(satira di Wolfgang
Goethe, introduzione e traduzione di Giuseppe Moscatt)
Personaggi:
Mercurio
Caronte
Euripide
Il letterato
Alcesti
Admeto
Wieland
Das Mädchen (una
ragazzina)
Ercole
Plutone
J.W.G.: Numi, eroi e Wieland (una farsa dei giorni
nostri)
Scena 1°
Mercurio e Caronte
Mercurio: Olà, Caronte! Sei venuto di soppiatto come un
ladro. E fa presto! I miei clienti non cessano di lamentarsi, si bagnano i
piedi e si buscano un raffreddore!
Caronte: Santi Numi! Veramente? Forse hai ragione…
Così non possiamo lasciarli…
Mercurio: Gli Dei, però che gente… Fra di loro pochi
sono quelli che realmente sanno del mondo. E di chi pratica le lettere
conoscono solo i difetti, magari le opere, forse i trucchi e le stregonerie,
certamente il bisogno di denaro. E che ne capiscono dell'inferno?
Caronte: Ma tu sta attento per come parli di loro,
ché ti possano punire per la tua impudenza quando tornerai a casa loro su fra
le nuvole.......
Mercurio: E che ho detto di grave?
Caronte: Ti spiego: proprio Alcesti e Admeto,
secondo Euripide, l'hanno pagato a caro prezzo per parlare male degli Dei.
Perfino Ercole è stato colpito da un fulmine, per una stupida battuta
irriverente, benché detta in buona fede...
Mercurio: Non lo capisco proprio!
Caronte: E io neppure. Ma hai forse letto in questi
giorni qualcosa di un poeta tedesco, tale Wieland?
Mercurio: Mi pare di sì!
Caronte: Queste chiacchiere non mi rendono nulla.
Forza, gli Dei sono furibondi e non possono più aspettare.
Mercurio: Sta qui in barca allora, vado sù, prendo i
morti e torno!
Scena 2°
i detti, Euripide, il letterato, Admeto e Alcesti
Euripide: Non è bello che tu ci canzoni a questo
modo, noi letterati che Ti siamo stati amici da sempre. Noi che fummo i grandi
della Grecia, non possiamo più essere punzecchiati come fai, noi che godevamo
il consenso del pubblico.
Mercurio: E anche questo non capisco perché si
lamenta?!
Il letterato: Scusate, avete qualche copia del Deutsche
Merkur?
Euripide: Per Bacco, arriva fin qui?
Il letterato: Certamente. Oggi è la voce della Germania.
Così come lo era Mercurio
messaggero degli Dei, dal cielo fino all'inferno.
Euripide: Ne ho sentito tanto parlare, da essere
proprio io trattato non troppo bene nelle sue pagine così patinate…
Il letterato: Anzi, il signor Wieland, suo direttore, di Voi
si è dimenticato e si è profuso in una nuova lettura dell'Alcesti,
sottolineando le colpe del Vostro secolo, i vizi dei protagonisti per come Voi li
avete abbozzati.
Euripide: Ma quale vizi! Quale secolo! Quali colpe!
Cosa devo sentire! E tu Mercurio,
perché continui a parlare?
Mercurio: Non so che dire ora. Io oggi paragonato a un
giornale…
Alcesti: Non mi piace e non vedo in quest'opera
nulla di buono!
Admeto: Neppure io sono contento per quello che
oggi si sta dicendo!
Mercurio: O Voi siete veramente fuori dal mondo,
oppure Vi prego di chiarire…
Alcesti: E allora senti bene: mio marito ed io
siamo ormai all'inferno. Ed un clima da
sogno ci circonda. Siamo in una valle fantastica, dove ascoltiamo suoni
infernali. Noi vaghiamo di qua e di là. Non viviamo più, ma vegetiamo nel
dolore. Siamo come due fantasmi. Piangiamo, vogliamo sparire nel nulla al più
presto. Come degli uccelli andiamo gracchiando e svolazzando per i campi...
Admeto: Ma ciò non basta, se non ci fosse anche la
beffa! Come è possibile che un mediocre studioso ci abbia risvegliato dal passato
e, col pretesto di rinnovare la nostra storia, ha senza cautele reinterpretato
il grande Euripide, addirittura facendoci comparire sulla scena in vesti di
puttana e di ruffiano? E con tali maschere continuiamo a recitare fino alla
fine con un pubblico esterrefatto e molto confuso. Non solo ha compromesso
l'opera classica, ma ci ha anche messo in imbarazzo di fronte al pubblico. E
questo Wieland pensa così di rinnovare il teatro?
Euripide: Concordo pienamente: la mia Alcesti è stata
stravolta sia nel testo che nel suo rappresentarsi. Il ridicolo dell'operetta, più
l'imprecisione delle battute!
Mercurio: Ma chi è questo Wieland?
Il letterato: Un oscuro consigliere del Principe di Weimar!
Mercurio: E meno male che non era un semplice
cameriere! Ma guarda un po’; è appena andato a letto, voglio proprio prendere
la sua anima e interrogarlo.
Il letterato: Ma questa è una grande occasione! Vediamo
allora come stanno veramente le cose.
Scena 3°
I detti e l'ombra di Wieland con il berretto da notte in
testa
Wieland: Mio caro Jacobi, hai finalmente concluso?
Alcesti: Sembra che parli in sogno con qualcuno…
Euripide: Vediamo come si giustifica…
Mercurio: Ora lo sveglio! Prima di dormire ha sentito
un discorso di Jacobi. E perfino ha
corretto le bozze del nuovo numero del Deutsche Merkur.
Wieland (con
voce flebile): Sento come dei colpi di giornale in faccia...
Mercurio: Lo credo bene! Così potrai vedere e
sentire...
Wieland: Sogno o son desto? E Voi chi siete?
Alcesti e
Admeto: Siamo le tue ultime vittime, Alcesti e
Admeto!
Euripide: Scommetto che pure tu mi riconosci...
Mercurio: Lui è Euripide, io Mercurio! Che ne pensi?
Wieland: Certo, è un sogno, non sono sveglio! Ma più
vi guardo e più non Vi credo. Avevo
ragione a non presentarVi come al solito! Che tradizioni e tradizioni… E
quest'Alcesti mi pare un'ammalata di tisi... No, è un cattivo sogno e non ci
sto!!!
Mercurio: Ma le critiche del pubblico? Non avete
pensato che queste fossero nate dalle
Vostre innovazioni? Come avete osato travisare Euripide?
Wieland: Ma che travisare... Intanto se studiate le
mie opere, io non ho mai accettato le tradizioni. Sono pienamente religioso in
ciò che la Chiesa mi ordina di accettare, ma per il resto sono libero di
trasgredirle. E dunque ho pensato di provare a cambiare. Vi assicuro, per
esempio, che Mercurio so chi è, e che sta nella tradizione per come l'ho reso a
teatro.
Mercurio: Vorrei ben dire!
Wieland: Non è infatti di carne ed ossa? E cosa ha
in mano? Tuoni e fulmini? E non è come lo
si è dipinto a Firenze? E cosa ho fatto di diverso?
Mercurio: Se così fosse! Ma allora perché Voi avete
tanto rovinato la figura di Ercole,
allontanandolo dal modello di Euripide?
Scena 4°
Euripide, Wieland e tutti gli altri
Wieland: Io l'ho pensato così.
Euripide: E a me non piace. Ho sorriso ben poco…
Wieland: Voi siete Euripide e tutti sanno quanto
stima ho per Voi.
Euripide: E come fate a giustificarvi se vi dico che
spesso mi avete opposto critiche insulse? Spesso avete dichiarato che la mia
Alcesti è mediocre, oppure è frutto di compromessi e che a volte il pubblico ha
perdonato le mie magagne. Anzi mi avete dato del povero menestrello fino a concludere
che ormai non avevo nulla da dire.
Admeto: Ma che dite? Euripide resta sempre un
grande poeta. Quali prove vi bastano? Da sempre fu un poeta della Grecia
classica. Sebbene abbia parlato dei Persiani quasi come uno di loro; però, fu
amico di Socrate e non si sottrasse a interpretare me e Alcesti. E perché mai
il letterato comune dovrebbe sminuire le sue opere?
Euripide: Anzi, nel mio caso ho salvato gli uomini da
ogni forma di tirannia. E quindi non ho altro da dire.
Wieland: Caro Euripide, però il mio pubblico non è
il Vostro!
Euripide: Non spostiamo la questione. Il vero è che
Voi avete approfittato delle mie
inevitabili carenze...
Alcesti: Chiedo di parlare. Per me non ci sono
punti da rivedere. Noi personaggi siamo tranquilli. La commozione che Euripide
ha prodotto nel pubblico è la sua garanzia. Io non ho alcun pentimento e me ne
sto quaggiù a riflettere con Admeto sulla
bella versione di Euripide.
Wieland: Ma può il personaggio criticare l'autore
che lo ha creato? Per me, il personaggio deve obbedire all'autore e basta!
Alcesti: E perché, no? Anche quaggiù crediamo che
Euripide è un eroe della Germania e del mondo! E perciò non voglio opporre nulla a suo danno. Per me il problema
sta nella Vostra Alcesti, non in quella di Euripide!
Wieland: Ma allora insistete nelle critiche? Con
eleganza, mi state dicendo che
ho fatto male?
Alcesti: E allora? Euripide piace da sempre perché
è un autore nato per il teatro. Voi, no! Non siete idoneo, anche se aveste
scritto la più grande delle tragedie...
Wieland: Questa, poi! E perché?
Euripide: Alcesti, per un momento tacete, fatemelo
spiegare. Non nego le mie difficoltà, ma ripeto, fatemi dire. C'era una volta
un giovane Re, nel pieno della sua potenza. Improvvisamente, venne colpito
nella sua casa, nei suoi beni e nel suo consenso popolare. Benché colpito nella
sua dolce vita, pregò Apollo di aiutarlo. E questi venne, impedendo che le
Parche filassero le loro reti. E allora ebbe contro i genitori, gli amici e i
cittadini, desiderando superare i limiti della morte, perché voleva a tutti i
costi vivere più a lungo e soprattutto di fronte al sacrificio della moglie,
prima per bellezza e onore, consentì che proprio lei scendesse disperatamente
verso la morte in sua vece.
Wieland: E su questa scelta della moglie non ho
avuto alcun dubbio e mi sono adeguato.
Euripide: Per niente! I vostri personaggi non
sembrano partecipare ad una grande tragedia, ma a loro piace vivere
allegramente e sono impegnati nei vari affari quotidiani. Essi vedono Dio da
lontano, badano al concreto e Vi considerano un poeta che declama le loro disgrazie! Di loro avete
fatto un minestrone, senza definire chiaramente il loro ruolo e le loro
tensioni. Nella mia tragedia, invece c'è una donna, moglie e madre di famiglia,
che vuole morire per salvare l'uomo che ama. C'è un marito, poi, che è un
prode, che desidera morire per lei! Un eroe, dunque, che non è una statua
annoiata, oppure un montone infuriato, come invece appare sulla scena del
Vostro dramma.
Wieland: E' proprio vero che non avete capito quello
che volevo rappresentare...
Alcesti: E lo credo! Ora mi potrete ribattere:
perché Alcesti muore anche se suo marito la ama follemente? Admeto come ogni
uomo che abbia amore per la propria moglie, avrebbe dovuto scendere con lei
agli inferi! Infatti Filemone e Bauci si danno insieme la morte; e il nostro
poeta Klopstock - lui sì, che è un grande autore -fa declamare all'innamorato, Oh
Dafne, infine anch'io muoio! E' questo che vuole Admeto, è questo il suo
essere, non quello di un personaggio da operetta, per di più interpretato da un
giovanotto infigardo...
Admeto: E io, vi appaio ripugnante, solo perché non
voglio morire. E mi avete visto dunque morto? O piuttosto non mi vedete invece
molto allegro? Caro Wieland, Voi mi avete reso in scena alla stregua di un
grandioso fanfarone, di un marito contento per essersi sbarazzato della moglie!
Wieland: Io ho tentato soltanto di mostrarlo
timoroso di morire…
Admeto: Ma quale eroe sprezzante della morte! Se
avesse avuto paura della morte, come
avviene per tutti, anche per gli eroi, nessun problema. Ma credete che non
avrei risparmiato la vita della donna che mi aveva salvato dalla morte? Suvvia…
Wieland: State pensando di me come di un uomo
spregevole, di un uomo senz'anima, di un freddo calcolatore che rappresenta gli
oscuri meandri dell'animo umano.
Admeto: Siamo noi Greci che pensiamo e viviamo da
eroi. Ma è Voi che dite cose inconcepibili per la mia figura!
Euripide: E fatemi dire che Voi siete un po’
superficiale, che avete consumato e snaturato l'originale, avete voluto ferire
a morte quello che ho scritto e avete pure un cuore arido, senza contare che
avete inferto un colpo mortale al vostro spirito, mentre il Vostro corpo non ne
esce sano. Insomma, non mi fate dire altro.
Admeto: Sono d'accordo. Voi avete sminuito Euripide
ed Admeto.
Alcesti: E' lo stesso parere che io ho, da donna
che sta in scena e che ha vissuto una tragedia.
Admeto: Al contrario, l'azione aveva per
protagonista un giovane assai piacevole, un principe magnifico, erede al trono,
ottimo eroe, e di sentimenti puri, che governava con giudizio, che era amato
dal popolo, tanto da essere osannato per tutte le sue leggi e che naturalmente
non era privo di amore per gli altri. Era solidale con tutti, amava Dio e gli
uomini come se stesso, e che Apollo aveva premiato con l'immortalità. Non viveva alle spalle degli altri, insomma
amava tanto la moglie e molto di meno se stesso.
Admeto: E c'è un’altra cosa che non capisco. Caro
Wieland, avete chiamato dall'aldilà
una giovane svenevole. Caruccia, vuoi dire qualcosa?
La giovinetta: E cosa dovrei dire?
Alcesti: Ma come, non hai avuto mai un innamorato?
La giovinetta: Oh, sì!
Alcesti: E quale prova d'amore migliore se non
quella di morire per lui?
La giovinetta: Certo, sono morta proprio per lui. Certamente
una straziante angoscia ci prese, tanto che non la sopportai a lungo.
Alcesti: Questa è la Alcesti originaria rispetto
alla Vostra. E ora dimmi, carina, hai mai avuto genitori che ti hanno amato
affettuosamente?
La giovinetta: Il loro amore fu assoluto e ci fa onore.
Alcesti: E fai bene a pensarlo! E se i tuoi
genitori fossero morti per salvarti, non li avresti forse
ringraziati?
La giovinetta: Senza dubbio!
Alcesti: Caro Wieland è propria questa l'Alcesti
di Euripide!
Admeto: La parte che avete ideato era quella di una
ragazzina ingenua, tanto più che ben due donne mature vi avevano rinunziato.
Ciò che avete organizzato per la Vostra opera non è stato giusto e neppure
necessario.
Wieland: Siate cortese. Voi credete di trattare con
un pubblico distratto, del quale invece non avete capito nulla, perché siete
fuori dalle loro passioni.
Euripide: Oh basta, le devo dire ancora un paio di
cose!
Wieland: Di grazia, dite in breve!
Euripide: Altro che molte lettere scriverei. Piuttosto
ho un’enciclopedia di proteste da dire. Malgrado abbiate
qualche scusante tecnica, tuttavia un tale teatro si può forse rappresentare e
portare in giro per le città, magari lo si può sopportare, ma è un genere di
poco conto, per non dire scadente rispetto alla grandezza dell'originale.
Wieland: Voi non sapete quale fatica e quanto costa
produrlo!
Euripide: Lo hai detto in tutte le salse, fin da
quando lo hai messo in scena, ma non è altro che una furbata. Piuttosto ti sei
adeguato alla moda e hai tirato fuori un teatro che risente del quotidiano, una
foglia di fico come quella che si mettono sulle statue, messe per coprire le vergogne
umane, che invece io ho sbandierato ai quattro venti!
Wieland: Voi non riuscirete a convincermi!
Euripide: E Voi campate su tali glorie e lasciate
stare il vero teatro che contesta il mondo così com'è.
Admeto: State tranquillo, caro Euripide. I punti di
questa frivola commedia sono talmente tanti da potervi fare numerose beffe e
non ci non sono battute da segnalare. Non stiamo scherzando, né è opportuno
chiamare Shakespeare a vostro sostegno per giustificare i buchi, cosa che
sarebbe l'unica via da percorrere. Solo in tal modo potrebbe resistere nel
tempo ed essere ancora ricordata. Altrimenti non c'è nulla da fare.
Euripide: Invece nulla è più bello del mio prologo,
che è un pezzo magistrale ancora ricordato. E mi posso permettere di dirlo. Tu non
lo puoi; e se lo hai scritto, con quali risultati?
Alcesti: Se lo ascolti non si troverà alcun senso
di immortalità nel suo lavoro.
Euripide: Sulla soglia della sua reggia parlò Apollo,
il Dio protettore delle famiglie, il quale per amore di Admeto, lo sottrasse
alla morte e ora - povero me! - ho dovuto scaricare agli inferi, la sua
gloriosa moglie. Ciò non tradì quel focolare, visto che Alcesti con la sua
purificò se stessa ed il marito. Così Admeto si vestì di nero, esercitò il
potere di re, accompagnò la moglie al cimitero, soffrì con immenso dolore e
urlò la sua rabbia contro gli onnipotenti Dei. E noi facemmo dire al coro che
sospirò: ohimé che Esculapio figlio di Apollo non viva, se non gli avessi
dato una cura miracolosa tale da evitare la morte. Però fu fulminato da
Giove che non perdona, perché osò guarire da una malattia inesorabile che
nessun uomo avrebbe mai potuto evitare.
Alcesti: Caro Euripide, hai così molto eccitato la
fantasia umana, tanto che hai prodotto uno spettacolare effetto taumaturgico,
tale da fronteggiare la morte? E ciò non per piacere, ma per dare speranza. La
fede sta trionfando: viene avanti una donna e che donna! Sta di fronte a noi
una semidea!
Euripide: E infatti ora Ercole il semidio entra in
scena a proposito: Alcesti è morta, è vero! Ci è stata
sottratta, fa da scorta della morte più nera, non tornerà più in famiglia. E la
Morte, figlia di Giove, la sconfisse. Ma io pensai di farla uscire dalla tomba
e impedii che Quella le succhiasse il sangue e l'anima. Salvai la sua anima, e
la feci ritornare dall'Ade e poi rivivere. E per far ciò ho messo in moto un
altro figlio di Giove, Ercole il
semidio che potesse risvegliare un’altra semidea!
Scena 5°
I detti e Ercole
Ercole
(da sinistra): Chi mi chiama? Eccomi, son qua!
Admeto: Ti abbiamo forse svegliato dal tuo eterno
riposo?
Ercole: Perché state parlando così forte?
Alcesti: Sai che qua giù c'è Wieland.
Ercole: E chi è?
Admeto: Sta di fronte a te.
Ercole: Quello là? Ecco chi per sempre mi ha
preso in giro!
Wieland: Spiacente, gigante, non ho nulla da fare
con te.
Ercole: Ma ti sembro un nano?
Wieland: Caro Ercole, Voi siete un uomo abbastanza
imponente!
Ercole: E chiamatemi come volete…
Wieland: Non posso che chiamarvi così!
Ercole: Ed è questo il mio nome, anzi ne
sono fiero. E so bene che si è considerati non troppo bene chi si mette addosso
una pelle d'orso e va a cacciare: questi è Ercole, figlio di Giove. Che egli
sia piuttosto una divinità che si mostra in sogno, mi pare possibile.
Wieland: Io mi sono limitato a raffigurare quel che
ho visto nel mio primo sogno.
Ercole: Così fui dinanzi a te e pregai gli
dei come ci insegnò Omero, loro che sono i potenti Numi. E lo sono davvero!
Wieland: E' vero, Voi siete un gigante. Io vi ho
immaginato così!
Ercole: Ci mancherebbe! Non ci vuole ben
poca immaginazione per farlo… E se dunque sono l'Ercole arcinoto, perché?
Perché è necessaria quella figura, Weiland? Perché occorre un eroe al mondo che
sappia ottenere qualsiasi scopo.
Wieland: Se il mio Ercole è buono per tutto, tutto
può osare.
Ercole: Io sono il superuomo! E'
stata adoperata questa espressione perché collaudata nel teatro del passato,
alla fine poteva ancora piacere al pubblico.
Wieland: E non sono stato neppure io più preciso di Voi.
E tuttavia questa figura non è più quella di una volta. Vorrei che leggeste una
mia vecchia fatica e allora capireste che il mio personaggio è molto più
modesto. Il vostro carattere è pur presente, anche se non è più così certo.
Ercole: Non esageriamo! Come ogni cosa al
mondo, anche la fantasia ha un limite. Questo ruolo mi deriva dall'essere
figlio di un Dio, come se fossi un Centauro. Anzi la Vostra idea lo ha meglio
descritto, vale a dire un eroe potente e forzuto! E quando il Vostro scultore
più amato mi scolpì, quale forma superiore ebbe a darmi! Le forme anatomiche
che mi facevano apparire fortissimo, con due cuori e due pance. Al momento
della morte ero un essere mostruoso, con una testa enorme mai apparsa sulla
terra!
Wieland: Ma il vero carattere non stava nel come
essere, quanto nel come dovere essere!
Ercole: Ben detto! E che c'é dubbio? Anzi,
quando diciamo semidio ed eroe, vogliamo dunque sottolineare non soltanto la
forza bruta… Come puoi pensare che non viviamo solo come bestie, senza usare un
po’ di intelligenza umana? Noi siamo dei tipi in gamba, non siamo dei bruti
senza ragione!
Wieland: Ma allora, chi è per Voi un tipo in gamba?
Ercole: Uno che partecipa agli altri ciò che
possiede. Il più ricco fra loro è il più valoroso. Se uno aveva eccedenza di
energie, picchiava per bene gli altri. Ed è naturale che un uomo di fegato non
tratta con quelli che sono meno di lui, ma soltanto con i suoi pari, anche
dunque con i più forti. Infatti io stesso abbattei in una notte cinque banditi.
Con un pugno ne abbattei due, un 'altro lo mandai in cielo e con un altro pugno
ne misi a terra altri due. La fama si sparse e divennero mille, crescendo di
numero in numero in ogni momento si parlerà delle mie gesta. Admeto lo
credette, tanto che nella seconda parte del dramma venne a chiamarmi.
Wieland: Per i più fu un errore e non si è più
riusciti a correggerlo!
Ercole: Un errore che si quantificò in un
ruolo che divenne un simbolo. E perciò arrivò più o meno a Voi, che per errore
lo consideraste un carattere immodificabile. Invece di una più curata analisi,
il Vostro pubblico mediocremente accettò la versione peggiore: così le serve, i
contadini e i popolani lo credettero l'uomo più forte del mondo.
Wieland: Se si preferiva rilevare e narrare la
realtà, allora non potevo fare altrimenti: oppure avrei dovuto adeguare le mie
convinzioni al sentire comune. O mi distaccavo dalla tradizione; oppure dovevo
essere meno conformista e subire notevoli obiezioni.
Ercole: E che paura c'era di essere criticato?
Il cavallo alato, i cannibali e i draghi, che avrei affrontato, perfino le
nuvole, esigevano una mitologia che non possiamo eludere perché gli esseri
umani hanno bisogno di qualcosa di magico per superare le tragedie della vita.
L'avere aggravato un uomo di tante qualità superiori, io però lo ho disperso al
vento e lo ho reso falso sia come eroe sia come uomo.
Wieland: Voi siete un mostro! Un ateo!
Ercole: Ma che cosa pensate? Dietro Ercole il
grande c'è anche un uomo normale, un po’ pedante e molto pratico. A volte
avventuroso, altre volte uomo di casa. Se le donne mi amavano, facevo pure
parte del popolo minuto, non potevo più tornare indietro. E se commettevo
qualche bravata, questo ruolo non potevo più toglierlo di dosso. E perciò
lasciai correre la tua opinione certamente più equilibrata. Ero un eroe, ma di
casa…
Wieland: Voi sapete le mie opinioni, non c'è altro
da aggiungere!
Ercole: E lo credo. Non hai a lungo sofferto
per avere condiviso le tradizioni e perciò non hai pensato diversamente. Invece
hai sbagliato proprio a riproporre un'idea superata. Non riesci a digerire che
un semidio si ubriachi e sia un villano, che sia addirittura decaduto a uomo
comune. Un falso dio, che si vende al miglior offerente, uno che Voi se lo
salutate, Vi risponde come una persona qualunque. In fondo la Vostra prosopopea
non volle cambiare nulla e così conquistò un più facile consenso, senza
apportare quel cambiamento ideologico che soltanto lei proclamava senza alcuna
sua obiettiva realizzazione.
Wieland: Io però ho fatto una bella figura!
Ercole: Ma potevi dire qualcosa di più come
aveva fatto Euripide a suo tempo. E non solo in questo caso. Perché si sarebbe
potuto parlare di un uomo d'ingegno che a 40 anni aveva compiuto grandi imprese
e che aveva scritto molti libri, che aveva superato tanti presuntuosi e che
soprattutto era apprezzato ovunque passasse. Inoltre che aveva osato opporsi a
tanti letterati di regime fino anche a soffrire per difendere i valori
immortali. Ma non lo avete fatto.
Plutone
(improvvisamente):
Basta! State facendo troppo chiasso qua sotto! E tu Ercole, ti ordino di andare
via. E state buoni con le Vostre donne, quando le rivedrete...
Ercole: Così va bene, Vostra Maestà!
Wieland
(svegliandosi):
Oh povero me! Questo sogno mi ha proprio angosciato…
traduzione di Giuseppe Moscatt
Giovanna Tocco
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