Goya, Pinturas negras |
Crimini e vizi del tiranno. Erodoto, Dante, Euripide, Platone
L'uomo che sa pensare si pone il problema di come
resistere alla volontà di omologazione del potere, tentando di salvare la
propria unicità.
La prima caratteristica del despota, lo abbiamo visto, è l'insofferenza dell'opposizione.
La
mania della distruzione delle intelligenze fa parte dalla mente autocratica: sappiamo
da Erodoto che la scuola dei tiranni insegna a uccidere gli oppositori in
generale, e prima di tutti chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza. Periandro di Corinto, quando era
ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era scatenata, accolse il
suggerimento di Trasibulo di Mileto
il quale: "oiJ
uJpetivqeto... tou; " uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava
di mettere a morte i cittadini che si distinguevano (Storie, V, 92 h). Il despota
esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a
un araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città
nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un
campo di grano.
Periandro
comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta
ejxevfaine").
Abbiamo visto che già Otane nel dibattito
costituzionale del terzo libro aveva usato l'espressione pa'san kakovthta che, secondo il
nobile persiano fautore dell'ijsonomivh,
è conseguenza dell' u{bri", la prepotenza, a
sua volta originata dall'invidia e dai beni a disposizione del monarca ( "uJpo; tw'n parevontwn ajgaqw'n", III, 80, 3).
Dante individua la presenza del vizio
dell'invidia soprattutto nei luoghi del potere: ""La meretrice che
mai dall'ospizio/di Cesare non torse li occhi putti, / morte comune, delle
corti vizio"[1].
-
La
ricchezza e il potere dunque sono occasioni per la malvagità.
E pure per la stupidità: il Coro dell'Eracle
di Euripide, dopo la punizione del tiranno Lico, afferma che l'oro, e il
successo, spingono i mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere
ingiusto: " oJ
cruso; " a[ t j eujtuciva - frenw'n brotou; " ejxavgetai - duvnasin
a[dikon ejfevlkwn"
(vv. 774 - 776).
Su
questa linea si trova anche Platone il quale chiama in causa Omero che ha
rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn {Aidou to; n ajei; crovnon timwroumevnou"" ( Gorgia,
525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre
Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"") non ha
avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più
fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" ( 526a)
quelli malvagi assai.
Nel
mito di Er, il buffone (gelwtopoiov~,
Repubblica 620c) Tersite
assume la natura di una scimmia.
Dai
capitoli erodotei (III, 80 - 82) ricordati sopra derivano i modelli costituzionali
della filosofia (Platone, Aristotele ) e della storiografia (Polibio)
successive. E non solo la storiografia greca. Tito Livio attribuisce lo stesso
gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il Superbo il
quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga
risposta senza parole: " rex velut
deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans
tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "( Storie, I, 54), il re quasi meditabondo
passò nel giardino della reggia seguito dall'inviato del figlio; lì
passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei
papaveri.
Il tiranno è invidioso. Infatti l'invidia
personificata da Ovidio "exurit herbas et summa papavera
carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei
papaveri.
Un
altro tiranno di pessima fama è Falaride che dominò Agrigento tra il 570 e il
555: metteva le sue vittime ad arrostire nella pancia di un toro di bronzo cui
sottoponeva un fuoco. Le grida del condannato uscivano dalla bocca del toro
come muggiti.
Pindaro
scrive che una fama odiosa (ejcqrav…favti~) tiene in pugno
ovunque Falaride to;
n de; tauvrw/ calkevw/ kauth`ra nhleva novon (Pitica
I, vv. 95 - 96), la mente spietata che metteva a bruciare nel toro di bronzo.
CONTINUA
giovanna tocco
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