sabato 20 maggio 2017

Il potere. XXII parte

Tacito

L'invidia del tiranno. Tacito[1]

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l' invidia ai suoi Cesari: Tiberio temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat, Annales, I, 80), e Domiziano invidiava e odiava Agricola per i suoi successi in Britannia: "Id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli" (Agricola[2], 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse messo al di sopra di quello del principe.
Quale deve essere la posizione dell'intellettuale e dell'uomo libero in genere nei confronti del tiranno?
Tacito dubita se il favore o l'ostilità dei prìncipi dipenda dal fato, o se abbiano qualche peso le nostre decisioni e sia possibile percorrere un cammino intermedio, privo di servilismo e pericoli, tra una rovinosa opposizione e una degradante sottomissione[3]: "an sit aliquid in nostris consiliis liceatque inter abruptam contumaciam et deforme obsequium pergere iter ambitione ac periculis vacuum " (Annales IV, 20).
Una via di mezzo insomma tra il ruere in servitium (Annales, I, 7) o la libido adsentandi (Historiae, I, 1) e l'ambitiosa mors (Agricola, 42), la morte spettacolare degli oppositori estremi.
 Comunque chi scrive storia deve esprimersi sine ira et studio (Annales, I, 1), senza animosità e partigianeria, ovvero neque amore quisquam et sine odio dicendus est (Historiae, I, 1).
Il suocero di Tacito sapeva frenare l’indole di Domiziano, praeceps in iram, con la moderazione e la prudenza. Infatti Agricola “non contumacia neque inani iactatione libertatis famam fatumque provocabat” (Agricola, 42), non provocava la fama e il fato con l’arroganza né con una vuota ostentazione di indipendenza. Dunque è possibile, lo sappiano chi ammirano inlicita gli atti di ribellione, posse etiam sub malis principibus magnos viros esse, e che l’obbedienza e la moderazione, se ci sono operosità e vigore (si industria ac vigor adsint) possono arrivare a quel livello di lode dove i più divennero famosi per abrupta, attraverso vie dirupate, con una morte spettacolare ambitiosa morte, per niente utile allo stato, in nullum rei publicae usum (42).
“La via indicata da Tacito per servire bene la patria sotto i tiranni ed evitare nello stesso tempo l’abrupta contumacia e il deforme obsequium doveva apparire l’unica giusta a molti intellettuali di rilievo, convinti ormai della necessità della monarchia, anche quando conservavano qualche traccia del repubblicanesimo umanista…. Come grandi esempi di vita operosa e gloriosa sotto la tirannia sono richiamati Germanico e Seneca; il richiamo di Seneca va notato, perché il filosofo si ritroverà poi altre volte accanto a Tacito come ispiratore della medesima scelta morale e politica”[4].


Intellettuali e potere
Antonio era talmente assetato di potere (dry for sway) che si assoggetta al re di Napoli Alonso pur di impadronirsi del ducato di Milano
 Mentre Prospero: Me, poor man, my library was dukedom large enough ( La tempesta, I, 2).
Potere e cultura sono inconciliabili quanto potere e morale (cfr. Pasolini)

Tra intellettuali liberi e potere non sono possibili rapporti di collaborazione secondo il Pasolini degli Scritti corsari che infatti gli sono costati la vita: " il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi". (p. 113). I poteri più forti sono quello dei consumi imposto da una concezione edonistica della vita, e quello del conformismo: “le cose si sono aggravate dal ’68 in poi. Perché da una parte il conformismo, diciamo così, ufficiale, nazionale, quello del “sistema”, è divenuto infinitamente più conformistico dal momento che il potere è divenuto un potere consumistico, quindi infinitamente più efficace - nell’imporre la propria volontà - che qualsiasi altro potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione “edonistica” della vita (e quindi a essere dei bravi consumisti) ridicolizza ogni precedente sforzo autoritario di persuasione: per esempio quello di seguire una concezione religiosa o moralistica della vita”[5].

“Il lettore non abituato a queste discussioni per intendere il rapporto società - cultura, immagini una specie di banchetto, in cui la borghesia mangia a quattro palmenti, invitando al suo tavolo i cuochi (gli intellettuali) e gettando qualche osso ai cani ed ai mendicanti (i proletari); quell’osso sarebbe poi, per dare un esempio, l’anticomunismo ed il clericalismo. Finché durerà questo banchetto, i proletari dovranno accontentarsi dei rimasugli delle pietanze, e gli intellettuali, per mangiare le loro pietanze, dovranno essere i cuochi dei capitalisti. L’esempio è un po’ strambo, ma dà all’incirca l’idea di come stanno le cose”[6].

Callistene, nipote di Aristotele e segretario della cancelleria (ejpistologravfo") di Alessandro Magno doveva comporre la versione ufficiale della campagna di Oriente ma fu condannato a morte nel 327 a. C. perché rifiutava la proskuvnhsi~ ritenendola servile, e per la sua parrhsiva. Sosteneva che la grandezza di Alessandro dipendeva dal suo racconto storico. Una volta Filota gli domandò chi pensasse che venisse maggiormente ammirato dalla città degli Ateniesi; egli rispose Armodio e Aristogitone poiché avevano ammazzato uno dei due tiranni, Ipparco, “kai; turannivda o{ti katevlusan[7] e per il fatto che avevano abbattuto la tirannide.

Altrettanto vennero messi a tacere dal regime imperiale di Roma gli storiografi che facevano opposizione e divennero martiri: Tito Labieno (soprannominato Rabienus per la sua rabbia contro i vincitori) si uccise per non sopravvivere alla sua opera, che Augusto fece bruciare, siccome esaltava la libertas.
Cremuzio Cordo chiamava Cassio, il cesaricida "ultimo dei Romani"[8].
Nel Giulio Cesare di Shakespeare, Bruto saluta per sempre Cassio suicida con questa parole: The last of all the Romans, fare thee well! (V, 3, 99)
 "Anche del senatore Cremuzio Cordo furono bruciati i libri, per ordine di Seiano, il celebre prefetto del pretorio di Tiberio; ed egli, accusato, s'era lasciato morire di fame. (La sua autodifesa fu un'esaltazione della libertà di pensiero storico)... Sotto Nerone, il padovano Trasea Peto "la virtù in persona[9]", come lo definì Tacito, si uccise[10] accusato di lesa maestà: aveva scritto una monografia su Catone Uticense. Questi storici capaci di eroismo sapevano benissimo che le loro opere, seppur con varie gradazioni, non solo difendevano l'antico regime, ma in realtà ponevano in questione lo stesso principato"[11]. Quando la persona del tiranno cambia, del resto ci possono essere rivalutazioni o nuove condanne secondo l'interesse o la simpatia del despota, e secondo la concezione orwelliana della storia come palinsesto: "La Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante si sarebbe reso necessario"[12]. Quando cambia un regime, o il despota, gli scrittori eliminati possono essere riabilitati.
"Caligola fece tornare alla luce gli scritti di Labieno e di Cremuzio: "è nel mio interesse" diceva "che la storia sia conosciuta" (ut facta quaeque posteris tradantur: Suet. Cal. 16, 1): un punto di vista che entra nella tendenza antitiberiana, e nella ricerca della popularitas, con cui Caligola, ai suoi inizi, si presentò come un monarca, a suo modo, costituzionale"[13].



CONTINUA



[1] “Chi vuole vedere quali sieno e pensieri de’ tiranni, legga Cornelio Tacito, quando referisce gli ultimi ragionamenti che Augusto morendo ebbe con Tiberio”. F. Guicciardini, Ricordi, 13.
[2] Del 98 d. C.
[3] Si pensi a certi "intellettuali" cattolici che per servilismo verso i gestori dei businnes massimi dichiarano che il cristianesimo è la più materialista delle religioni poiché prevede la resurrezione dei corpi.
[4] La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 231 e 232.
[5] P. P. Pasolini, Lettere Luterane, p. 21.
[6] P. P. Pasolini, Un intervento rimandato (marzo 1949), in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 83.
[7] Arriano, Anabasi di Alessandro, 4, 10, 3.
[8] "Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus laudatoque M. Bruto C. Cassium Romanorum ultimum dixisset", Tacito, Annales, IV, 34, sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa (25 d. C. ) viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima volta: pubblicati degli annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
[9] "Nero virtutem ipsam excindere concupivit interfecto Thrasea Paeto", Annales, XVI, 21, Nerone volle uccidere la virtù in persona con l'ammazzare Trasea Peto.
[10] Nel 66 d. C.
[11]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3, p. 64.
[12]G. Orwell, 1984.
[13]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3, p. 64. 

1 commento:

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