martedì 17 settembre 2024

Ifigenia LIII, LIV.


 

Ifigenia LII. la casa di Pesaro 4. E colpo e contraccolpo e pena su pena si posa.

 

Dopo pranzo, fatti gli auguri alle zie, mi avviai verso la riva del mare, il confidente antico dei miei dolori e delle mie gioie. Come le montagne a Moena e la grande foresta  nelle estati di Debrecen.

Soffrivo e cercavo di raccapezzarmi. Certo: la telefonata era stata quella di una nemica che voleva inquietarmi. Rimuginavo cercando una via di uscita. Disprezzavo quella donna che aveva cercato di ingelosirmi, tuttavia avevo paura di perdere la ragazza che mi donava il suo corpo bello, sodo e mi riempiva di gioia  in alcune giornate.

Le mostruosità di quella vigilia di Natale  andavano confutate e sconfitte con la forza della delicatezza.

Dovevo imparare a impiegarla sempre durante le crisi. L’alternativa era la guerra con la nemica fino alla distruzione di uno dei due, o di entrambi gli amanti avvinti nella morte.

Giunsi sulla spiaggia dove mi rifugiavo fin da bambino quando la confusione rabbiosa delle persone di casa mi faceva scappare in cerca di quiete. D’estate mi confortavano i sorrisi del sole riflessi e immillati dal tremolare della marina.

Ma quel 24 dicembre il mare in burrasca era battuto da venti contrari tra loro che spingevano ad accavallarsi grandi onde giallastre che poi si rompevano come mucchi di uova marce sul lido coperto di spazzatura e di bestie affogate, prive di vita e di memoria. Quel giorno la confusione sembrava eccessiva. Si sentiva un fragore come di urla gridate dal mare e dal vento. Mi tornavano in mente le tante liti sofferte fin da quando ero bambino: in casa, per strada, a scuola. Avevano maltrattato buona parte della mia persona: “dove i venti soffiano per possente necessità e colpo e contraccolpo e pena su pena ai posa. Dice queste parole la Pizia”. Le avevo lette in Erodoto e mi erano rimaste impresse nell’anima.

Quindi pensai: “travagliosa era mia vita: ed è, né cangia stile”

Trassi una strana consolazione da queste amicizie celesti.

 La letteratura mi salvava ancora una volta dalla disperazione.

Un compagno mi scuola poi collega mi accusava fin da bambino e, lo fa ancora, di essere ipersensibile. “Meglio che rozzo, privo di carità e di bello stile , come sei tu”, gli rispondo ogni volta.

 

 

 

 

Ifigenia LIII. la casa di Pesaro 5. la rosa dei vènti.

 

Il frastuono confuso non mi impedì l’individuazione di soffi diversi abituato com’ero ad ascoltare le voci e i segni della natura. Il vento più odioso e deleterio era quello balordo e criminale del luogo comune.

Mi diceva: “Se ammetti che l’ami senza riserve, quella accampa pretese di nozze per portarti via tutto quello che hai”.

“Ma io sono malpagato e povero!” ribattevo.

“Sì ma quella è uno squalo e sa che presto o tardi erediterai. Va già  dicendo in giro che la tua casa di Bologna è  sua. Poi ne verranno altre due qui a Pesaro e della terra per giunta a Tavullia e Montegridolfo, e sarà tutta roba  sua. Quindi ti lascerà. Dunque non ammettere mai che l’ami, che le vuoi bene, che hai buoni sentimenti per lei: questo si ritorcerebbe contro di te. Tiella a distanza con aria superciliosa, sprezzante, se vuoi che ti rispetti; non attribuirle mai importanza, falle capire che dovrebbe quasi darti del lei, data la distanza di educazione e di stile tra voi due.  Che stia al suo posto quell’ avventuriera e consumata volpe, se non vuoi che occupi e usurpi il tuo eremo di uomo studioso! ”

Da altre parti della rosa dei vènti però giungevano soffi differenti, con voci diverse e mi rimescolavano il sangue.

Uno era l’uragano della grande passione per Ifigenia la giovane femmina bella e prosperosa mai sazia, mai stucchevole, né annoiata, né noiosa almeno quando si faceva l’amore; un altro era un l’alito dolce del tenero affetto per la ragazza che avrei voluto educare quale figlia adottiva,  il terzo era il  fiato  velenoso del sospetto più putrido delle pantegane immonde allineate a marcire lì sulla riva; era il  risentimento per la telefonata terroristica che mi aveva reso più geloso di Otello, più pazzo di Aiace, più torturato di Prometeo sulla rupe scitica. Tornai a casa per leggere parole belle in un mio libro buono.   

 

 

 Ifigenia LIV. la casa di Pesaro 6. L’antivedere  guardando verso Fano.

 

“E fa sapere a’ due miglior da Fano” (Dante, Inferno, XXVIII, 76)

 

La sera dopo la cena amorevolmente peparata dalle due zie guardavo la televisione in loro compagnia. A un tratto comparve l’immagine di una femmina babilonica che orrendamente truccata diceva parole senza senso,  pronunciandole con prepotenza canagliesca. Le sorelle di mia madre si agitavano sulle sedie per il disgusto. Una zia disse: “vedi quella Gianni?  Stai attento: il mondo ne è pieno!”. “Lo so, lo so, non preoccuparti”, cercai di assicurarla.

Intanto però pensavo con accoramento doloroso alla bella creatura che forse mi stava sfuggendo.

Volevo concentrarmi su questo ostacolo che dovevo saltare per procedere sulla via del riscatto dall’umiliazione e frustrazione subìta nel lavoro all’inizio dell’anno scolastico. Ho sempre reagito alle difficoltà, agli insuccessi e alle disgrazie opponendovi tutte le mie forze, fin da bambino  e questa volta non potevo essere da meno. Mi alzai, mi scusai, diedi la buonanotte alle zie e mi incamminai verso il mare.

 Un cammino breve e privo di inciampi.

Eppure sentivo un acuto dolore nel petto. Capivo di avere ancora bisogno di Ifigenia siccome in quella ragazza splendente vedevo incarnata la quintessenza della natura radiosa e trionfante sull’ottuso grigiore dei pensieri e degli atti comuni  diffusi in quanto funzionali al sistema.

Avevo bisogno del soccorso di quella giovane collega inusuale, seppur libertina, per risollevarmi dall’oppressione inflittami periodicamente dai miei guardiani e aguzzini che volevano tenere schiacciati i miei istinti vitali e mentali sotto il peso dei sensi di colpa. Fin da bambino mi piacevano il sole della nuda estate incoronata di spighe, mi piacevano le femmine , mi piaceva pensare con la mia testa e approvare o disapprovare con i gusti miei anche se mi dicevano che tutto questo era male e mi avrebbe portato alla rovina.

Dovevo tenere duro, come sempre ho fatto.  Difendere la mia identità per quanto anomale e strana. Più che normale, egregia, e questo ai mediocri asserviti non è mai andato giù.

Giunsi di nuovo sulla riva del mare. I venti si erano quasi placati. Il cielo a occidente era sereno ma avanzava da Fano, Fanum Fortunae una nebbia salata che ottundeva le stelle e inebetiva la luna. “Fortuna è una vox media- pensai-voglio volgerla al meglio. Devo dissipare la nebbia del cuore e del cervello. Devo capire gli antichi dolori. Devo riprendere a parlare con la natura: il mare, i monti, i fiumi,  il cielo cui mi rivolgevo chiedendo aiuto e lumi  quando ero bambino qui a Pesaro, a Moena, a Montegridolfo, a Potenza Picena fissando Recanati e recitando a memoria i versi di Leopardi che mi riguardavano. Erano stati scritti per me.

 Da adolescente ho cercato e raggiunto successi effimeri, locali, svaniti alla fine del liceo pesarese. Allora mi sono messo di traverso sulla mia strada prono con la faccia aderente al selciato ostacolando me stesso, infelice e impedito di fare qualsiasi cosa buona. Ma con il volgersi delle stagioni ho recuperato parte delle mie forze grazie all’aiuto di persone oneste, di amici cari che mi hanno accettato diverso e strano com’ero, di donne buone e del tutto accoglienti, quindi ho acquisito potenza professionale e mentale  attraverso tre anni di studio strenuo, continuo, indefesso. Da quando c’è Ifigenia la mia vita è diventata più piena e più lieta. Ora è tempo di togliere  tutti gli ostacoli costituiti dai pensieri angosciosi che la casa di Pesaro fa riaffiorare con gli antichi dolori.

Non è probabile che quel fantasioso ragazzo menzionato nella telefonata orribile  sia un genio. Non ce ne sono tanti nemmeno su tutta la terra. Se Ifigenia è come appare nei suoi momenti migliori, non si accontenterà di uno da meno di me. Se troverà di meglio, farò i complimenti a lei e a lui.

Quindi troverò di meglio anche io”.

Pensato questo, andai a dormire pacificato e sereno come il cielo da dove era svanita la nebbia sparendo dietro la  Panoramica del monte San Bartolo, verso Cattolica,  spinta dal vento di Focara.

 

Pesaro  17 settembre 2024 ore 11, 30 giovanni ghiselli

p. s.

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