Argomenti
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L'incontro a scuola. Il raggio di sole riverberato dal volto di |
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Ifigenia. Il giro sul monte Donato. La riconciliazione del 24 |
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marzo. Breve è la vita, ma il rimuginare |
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implacato ricomincia. La commedia del pomeriggio. I fiori:“surgit |
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amari aliquid quod in ipsis floribus angat 1 Sarebbe saggio dare credito alla gioia apparente poiché il dolore è quasi sempre reale e concreto.
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La mattina seguente |
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andai a scuola con il proposito di non |
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incontrarla. Invece uscito da scuola durante l’intervallo la vidi nel solito bar di via Nazario Sauro. Era con un compagno della scuola di recitazione |
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che conoscevo, siccome era venuto più di una volta a casa |
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mia, con lei, a prendere appunti su Ibsen. Era un giovane |
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taciturno, occhialuto, foruncoloso nel volto bruno. Ifigenia |
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quella mattina lontana |
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era così |
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splendida che ne provai |
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un'impressione di dolore. Mi scoccò un sorriso luminoso con il |
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quale mi inflisse una ferita; sembrava volesse significarmi:" Tu |
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oramai sei fuori dalla mia vita, e io sto bene.". Sorrisi anche io, |
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cercando di non lasciare vedere l'affanno interno, e bevvi il caffè senza dire parola. Ero molto turbato: le gambe tremavano, e il cuore in |
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tumulto balzava dentro il petto. L'avevo vista così miticamente |
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bella, radiosa e lontana, che l'amore di lei, mi sembrava già una |
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favola
antica. |
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Lucrezio, De rerum natura, 4, v. 1134. Spunta qualcosa di amaro ché dà |
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l'angoscia anche tra i fiori. |
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Durante l'ultima ora, verso mezzogiorno, mi affacciai all'alta |
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finestra che risponde all'angusto cortile minore dove avevo parcheggiato la bianca Volkswagen.. Guardai giù, nel |
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cupo pozzo dove il sole non arriva che in giugno. C'era lei. Irradiava bellezza |
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dal volto abbronzato. In fondo a quel buco, la vidi brillare di |
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candida luce. Era seduta sopra una vespa con gli occhi chiusi e la |
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faccia girata verso un raggio riverberato da una finestra lontana e |
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poco pulita. Quel riflesso opaco diventava un barbaglio potente |
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dopo essersi vivacizzato |
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cadendo nel viso della ragazza |
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abbronzata dalle nevi scintillanti del Lusia. Parlava con uno seduto |
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accanto a lei, tenendo le spalle appoggiate alle sue. Sembrava |
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soddisfatta. Forse l'avevo perduta. |
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Dopo la scuola, salii sul monte Donato. Volevo rivisitare una |
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stradina sghemba e romita, dove due estati prima avevamo fatto |
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l'amore scostando spine, schiacciando insetti, facendo fuggire le |
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lucertole che saettavano via come baleni verdi, e interrompendo lo |
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strepitoso fragore delle cicale pazze di sole. Stavamo stretti in |
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abbracci dolcissimi, al pari di uccelli dentro i cespugli2 Dopo, ci |
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rotolammo giù per un pendio, tenero e profumato di erba alta, |
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sugosa. Quando ci ritrovammo in fondo al declivio, fermi e ancora |
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avvinghiati, le accarezzai i capelli violacei versati sulla |
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vegetazione, le baciai le labbra ardenti, vermiglie come i papaveri, |
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le guardai le iridi nere come le more, le pupille scure, brillanti di |
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gioia nella gran luce pomeridiana, e mi sembrò di tenere |
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abbracciata la terra con il meglio della sua vita. Il 23 marzo 1981, |
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di quella intesa con la ragazza, di quella felicità naturale, non era |
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rimasto niente. |
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Il 24 era un martedì, giorno nel quale le mie lezioni cominciavano |
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soltanto alle undici. Perciò potei dormire a sazietà: fin oltre le |
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nove, come chi ha la coscienza tranquilla. Era anche una bella |
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giornata di sole già caldo, precocemente quasi maturo, per cui |
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potei andare a scuola in bicicletta, e non infagottato. Insomma ero |
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di
buon umore, come se le cose mi andassero bene. Dopo tutto, |
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Cfr. Euripide, Baccanti, vv. 957-958:" |
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Kai; mh;n dokw' sfa'" ejn lovcmai" o[rniqa" |
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w{"-levktrwn e[cesqai filtavtoi" ejn e{rkesin |
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", e mi sembra che esse, come |
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uccelli tra i cespugli, siano avvinte nei dolcissimi lacci dei letti. |
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pensavo, l'interruzione o anche la fine del rapporto poteva essere |
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una cosa buona: sarei diventato libero di dedicarmi a me stesso, di farla finita |
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con tutti i pensieri e le azioni senza costrutto alcuno, prive di soddisfazione |
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cercando di piacere a una donna ingrata, incapace di trattenere e valorizzare ogni dono. Avrei |
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avuto tempo per leggere, onde non perdere |
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tra |
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l'altro la |
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fondamentale identità di insegnante bravo, e avrei cominciato a |
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scrivere l'opera che dovevo a me stesso e all'umanità. Così avrei |
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pure recuperato l'autocompiacimento, l'amor proprio che avevo |
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smarrito versandolo nella fanciulla dall'anima ingrata, siccome |
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priva di fondo, come le brocche delle spose omicide 3.
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Arrivai davanti al liceo quando suonava l'inizio della ricreazione. |
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La campana si sentiva anche da fuori le mura del tetro edificio, |
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illuminato del resto e rallegrato dal sole. Decisi di non entrare |
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prima che l'intervallo fosse finito, per non correre il rischio, |
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di essere interpellato e disturbato da qualche importuno molesto. |
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Aspettai di fianco al portone |
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d'ingresso con la |
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faccia |
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girata verso la santa fiamma che nutre la vita. Ero |
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contento siccome avevo trovato la forza di stare solo. |
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Entrai dopo avere sentito tutto il suono che segnava l'inizio |
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della quarta ora. Quando fui nel corridoio, mi incamminai verso le |
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scale con lo sguardo aderente al pavimento per non vedere facce sgradite magari vaghe di ciance opprimenti. |
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Ma come giunsi al |
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primo gradino, sentii una voce che gridava il mio nome con forza. |
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Non potei fare a meno di fermarmi, girarmi e alzare gli occhi. |
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Era una ragazza che voleva dirmi qualcosa. Era lei alle mie spalle. Sì era |
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Ifigenia che mi chiamava, un'altra volta, e correva ancora |
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verso di me. Arrivò |
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trafelata, come ai tempi felici. Entrata dopo di me, doveva avere corso lungo tutto il |
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piano terreno. |
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"Gianni -disse- ti stavo cercando. Devo parlarti”. Come due anni e |
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mezzo prima. L'espressione del volto era commossa ma allegra. |
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"Adesso ho lezione", risposi. Ifigenia non si lasciò zittire. |
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:"Gianni, io ti amo. Voglio stare con te. In questi tre giorni |
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mi
sei mancato tanto; sempre mi sei mancato". |
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Le Danaidi. |
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Vieni a prendermi all’una. |
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Mi salutò non senza ripetere che aveva capito di amarmi, e ne era sicura. |
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Uscì dalla scuola facendo piccoli balzi, come una puledra di |
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fianco alla madre in un pascolo luminoso e fiorito4. Era certa che |
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non l'avrei respinta. Sapeva bene che mi tenevo sulle mie solo |
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perché volevo sentirla parlare ancora, prima di farle vedere quanto |
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ero contento e fiero del fatto che aveva deciso di tornare con me. |
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Oh sì, ne ero felice: poco prima a furia di arzigogoli avevo solo |
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messo insieme una misera consolazione dello strazio di essere |
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stato piantato da una femmina umana siffatta. Dopo mesi di |
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dolorosa incertezza, aveva detto che voleva restare con me. Però |
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non sapevo per quali motivi né con quali intenzioni. Finite le ore di scuola la vidi corrermi incontro |
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Il seno, sotto la maglia di lana sottile, rosa, aderente, |
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balzava in leggero anticipo rispetto al resto del corpo. Era |
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splendidissima la ritrovata compagna. Valeva la pena soffrire |
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ancora grandi dolori per una giovane donna fatta così. |
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"Sai gianni – disse – aspettavo questo momento da ieri sera quando ho deciso |
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Non ti dispiace, è vero, che |
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finalmente ci siamo incontrati?" |
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Era sicura che non mi spiaceva. |
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"No, anzi – risposi –; per me è sempre una gioia e una fortuna |
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averti vicina. Specialmente quando sei allegra e vitale. Ma per |
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quale ragione, dopo tanti tentennamenti, hai sentito così forte e sicuro il |
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desiderio di me?". |
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Volevo vederla ancora dolcemente sorridere, e ascoltarla mentre |
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parlava
bene di me, di se stessa , del nostro rapporto. |
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Cfr. Euripide, Baccanti, vv. 165-166:" |
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hJdomevna d j a[ra, pw'lo" o{pw" a{ma |
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matevri-forbavdi, kw'lon a[gei tacuvpoun skirthvmasi bavkca |
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", felice allora, |
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come puledra con la madre al pascolo muove il piede rapido, a balzi, la baccante. |
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"Ho capito di non potere vivere senza di te. Già ieri pomeriggio a |
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lezione di danza, osservando il maestro, sentivo che tu mi |
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mancavi, e mi sono congedata da lui prima del termine, per andare |
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a rivedere i tuoi appunti; poi questa notte ti ho desiderato, sognato, invocato. Ho |
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rimpianto te e il nostro amore. Questa mattina bruciavo dalla |
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voglia di parlare con te, di abbracciarti, uomo mio, intelligente e |
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morale, colto e sensuale. Ora ti vedo come la luce del sole dopo |
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una notte di mezzo inverno senza le stelle"5 . Mi bastava. Le |
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credetti o diedi a vedere che le credevo. Non mi ricordo. |
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"Bene-dissi –, condivido i tuoi sentimenti. Anche io ti ho |
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desiderata e rimpianta. |
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Non dubitare: sono felice che il tuo amore per me sia rinato; il mio |
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per te è sempre stato vivo, e ora più che mai". Mentivo? Chissa! |
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Le accarezzai il volto abbronzato, osservai il caro sguardo |
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Intenerito.
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Speravo che fosse tornata |
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la grazia di Dio. |
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"Questa condizione meravigliosa rinata insperatamente-pensavo- |
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non devo sciuparla un'altra volta con il ragionare eccessivo. |
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Rimuginare non è saggezza, |
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Sottilizzare |
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su tutto significa negare l'impulso a vivere spontaneamente e |
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semplicemente. Ora possiamo amarci e goderci la vita, tanto bella |
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quanto breve, |
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bracu;" aijwvn6
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Cfr. Leopardi, Aspasia, v. 108.
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Euripide, Baccanti, v. 397: breve è la vita. |
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Appena fuori nel sole, ci abbracciammo trionfanti e più teatrali che mai. Le |
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baciai le guance, i capelli, le mani, l |
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Andammo a sederci su una panchina di una stazione suburbana, |
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sotto un mandorlo fiorito. |
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Mi parlò dei sentimenti provati nei giorni della separazione: non |
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disse esplicitamente di non essere stata a letto con l'altro maestro, |
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ma doveva essere sottinteso in quanto affermava e ripeteva: lei |
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amava me; |
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quell'uomo |
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era |
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troppo incolto e |
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narcisista |
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per |
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interessarla sul serio. Notai che si esprimeva in modo confuso, non |
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per la foga del sentimento, ma per scarsa chiarezza di quello che |
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intendeva dire. Avrei voluto crederle |
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senza riserve né |
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ripensamenti, ma non mi convinse del tutto, purtroppo non mi convinse. Le |
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sue parole caotiche e trite anzi avrebbero riattizzato presto la |
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fiamma inesausta del mio almanaccare implacabile. |
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Durante il tragitto da scuola a casa sua le raccontai con quanto |
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dolore avevo vissuto quel divorzio pur breve. Quando la salutai, le |
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dissi che per la sera purtroppo avevo già preso un impegno con |
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una conoscente coetanea e non potevo disdirlo; perciò, sebbene |
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avessi una gran voglia di stare con lei, non avevo che un paio di |
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ore da dedicarle.
Coetanea nel mio intento doveva essere spregiativo, nel senso “non giovane e bella come sei tu”. Eppure la donna che non mi ha dato angoscia, anzi gioia, Elena, era suppergiù mia coetanea e la defunta Marisa di cui ero innamorato da ragazzino e ricordo ancora come meritevole della mia devozione era più attempata di me: nata sei mesi e quattordici giorni prima.
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Avrei potuto rinviare quell'incontro, per niente significativo, ma |
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dopo avere sentito Ifigenia che parlava senza chiarezza, non credevo del tutto |
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nella sua conversione erotica, e pensavo che tenerla un poco a |
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distanza frequentando altre persone mi sarebbe servito non solo a |
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capire meglio i suoi intendimenti, ma anche a farmi desiderare. |
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Di natura non sono così diffidente; ma se non lo fossi diventato, |
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costretto da quanti ho incontrato, non sarei sopravvissuto finora. Ero un bambino con il cuore in mano ma ho dovuto imparare le coperte vie per sopravvivere. |
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Avevo forti sospetti che Ifigenia fosse tornata non con un atto |
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spontaneo di amore, bensì con uno sforzo della volontà, e in |
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seguito a un calcolo del tornaconto: c'era l'esame di recitazione |
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prima di tutto, poi forse anche altre ragioni pratiche per cui le |
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conveniva restare con me ancora un poco di tempo. Nonostante |
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queste |
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riflessioni, e |
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sebbene |
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non sentissi già più quella |
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intensificazione della vitalità che è segno di gioia, giunto a casa, |
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scrissi
che volevo guardare Desdemona senza sospetti, senza |
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l'esecrabile peste della sfiducia di cui mi avevano contagiato |
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quando ero molto giovane e del tutto indifeso. Avrei voluto dare |
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credito ancora una volta alla mia inclinazione di amante della vita. In realtà gran parte dei timori |
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e sospetti che provavo nei confronti di Ifigenia, me li aveva |
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seminati dentro lei stessa e li aveva coltivati con atteggiamenti |
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non schietti. Ma questo è il senno del poi. |
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Arrivò alle sei del pomeriggio, come ai bei tempi. |
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"Ciao – disse con aria entusiasta –, avevo tanta voglia di stare con |
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te e di fare l'amore". |
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Appena ebbi risposto "anche io", mi abbracciò e baciò con avida |
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foga, apparentemente come una volta. Quando potei parlare di |
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nuovo, dissi:"Andiamo subito in camera: sai che oggi ho poco |
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tempo". |
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"Lo so", annuì con un pizzico di rammarico dolce, senza sale di |
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biasimo. Poi, assumendo un tono diverso, allegro e quasi infantile, |
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aggiunse:"Andiamo subito là e facciamo l'amore. Tu però non devi |
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spogliarti". |
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"Perché?", domandai incuriosito. |
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"Non me lo chiedere gianni, e fidati". |
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"Va bene tesoro, facciamo così", la assecondai. |
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Andammo nella |
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stanza da |
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letto: |
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Ifigenia si |
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denudò |
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completamente e mi rese beato con la visione del corpo che avevo |
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temuto di non rivedere; io mi tolsi del tutto soltanto le scarpe e |
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non dissi altro prima di fare l'amore. Dopo, le domandai:"Ora devo |
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anche lavarmi senza spogliarmi?" |
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"Sì, cioé no". Fece lei. |
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"Svestiti pure, ma tieni l'accappatoio a portata di mano. E non |
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chiedermi che cosa vuol dire. Fidati". |
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Dissi solo:"Va bene". Nel bagno mi chiedevo quale fosse la |
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ragione di quella stravagante pretesa. "Forse deve venire qualcuno |
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a trovarci"pensavo. "Ma chi poteva avere invitato in casa |
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mia mentre facevamo l'amore?" |
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Il sospetto di fondo era che stesse per arrivare il maestro di danza. |
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Forse doveva dirmi che era innamorato di quella meravigliosa |
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fanciulla, la quale però, purtroppo per lui, aveva scelto di essere la |
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mia compagna fedele, e lo sarebbe rimasta sempre, come si addice |
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a una giovane dai costumi specchiati. Mi aspettavo una scena del |
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genere, un colpo di teatro concertato dai due commedianti. Insomma non mi fidavo. Dopo l’espresso promesso e non spedito non mi ero più fidato di lei. |
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Tornai nella stanza da letto, ma la ragazza non c'era. Pensai che si |
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fosse nascosta per gioco. Guardai sotto il talamo ma nemmeno lì |
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c'era. Allora andai nello studio e la vidi nuda, accanto alla finestra |
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chiusa, fare dei segni con le braccia verso la strada. Come si |
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accorse che le stavo alle spalle, si girò, mi guardò, arrossì e |
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disse:"Torniamo di là; ma tu, gianni, rimani con l'accappatoio". |
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"Adesso suona quello che aspettava il segnale", pensai. |
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Infatti, quando ci fummo stesi di nuovo, senza parlare, Ifigenia |
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con aria divertita, io con il sospetto già evidente nel volto cupo, il |
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campanello suonò. |
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"Vai ad aprire" disse. Poi si infilò sotto le coltri ridacchiando. |
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Andai alla porta. Al di là c'era una giovane con un mazzo di fiori, |
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enorme. Me li allungò dicendo:"Sei tu gianni ghiselli, vero?" |
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"Sì, sono io". |
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"Allora questi sono per te". |
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La ringraziai. Si allontanò quasi di corsa. Tornai nella stanza da |
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letto. Allora Ifigenia saltò fuori dalle coperte, le gettò a terra, |
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si inginocchiò sul lenzuolo, e, tutta contenta, mi domandò:"Ti è |
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piaciuta la sorpresa? Ti piacciono i fiori?" |
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"Sì molto", risposi. "Facciamo finta di niente", pensai. Erano tanti, |
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rossicci, avvolti nel cellophane, tenuti insieme da un nastro rosso |
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stretto ai gambi avvolti nella stagnola. Isomma mi piacevano poco. |
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"Adesso leggi il biglietto!" esclamò con aria trionfale. |
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In mezzo c'era una piccola busta bianca. Dentro, numeri e parole |
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scritti in rosso:"24/03/1981. Sono tanto, tanto felice che il nostro |
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amore sia rinato. Ti invio questi fiori per la Poesia, la Fiducia e la |
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Fierezza del nostro Amore. Ifigenia ". |
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Appoggiai sopra il tavolo il mazzo crepitante che avevo ripreso |
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dalle sue mani, poi l'abbracciai. |
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"Sono tanto felice anche io", sussurrai commosso; eppure sentivo |
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che la mima aveva fatto una delle commedie sue; che tra quei |
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fiori c'era qualcosa di falso e penoso, che il nostro rapporto |
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sconciato non era più redimibile. Comunque volli fare un altro |
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tentativo anche io, e non permisi all'angoscia, che presoffriva il |
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futuro, di annientare quel breve pomeriggio di allegria precaria e |
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di gioia epidermica. Ripensandoci adesso però mi domando: non è più divertente e simpatica una scena del genere con queste imprese meravigliose che una serata passata in mezzo a omuncoli e donnicciole che giocano a carte dicendo banalità? E non è meglio questo che hai raccontato che guardare una partita di calcio trasmessa dalla televisione? E’ meglio sì, è molto meglio. E allora non lamentarti giovanni, non lamentarti e non essere disonesto, anzi ringrazia gli dèi e Ifigenia di tanto spasso e diletto.
Pesaro 3 settembre 2024 ore 17, 32. giovanni ghiselli p. s. Statistiche del blog Sempre1616031 Oggi192 Ieri264 Questo mese729 Il mese scorso10909
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