i poeti più classici, fra cui Klopstock, col quale negli anni '50 del '700 aveva avuto non poche polemiche (4). Wieland, direttore del Merkur tedesco, aveva raggiunto un certo equilibrio fra il desueto classicismo conservatore protestante, rispetto alle avventurose teorie innovative di un Lessing e le estremiste posizioni protestanti di Herder. Insomma, Wieland rappresentava la giusta mediazione fra gli opposti ideali, un pò come il Parini che demoliva il Metastasio ed era più moderato degli "eroici furori" di un Alfieri (5). 

Insomma, la qualifica di Praeceptor Germaniae rispecchiava la domanda di moderazione e di pace della società tedesca, dopo le rovine della guerra dei 30 anni e alle soglie di quella guerra dei sette anni che la presunzione imperialista prussiana stava per provocare (6). Ma proprio la frivola esterofilia che Klopstock aveva bollato come il male del secolo aperto da Wieland; era stata la molla positiva per il giovane Goethe per avvicinare e ribadire lo Sturm und Drang e per rinnovare la fede protestante, che nel Pietismo operativo e nell'impeto laico soggettivo - il c.d. titanismo - aveva giustificato quella presunzione prussiana rivolta a unificare il mondo tedesco e a fondare una cultura tedesca nazionale (7). La posizione compromissoria di Wieland si allontanava da questa prospettiva: per i giovani Goethe e Lenz, ormai divenuto il campione dello Sturm un Drang, occorreva una lingua rivoluzionaria nell'arte e nella filosofia, nella musica e nella poesia. La base era il proprio Io, la soggettività contro il conservatorismo superficiale; ovvero, come dirà Marx- altro tedesco dell'800, figlio della stessa radice pietista (8) - una nuova borghesia produttiva rivolta a cambiare il mondo (9). Come poteva accettarsi, allora, il filisteismo conformista di un Wieland, che nella sua Alcesti aveva dileggiato il vero senso ideale di Euripide, trasformando la tragedia di una moglie che amava il consorte, volontariamente sostituitasi per salvarlo dalla morte in una commediola irriverente, che aderiva al consenso popolare che voleva si rappresentasse una tradizionale relazione di coppia ormai consunta, dove i personaggi erano simbolicamente legati alla crisi della famiglia tradizionale? Invece Goethe credeva in Euripide che aveva tratteggiato una crisi soggettiva più profonda nel momento in cui l'Attica era attraversata dalle inquetudini economiche e sociali dei nuovi commerci e della guerra del Peloponneso (10). Wieland si era seduto sull'esistente e con facile ironia realizzava un comune conflitto familiare; Goethe, che aveva capito il messaggio di Euripide e che aveva ascoltato le note di Gluck (11), non accettava la logica corrente e aspirava all'elevazione di un Io che poteva capovolgere la situazione di un Prometeo che rompeva ogni argine (12). Soprattutto, quando seppe che il suo mito - Wieland traduttore e primo seguace di Shakespeare - aveva accettato la proposta della Princiepsa Anna Maria, ruppe gli indugi. Narra nelle Sue Memorie (13), dopo aver rinunziato alla tranquilla vita forense e dopo aver oltrepassato gli schemi rococò della cultura moderata, tra Weimar a Francoforte, decise di dileggiare Wieland il traditore dei valori universali, il falso illumista, il parruccone svelato, il gazzettiere politically correct, o meglio, come disse il Foscolo di Monti, il gran traduttore dei traduttori di Omero, per di più con l'aggravante di servile cameriere della volontà del potere nobiliare (14). E l'arma fu quella della farsa, proprio uno degli strumenti lirici riesumati dallo stesso Wieland, la satira, che derivava dalla tragedia greca, quella appunto di Luciano, lo stesso terreno già riesumato dal giovane Christoph Martin. E nel 1772, Numi, eroi e Wieland, Goethe la illustrò una sera a Strasburgo a Lenz, tra due bottiglie di Borgogna, quasi una scena iniziale della futura Bohème di Puccini, nei caffé scapigliati di Milano, o al caffè Le giubbe rosse di Firenze, dove nel primo '900 futuristi e nazionalisti avrebbero commentato le opere di Beck, Mac e Kandinskij (15). A Lenz non parse vero di avere pubblicato sulla sua rivista - Die Anmerkungen übers Theater, ed. Th. Friedrich raccolta a Lipsia nel 1908 - la farsa di Goethe, non comprendendo il fine del grande Johann, che voleva non tanto criticare Wieland, ma soprattutto stigmatizzare la pericolosa piega consolatoria e filistea della borghesia tedesca (16). E a riprova della buona fede di Goethe, va ricordata la posteriore dichiarazione in Poesia e verità della volontà di non denigrare la persona di Wieland, ma di spronare la classe intellettuale a non gettare le armi, a rileggere indipentemente i Classici, in breve di non trasfigurare in modo plateale lo spirito di Eruipide e di Luciano (17). 

Sorprendentemente, Wieland recensì l'operetta con toni un pò sarcastici, dichiarando senza apparente astio che la satira era molto originale e molto completa rispetto alle altre che si possono leggere oggidì....Sembrava un offerta di pace, ma Goethe mantenne l'accordo con Lenz e continuò la guerra letteraria con coloro che insistevano a marginalizzare il movimento sturmeriano, rinnegando piuttosto le posizioni quietiste e scientiste dell'epoca, svalutando il pensiero di Jacobi e riaprendo il discorso dello Spinozismo più avanzato. Ovvero, nel campo della musica preferì Mozart e Beethoven piuttosto che i consumati Salieri e Haydn (18). Ma ben presto lo stesso Goethe dovette scendere a patti: malgrado il successo formale dei Dolori del giovane Werther del 1774 - di poco successivo all'opera che presentiamo - la sua situazione economica non migliorava. Come nella sua vita di intellettuale borghese non era riuscito ad ottenere l'amore di una ragazza, che forse lo avrebbe ricambiato, ma che lo respinse perché promessa ad altri e che non poteve avere allora da essa solo amicizia; e mentre Werther si suicida per amore, espediente letterario che aprì la porta alla rivoluzione romantica (19). Così il Goethe reale dovette cedere al conformismo delle piccole corti aristocratiche tedesche. In altre parole, non si può vivere di ideali, si deve pur mangiare, come già disse il nostro Dante, cioè com'è duro lo salire le altrui scale (20). Nel 1775 Goethe ritornò alla carica del già potente consigliere di stato Wieland e per lettera gli chiederà scusa. Poi diverrà a sua volta il precettore del principe Karl August - la stessa carica di Wieland - fino a diventare amico del suo vecchio rivale e addirittura nel 1779 consigliere Segreto, quasi capo di governo, il fedelissimo del principe (21). E Lenz? Dopo un breve soggiorno a Weimar, segretario di Goethe e sua cattiva coscienza, Lenz comincia a impazzire; poi vaga da esule in Europa, per morire a Mosca di fame... Senza quella morte impietosa, Goethe non avrebbe forse avuto il ripensamento e la fuga in Italia che lo pone tra i grandi proprio per aver metabolizato le due anime della nostra vita, ritrovando in quel viaggio l'unità di vita e di pensiero perdute nel decennio weimeriano (22). 

E Wieland? Goethe lo aveva rinnegato perchè aveva compiuto l'errore classico dei traduttori, l'essersi allontanato dai valori storici del testo tradotto, di aver privilegiato i caratteri dei personaggi legati alle loro attuali preoccupazioni; di aver sminuito i loro problemi universali, limitandosi a descrivere le necessità quotidiane. E perciò le opere di Wieland erano state per Goethe mediocri e troppo leggere. Anzi la morale di Wieland era sostanzialmente comoda e perbenista. tantoché le aspirazioni del vecchio traduttore sembravano essersi fermate agli antipasti, cosa che Goethe intendeva superare, ma che poi per ironia della storia lo stesso Goethe non aveva neppure osato fissare fra i suoi obiettivi di vita e e tanto più viverli pieneamente, finendo proprio come il nuovo favorito del principe. Wieland in tarda età aveva capito tutta la lezione di Goethe, tanto che prima di morire, non volle restare più nelle grazie del principe, anzi gli cedette presto quel posto di governante che tanto aveva agognato quasi venti anni prima. Quasi con fine sarcasmo disse in tarda età del suo ex rivale: Con Goethe ho passato momenti felici. Mi ha davvero messo in allegria. Stima e rispetto più che formale, alla fine, fra i due padri culturali della Germania, confortata dall'incessante lavoro di Goethe nel Merkur prima e di Wieland nelle Ore, la rivista del nuovo amico. Anzi Goethe, nel 1813, alla morte di Wieland, scriverà il saggio Zu brüderlichem Andenken Wielands (1813), dove ne lodava la grande apertura intellettuale, la lotta per la verità storica, il rigetto per la realtà politically correct e il filisteismo conformista. Ma alla fine, si dovrà ancora verificare se furono parole di commiato sentite, oppure quasi clausole di stile che sempre Goethe aveva rivolto ai suoi scrittori contemporanei, anche lui preso da un certo delirio di onnipotenza che lo resero un pò antipatico a molti autori tedeschi che gli succedettero. Ma questa è un'altra storia sarebbe opportuno tornare (23).


Giuseppe Moscatt


Note

1)                 V. MARINO FRESCHI, Goethe, l'insidia della modernità, Donzelli, Roma, 1999, pagg. 87 e ss.
2)                 Sull'influsso poetista di Goethe, v. LADISLAO MITTNER, Storia della letteratura tedesca. Dal Pietismo al Romanticismo, Einaudi, 1964, pag. 44.
3)                 Cfr. il classico FRIEDRICH GUNDOLF, Shakespeare und der deutsche Geist, Bondi Verlag, Berlin, 1911, pagg. 160-181. Su Wieland, padre dell'Illuminismo moderato in Germania, v. altresì ANDREA TAGLIAPIETRA, Che cos'è l'illuminismo? I testi e la genealogia del concetto, B. Mondadori, 1997, pagg. 390 e ss.
4)                 Sulla polemica fra Klopstock e Wieland, durante i primi decenni del '700, cfr. FRANCESCA DI DONATO, Comunicare la cultura. Il dibattito sulla repubblica delle lettere nell'illuminismo tedesco. in didonato@unipi.it.
5)                 Sul parallelo fenomeno critico fra illuministi e arcadici nella prima metà del '700 in Italia, v. FRANCESCO DE SANTIS, Storie della letteratura italiana, vol. II, edizione Universale Barion, Milano, 1941, pagg. 314 e ss.
6)                 Sul periodo di relativa pace fra la guerra di 30 anni e quella dei 7 anni - dal 1648 al 1756 - vide la nascita e lo sviluppo della Prussia, culminato nella personale e peculiare formazione del Re Federico II di Hohenzollern (Federico il Grande), in merito al quale v. BEATRICE TALAMO, Federico II di Prussia fra Thomas Mann e Friedrich Meinecke-Thomas Mann. Federico e la grande coalizione, ed. Artemide, 2003.
7)                 Sul valore politico del titanismo in Goethe, cfr, GIULIANO BAIONI, Goethe. Classicismo e rivoluzione, Einaudi, 1998, pagg. 21 e ss.
8)                 V. in merito a tale relazione, gli approfondimenti di STEFANO RICCIUTI, Marx oltre il marxismo. Tentativo di ricostruzione critica di un pensiero, edizione Franco Angeli 2012, pagg. 43 e ss, soprattutto nelle sue discussioni con Engels, molto più vicino alla fede pietista.
9)                 Idem, op. cit., pagg. 105 e ss,
10)             Cfr. VINCENZO DI BENEDETTO, Euripide: teatro e società, Einaudi, 1992, dove si esamina il processo di mutamento del linguaggio poetico alla luce della situazione storica che vede la divergenza degli interessi fra cittadini poveri e ricchi. Circostanza che già Goethe vide come un fenomeno moderno di attualizzazione delle forme politiche tutte nuove rispetto al teatro dei Eschilo.
11)             L'esperienza di rinnovamento dell'opera classica in vesti di attualità nella realtà del diciottesimo secolo, che può non stravolgere i canoni universali della grecità, era stata manifestata nel teatro musicale di Gluck. Al riguardo, cfr. ENRICO FUBINI, Musica e cultura nel Settecento europeo, Ed. E.D.T., 1986, pagg. 24 e ss.
12)             E' questo il significato del Prometeo di Goethe, v. al riguardo, MARINO FRESCHI, Goethe, l'insidia della modernità, op.cit., pagg. 55 e ss.
13)             Goethe in Poesia e verità, ne delinea le ragioni, che a Suo dire avevano per motivo la fuga da un imminente vincolo matrimoniale con la sedicenne Lili Schönemann di Francoforte. Ma la scelta di emigrare ancora una volta della casa paterna non erano soltanto legate alla sua indole libera da legami. V. in proposito, MARINO FRESCHI, op. ult. cit. pagg. 87 e ss.
14)             Le accuse di Foscolo al Monti ebbero forti risonanze nella critica dell'epoca. V. C. SALINARI - C.RICCI, Storia della letteratura italiana, vol. III, Laterza, Bari, 1973, pagg. 47 e ss.
15)             La derivazione sturmiana dell'esperienza tedesca e delle sue propaggini nel futurismo italiano, è tema prescelto Joris-Karl Huysmans, Controcorrente, a cura di Binacci, traduzione di I. Sassi, edizioni integrali, Newton -Compton Milano, 2015.
16)             Su Jakob Lenz e sul movimento dello Sturm und Drang, v. in italiano MARINO FRESCHI, op. più volta citata, pagg. 46 e ss.. Cfr. MARKUS BUSCHE, Der Hofmeister - Vergleich des Originals von Jakob Michael Reinhold Lenz und der Bearbeitung von Bertolt Brecht, Verlag Philipps -Universität Marburg, Seminararbeit, 1998.
17)             Sulla rilettura critica dei classi v. GIULIANO BAIONI, op. cit. pagg. 41 e ss.
18)             La polemica fra illuminismo moderato e illuminismo rivoluzionario in letteratura, qui appena accennata anche nei suoi riflessi in Italia nello stesso periodo; trova pari riscontro nella musica classica dell'epoca, presente nella rivalità fra Salieri e Mozart. V. LUIGI MAGNANI, Beethoven nei suoi quaderni di conversazione, Laterza, Bri, 1970, pag. 167.
19)             La connessione fra il Werther di Goethe e le nuove ideologie del Romanticismo scatenate proprio dalla germanizzazione di Shakespeare, propria di Wieland, è descritta da BAIONI, op. cit. pag. 58.
20)             Su Dante cfr. CESARE MARCHI, Dante. Il poeta, il politico, l'esule, il guerrigliero, il cortigiano, il reazionario, Rizzoli, 1983 pagg. 165 e ss.
21)             V. BAIONI op.cit. pagg. 47 e ss.
22)             Cfr. ROBERTO ZAPPERI, Una vita in incognito. Goethe a Roma, ed. Bollati Boringhieri, Torino,
 2000, pagg. 15 e ss.

23)             Il saggio di cui al testo Zu brüderlichem Andenken Wielands - Freimaurerloge Roland zu den Alten Pflichten è facilmente reperibile su internet. In merito cfr. GUSTAV SEIBT, Il poeta e l'imperatore. La volta che Goethe incontrò Napoleone, Donzelli, Roma, pagg. 30 e ss.

sabato 20 maggio 2017

Il potere. XXII parte

Tacito

L'invidia del tiranno. Tacito[1]

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l' invidia ai suoi Cesari: Tiberio temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat, Annales, I, 80), e Domiziano invidiava e odiava Agricola per i suoi successi in Britannia: "Id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli" (Agricola[2], 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse messo al di sopra di quello del principe.
Quale deve essere la posizione dell'intellettuale e dell'uomo libero in genere nei confronti del tiranno?
Tacito dubita se il favore o l'ostilità dei prìncipi dipenda dal fato, o se abbiano qualche peso le nostre decisioni e sia possibile percorrere un cammino intermedio, privo di servilismo e pericoli, tra una rovinosa opposizione e una degradante sottomissione[3]: "an sit aliquid in nostris consiliis liceatque inter abruptam contumaciam et deforme obsequium pergere iter ambitione ac periculis vacuum " (Annales IV, 20).
Una via di mezzo insomma tra il ruere in servitium (Annales, I, 7) o la libido adsentandi (Historiae, I, 1) e l'ambitiosa mors (Agricola, 42), la morte spettacolare degli oppositori estremi.
 Comunque chi scrive storia deve esprimersi sine ira et studio (Annales, I, 1), senza animosità e partigianeria, ovvero neque amore quisquam et sine odio dicendus est (Historiae, I, 1).
Il suocero di Tacito sapeva frenare l’indole di Domiziano, praeceps in iram, con la moderazione e la prudenza. Infatti Agricola “non contumacia neque inani iactatione libertatis famam fatumque provocabat” (Agricola, 42), non provocava la fama e il fato con l’arroganza né con una vuota ostentazione di indipendenza. Dunque è possibile, lo sappiano chi ammirano inlicita gli atti di ribellione, posse etiam sub malis principibus magnos viros esse, e che l’obbedienza e la moderazione, se ci sono operosità e vigore (si industria ac vigor adsint) possono arrivare a quel livello di lode dove i più divennero famosi per abrupta, attraverso vie dirupate, con una morte spettacolare ambitiosa morte, per niente utile allo stato, in nullum rei publicae usum (42).
“La via indicata da Tacito per servire bene la patria sotto i tiranni ed evitare nello stesso tempo l’abrupta contumacia e il deforme obsequium doveva apparire l’unica giusta a molti intellettuali di rilievo, convinti ormai della necessità della monarchia, anche quando conservavano qualche traccia del repubblicanesimo umanista…. Come grandi esempi di vita operosa e gloriosa sotto la tirannia sono richiamati Germanico e Seneca; il richiamo di Seneca va notato, perché il filosofo si ritroverà poi altre volte accanto a Tacito come ispiratore della medesima scelta morale e politica”[4].


Intellettuali e potere
Antonio era talmente assetato di potere (dry for sway) che si assoggetta al re di Napoli Alonso pur di impadronirsi del ducato di Milano
 Mentre Prospero: Me, poor man, my library was dukedom large enough ( La tempesta, I, 2).
Potere e cultura sono inconciliabili quanto potere e morale (cfr. Pasolini)

Tra intellettuali liberi e potere non sono possibili rapporti di collaborazione secondo il Pasolini degli Scritti corsari che infatti gli sono costati la vita: " il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi". (p. 113). I poteri più forti sono quello dei consumi imposto da una concezione edonistica della vita, e quello del conformismo: “le cose si sono aggravate dal ’68 in poi. Perché da una parte il conformismo, diciamo così, ufficiale, nazionale, quello del “sistema”, è divenuto infinitamente più conformistico dal momento che il potere è divenuto un potere consumistico, quindi infinitamente più efficace - nell’imporre la propria volontà - che qualsiasi altro potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione “edonistica” della vita (e quindi a essere dei bravi consumisti) ridicolizza ogni precedente sforzo autoritario di persuasione: per esempio quello di seguire una concezione religiosa o moralistica della vita”[5].

“Il lettore non abituato a queste discussioni per intendere il rapporto società - cultura, immagini una specie di banchetto, in cui la borghesia mangia a quattro palmenti, invitando al suo tavolo i cuochi (gli intellettuali) e gettando qualche osso ai cani ed ai mendicanti (i proletari); quell’osso sarebbe poi, per dare un esempio, l’anticomunismo ed il clericalismo. Finché durerà questo banchetto, i proletari dovranno accontentarsi dei rimasugli delle pietanze, e gli intellettuali, per mangiare le loro pietanze, dovranno essere i cuochi dei capitalisti. L’esempio è un po’ strambo, ma dà all’incirca l’idea di come stanno le cose”[6].

Callistene, nipote di Aristotele e segretario della cancelleria (ejpistologravfo") di Alessandro Magno doveva comporre la versione ufficiale della campagna di Oriente ma fu condannato a morte nel 327 a. C. perché rifiutava la proskuvnhsi~ ritenendola servile, e per la sua parrhsiva. Sosteneva che la grandezza di Alessandro dipendeva dal suo racconto storico. Una volta Filota gli domandò chi pensasse che venisse maggiormente ammirato dalla città degli Ateniesi; egli rispose Armodio e Aristogitone poiché avevano ammazzato uno dei due tiranni, Ipparco, “kai; turannivda o{ti katevlusan[7] e per il fatto che avevano abbattuto la tirannide.

Altrettanto vennero messi a tacere dal regime imperiale di Roma gli storiografi che facevano opposizione e divennero martiri: Tito Labieno (soprannominato Rabienus per la sua rabbia contro i vincitori) si uccise per non sopravvivere alla sua opera, che Augusto fece bruciare, siccome esaltava la libertas.
Cremuzio Cordo chiamava Cassio, il cesaricida "ultimo dei Romani"[8].
Nel Giulio Cesare di Shakespeare, Bruto saluta per sempre Cassio suicida con questa parole: The last of all the Romans, fare thee well! (V, 3, 99)
 "Anche del senatore Cremuzio Cordo furono bruciati i libri, per ordine di Seiano, il celebre prefetto del pretorio di Tiberio; ed egli, accusato, s'era lasciato morire di fame. (La sua autodifesa fu un'esaltazione della libertà di pensiero storico)... Sotto Nerone, il padovano Trasea Peto "la virtù in persona[9]", come lo definì Tacito, si uccise[10] accusato di lesa maestà: aveva scritto una monografia su Catone Uticense. Questi storici capaci di eroismo sapevano benissimo che le loro opere, seppur con varie gradazioni, non solo difendevano l'antico regime, ma in realtà ponevano in questione lo stesso principato"[11]. Quando la persona del tiranno cambia, del resto ci possono essere rivalutazioni o nuove condanne secondo l'interesse o la simpatia del despota, e secondo la concezione orwelliana della storia come palinsesto: "La Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante si sarebbe reso necessario"[12]. Quando cambia un regime, o il despota, gli scrittori eliminati possono essere riabilitati.
"Caligola fece tornare alla luce gli scritti di Labieno e di Cremuzio: "è nel mio interesse" diceva "che la storia sia conosciuta" (ut facta quaeque posteris tradantur: Suet. Cal. 16, 1): un punto di vista che entra nella tendenza antitiberiana, e nella ricerca della popularitas, con cui Caligola, ai suoi inizi, si presentò come un monarca, a suo modo, costituzionale"[13].



CONTINUA



[1] “Chi vuole vedere quali sieno e pensieri de’ tiranni, legga Cornelio Tacito, quando referisce gli ultimi ragionamenti che Augusto morendo ebbe con Tiberio”. F. Guicciardini, Ricordi, 13.
[2] Del 98 d. C.
[3] Si pensi a certi "intellettuali" cattolici che per servilismo verso i gestori dei businnes massimi dichiarano che il cristianesimo è la più materialista delle religioni poiché prevede la resurrezione dei corpi.
[4] La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 231 e 232.
[5] P. P. Pasolini, Lettere Luterane, p. 21.
[6] P. P. Pasolini, Un intervento rimandato (marzo 1949), in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 83.
[7] Arriano, Anabasi di Alessandro, 4, 10, 3.
[8] "Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus laudatoque M. Bruto C. Cassium Romanorum ultimum dixisset", Tacito, Annales, IV, 34, sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa (25 d. C. ) viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima volta: pubblicati degli annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
[9] "Nero virtutem ipsam excindere concupivit interfecto Thrasea Paeto", Annales, XVI, 21, Nerone volle uccidere la virtù in persona con l'ammazzare Trasea Peto.
[10] Nel 66 d. C.
[11]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3, p. 64.
[12]G. Orwell, 1984.
[13]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3, p. 64.