Bruto |
Il falso sciocco. Bruto e Amleto, gli ossimori
viventi
Bruto, per salvarsi, aveva stabilito di non
lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua
fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato: "Ergo ex industria factus ad imitationem
stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit
cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se
stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto. “Perché
non vi è nulla di più pericoloso di un uomo che rifiuta di sottomettersi alla
tirannia”[1].
Ma
quella che sembrava pazzia agli stupidi era invece genio. Quando l'oracolo
delfico infatti preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che
per primo avesse baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo
contigit, scilicet quod ea communis mater omnium mortalium esset " I, 56,
12, come se fosse caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente
poiché quella era la madre comune di tutti i mortali.
Molto interessante è il commento di Bettini
alla finta scivolata del falso sciocco. Questo particolare non irrilevante si
trova anche in altri autori. "Il racconto di Dionigi appare, in questo
episodio, leggermente variato[2].
Egli infatti ambienta la scena non direttamente nel tempio di Delfi, come Livio,
ma la ritarda sino al momento dello sbarco in Italia: in questo modo, la terra mater
assume simultaneamente anche il connotato della terra patria. Ancora, in Dionigi
manca il tema della caduta simulata: Bruto, semplicemente, si china a baciare
la terra, compiendo un gesto rituale antico e frequente, in coloro che tornano
a casa dopo un lungo viaggio[3]…Ovidio,
al contrario, resta fedele al tema della simulazione: "ille iacens
pronus matri dedit oscula terrae, /creditus offenso procubuisse pede"[4]
( giacendo disteso al suolo dette un bacio alla terra madre, dando
l'impressione che fosse caduto per aver inciampato). Qui Bruto inciampa, non
scivola come altrove: però si tratta ugualmente di una caduta, e di una falsa
caduta"[5].
Bettini procede facendo notare che la stupidità, vera o simulata, tira al basso.
"In generale la poca stabilità sulle gambe, l'attrazione verso la terra - la
tendenza, insomma, a mutare la posizione eretta umana e normale con quella a
terra - sembra costituire un tratto tipico dello sciocco e del buono a nulla: ovvero
di colui che finge di esserlo.
Dell'imperatore Claudio si sottolinea
frequentemente l'andatura vacillante, il "dexterum pedem trahere"
(trascinare il piede destro), e così via[6].
Il carattere tardus dell'intelletto sembra avere il suo corrispettivo
nella tardità fisica"[7].
Questa caratteristica di Claudio può entrare del resto anche nella rubrica
"la zoppia del tiranno" che aprirò tra poco avvalendomi della guida
di J. P. Vernant. Per ora torniamo a Bettini e ad altri finti sciocchi che
traballano. " David, comunque, fingendosi pazzo alla corte di Achis
"si lasciava cadere fra le loro mani e inciampava nei battenti della
porta"[8].
Dunque anche David scivolava giù e inciampava, come Bruto a Delfi. Ma anche
Amelethus, quando lo incontriamo la prima volta nella reggia di Fengo, giace
"abiectus humi" (buttato a terra), sporco[9]...
Lo stupido, tendendo al basso, alla terra, con la sua andatura incerta e le sue
cadute, il suo inciampare, la sua amletica posizione di humi abiectus,
di disprezzato Ceneraccio, riconferma invece la propria natura animalesca, il
suo essere brutus: come gli animali che, com'è noto, "natura
(…) prona finxit"[10]
(la natura ha creato proni verso terra). Del resto…il valore originale
dell'aggettivo brutus è proprio quello di "pesante"[11]:
chi è brutus ha un ingegno che tira al basso. Cadendo a terra Brutus - per
fare un gioco etimologico caro ai poeti antichi - diventa "realmente"
brutus. I cugini Tito e Arrunte, nel tempio del dio di Delfi, non si
saranno certo meravigliati del suo gesto, lo avranno trovato normale. E'
stupido, è brutus, e quindi cade. Magari avranno riso di lui"[12].
Livio racconta pure che Bruto aveva portato in
dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo
fatto a questo scopo, recando immagine enigmatica del suo carattere: "aureum
baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per
ambagem effigiem ingenii sui"[13].
"L'offerta funziona dunque come un indovinello, che simbolicamente
rappresenta la falsa stoltezza dell'eroe. Il falso sciocco si configura come un
involucro di materia vile che nasconde un'anima aurea… Dunque Bruto offre al dio
un'immagine di se stesso, e della sua intelligenza fasciata di stoltezza. Come
il Sileno platonico - l'astuccio ligneo, e di aspetto rozzo, che cela al suo
interno la statua della divinità[14]
- anche il bastone di Bruto manifesta simultaneamente i contrari. In questo
senso si potrebbe anche dire che l'oggetto che Bruto offre al dio funziona alla
maniera di un ossimoro, quella figura retorica che fa coincidere in uno stesso
sintagma due perfetti contrari: come l'oraziana "concordia discors"[15],
o il miltoniano "darkness visible"[16].
La materia più nobile e desiderata - l'oro - e quella più vile e mal augurante
- un legno scadente e infelix - sono poste forzatamente una dentro
l'altra. L'oggetto è ossimorico proprio come ossimorico è il falso sciocco, con
la sua sapiens insipientia. Diciamo meglio. Il falso sciocco è
l'ossimoro per eccellenza, visto che il significato proprio di questa
espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella
di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che Bruto, come
Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle figure
retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[17].
continua
[1] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 20.
[2] Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, 4, 69, 3.
[3]
E. Fraenkel, Aeschylus. Agamemnon, Clarendon Press, Oxford, 1962, II, pp.
256 sgg. (nel commento
al v. 503); Olgivie, A Commentary on Livy cit., p. 228: sul bacio alla
terra vedi in particolare F. Lot, Le basier à la terre. Continuation
d'un rite antique, in Pankrateia, Mélanges H. Grégoire, Bruxelles 1949,
pp. 435 sgg.
[4] Ovidio, Fastorum libri, 2, 720.
Così Valerio Massimo, 7, 3, 2: "perinde atque casu prolapsus, de
industria se abiecit". Per il tema del "baciare la terra", cfr.
J 1652; A 401.
[5] M. Bettini, Le orecchie di
Hermes, pp. 95 - 96.
[6] Seneca, Apocolocyntosis, 5,
1; Svetonio, Divus Claudius, 2; 21; Seneca, Apocolocyntosis, 1 e
5.
[7] M. Bettini, op. cit., p. 96.
[8] Il libro dei Re, 21, 11 (=Il
libro di Samuele, 21, 11 - 13).
[9] Saxo, 3, 6, 6.
[10] Sallustio, De Catilinae
coniuratione, 1.
[11] Cfr. Lucrezio, De rerum natura VI, 105. “nam cadere aut bruto deberent pondere pressae, infatti dovrebbero o cadere gravate
dal solito peso… Quindi Orazio carm. 1,
34, 9, bruta tellus, terra inerte. Ndr.
[12] M. Bettini, op. cit., p. 98.
[13] Livio, I, 56, 9.
[14] Platone, Simposio, 215b, 221d sg.; Lanza, Lo stolto, Einaudi, Torino
1997, pp. 32 sgg.
[15] Epistulae. I, 12, 19 Ndr.
[16] Paradise lost, I, 63. E’ la
tenebra dell’inferno dove è stato gettato il Serpente infernale che accecato da
invidia e vendetta trasse in inganno la madre di tutti gli uomini. Ndr.
[17] M. Bettini, Le orecchie di
Hermes, Einaudi, Torino, 2000, p. 86.
giovanna tocco
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