NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 9 maggio 2017

Il potere. XX parte

Bruto
Il falso sciocco. Bruto e Amleto, gli ossimori viventi

Bruto, per salvarsi, aveva stabilito di non lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato: "Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto. “Perché non vi è nulla di più pericoloso di un uomo che rifiuta di sottomettersi alla tirannia”[1].
Ma quella che sembrava pazzia agli stupidi era invece genio. Quando l'oracolo delfico infatti preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che per primo avesse baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet quod ea communis mater omnium mortalium esset " I, 56, 12, come se fosse caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente poiché quella era la madre comune di tutti i mortali.
 Molto interessante è il commento di Bettini alla finta scivolata del falso sciocco. Questo particolare non irrilevante si trova anche in altri autori. "Il racconto di Dionigi appare, in questo episodio, leggermente variato[2]. Egli infatti ambienta la scena non direttamente nel tempio di Delfi, come Livio, ma la ritarda sino al momento dello sbarco in Italia: in questo modo, la terra mater assume simultaneamente anche il connotato della terra patria. Ancora, in Dionigi manca il tema della caduta simulata: Bruto, semplicemente, si china a baciare la terra, compiendo un gesto rituale antico e frequente, in coloro che tornano a casa dopo un lungo viaggio[3]…Ovidio, al contrario, resta fedele al tema della simulazione: "ille iacens pronus matri dedit oscula terrae, /creditus offenso procubuisse pede"[4] ( giacendo disteso al suolo dette un bacio alla terra madre, dando l'impressione che fosse caduto per aver inciampato). Qui Bruto inciampa, non scivola come altrove: però si tratta ugualmente di una caduta, e di una falsa caduta"[5]. Bettini procede facendo notare che la stupidità, vera o simulata, tira al basso. "In generale la poca stabilità sulle gambe, l'attrazione verso la terra - la tendenza, insomma, a mutare la posizione eretta umana e normale con quella a terra - sembra costituire un tratto tipico dello sciocco e del buono a nulla: ovvero di colui che finge di esserlo. 

Dell'imperatore Claudio si sottolinea frequentemente l'andatura vacillante, il "dexterum pedem trahere" (trascinare il piede destro), e così via[6]. Il carattere tardus dell'intelletto sembra avere il suo corrispettivo nella tardità fisica"[7]. Questa caratteristica di Claudio può entrare del resto anche nella rubrica "la zoppia del tiranno" che aprirò tra poco avvalendomi della guida di J. P. Vernant. Per ora torniamo a Bettini e ad altri finti sciocchi che traballano. " David, comunque, fingendosi pazzo alla corte di Achis "si lasciava cadere fra le loro mani e inciampava nei battenti della porta"[8]. Dunque anche David scivolava giù e inciampava, come Bruto a Delfi. Ma anche Amelethus, quando lo incontriamo la prima volta nella reggia di Fengo, giace "abiectus humi" (buttato a terra), sporco[9]... Lo stupido, tendendo al basso, alla terra, con la sua andatura incerta e le sue cadute, il suo inciampare, la sua amletica posizione di humi abiectus, di disprezzato Ceneraccio, riconferma invece la propria natura animalesca, il suo essere brutus: come gli animali che, com'è noto, "natura (…) prona finxit"[10] (la natura ha creato proni verso terra). Del resto…il valore originale dell'aggettivo brutus è proprio quello di "pesante"[11]: chi è brutus ha un ingegno che tira al basso. Cadendo a terra Brutus - per fare un gioco etimologico caro ai poeti antichi - diventa "realmente" brutus. I cugini Tito e Arrunte, nel tempio del dio di Delfi, non si saranno certo meravigliati del suo gesto, lo avranno trovato normale. E' stupido, è brutus, e quindi cade. Magari avranno riso di lui"[12].

 Livio racconta pure che Bruto aveva portato in dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo fatto a questo scopo, recando immagine enigmatica del suo carattere: "aureum baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per ambagem effigiem ingenii sui"[13]. "L'offerta funziona dunque come un indovinello, che simbolicamente rappresenta la falsa stoltezza dell'eroe. Il falso sciocco si configura come un involucro di materia vile che nasconde un'anima aurea… Dunque Bruto offre al dio un'immagine di se stesso, e della sua intelligenza fasciata di stoltezza. Come il Sileno platonico - l'astuccio ligneo, e di aspetto rozzo, che cela al suo interno la statua della divinità[14] - anche il bastone di Bruto manifesta simultaneamente i contrari. In questo senso si potrebbe anche dire che l'oggetto che Bruto offre al dio funziona alla maniera di un ossimoro, quella figura retorica che fa coincidere in uno stesso sintagma due perfetti contrari: come l'oraziana "concordia discors"[15], o il miltoniano "darkness visible"[16]. La materia più nobile e desiderata - l'oro - e quella più vile e mal augurante - un legno scadente e infelix - sono poste forzatamente una dentro l'altra. L'oggetto è ossimorico proprio come ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia. Diciamo meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che il significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle figure retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[17].



continua


[1] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 20.
[2] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, 4, 69, 3.
[3] E. Fraenkel, Aeschylus. Agamemnon, Clarendon Press, Oxford, 1962, II, pp. 256 sgg. (nel commento al v. 503); Olgivie, A Commentary on Livy cit., p. 228: sul bacio alla terra vedi in particolare F. Lot, Le basier à la terre. Continuation d'un rite antique, in Pankrateia, Mélanges H. Grégoire, Bruxelles 1949, pp. 435 sgg.
[4] Ovidio, Fastorum libri, 2, 720. Così Valerio Massimo, 7, 3, 2: "perinde atque casu prolapsus, de industria se abiecit". Per il tema del "baciare la terra", cfr. J 1652; A 401.
[5] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, pp. 95 - 96.
[6] Seneca, Apocolocyntosis, 5, 1; Svetonio, Divus Claudius, 2; 21; Seneca, Apocolocyntosis, 1 e 5.
[7] M. Bettini, op. cit., p. 96.
[8] Il libro dei Re, 21, 11 (=Il libro di Samuele, 21, 11 - 13).
[9] Saxo, 3, 6, 6.
[10] Sallustio, De Catilinae coniuratione, 1.
[11] Cfr. Lucrezio, De rerum natura VI, 105. “nam cadere aut bruto deberent pondere pressae, infatti dovrebbero o cadere gravate dal solito peso… Quindi Orazio carm. 1, 34, 9, bruta tellus, terra inerte. Ndr.
[12] M. Bettini, op. cit., p. 98.
[13] Livio, I, 56, 9.
[14] Platone, Simposio, 215b, 221d sg.; Lanza, Lo stolto, Einaudi, Torino 1997, pp. 32 sgg.
[15] Epistulae. I, 12, 19 Ndr.
[16] Paradise lost, I, 63. E’ la tenebra dell’inferno dove è stato gettato il Serpente infernale che accecato da invidia e vendetta trasse in inganno la madre di tutti gli uomini. Ndr.
[17] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 2000, p. 86. 

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