mercoledì 18 settembre 2019

Il fondamento della sapienza è la conoscenza del bene


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La felicità consiste nel comprendere e nella conoscenza, da intendere più come sapienza che come sapere.
  
Euripide nelle Baccanti mette in rilievo la distinzione tra to; sofovn e sofiva (v. 395)
Leggiamo tutta la prima antistrofe del primo stasimo
“Di bocche senza freno
di empia stoltezza
il termine è sventura;
mentre la vita
della tranquillità e il comprendere - to; fronei'n -
rimangono al riparo dai flutti
e tengono unite le case: da lontano infatti i celesti,
pur abitando l’etere,
vedono comunque i fatti dei mortali.
Il sapere non è sapienza - to; sofo;n d j ouj sofiva -
e la pretesa di comprendere fatti non mortali - tov te mh; qnhta; fronei'n - .
Breve è la vita: per questo
uno che insegue grandi fantasie
non può conseguire quello che c’è. Questa
è l’attitudine secondo me di uomini
dissennati e sconsigliati” (Baccanti, 387 - 402)

Nel quarto stasimo
Il coro torna a smontare to; sofovn dicendo che non è invidiabile.
 Beni grandi sono la bellezza, l’eujsevbeia e la giustizia 
“Rimanere nell’umano è una vita senza dolore.
Il sapere non lo invidio - to; sofo;n oujj fqonw' - Mi piace ricercare; ma altri sono i beni grandi
e manifesti: oh vorrei che la vita scorresse verso la bellezza,
giorno e notte essere pio - eujsebei'n -
mantenendo la purezza, onorare gli dèi
respingendo le norme estranee alla giustizia” (Baccanti, 1004 - 1010).

La sofiva è femminile e produce, incrementa la vita. To; sofovn è neutro e non può farlo.

La sapienza è lo scopo di quella cultura che Nietzsche designa come tragica:" la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza (…)
Dopo che la cultura socratica è stata scossa da due lati e può sostenere ormai lo scettro dell’infallibibilità solo con mani tremanti, da un lato cioè con la paura delle sue stesse conseguenze, che comincia finalmente a presentire, e dall’altro perché essa stessa non è più convinta dell’eterna validità del suo fondamento con l’ingenua fiducia di prima, è ora un triste spettacolo vedere come la danza del suo pensiero si precipiti con desiderio ardente verso forme sempre nuove, per abbracciarle, e come inorridendo le lasci di nuovo improvvisamente andare, come Mefistofele fa con le Lamie tentatrici. Il segno caratteristico di quella “rottura”, di cui tutti sogliono parlare come del male primo della cultura moderna, sta appunto in questo, che l’uomo teoretico si spaventa delle conseguenze da lui prodotte e, insoddisfatto, non osa più affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva"[1] .
In Ecce homo del 1888 Nietzsche fa una contrapposizione: “da una parte l’istinto degenerante che si rivolta contro la vita con rancore sotterraneo ( - il cristianesimo, la filosofia di Scopenhauer, in un certo senso già la filosofia di Platone, tutto l’idealismo ne sono forme tipiche - ) e dall’altra una formula della affermazione suprema, nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, un dire sì senza riserve, al dolore stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di ignoto (…) Quest’ultimo, gioiosissimo, straripante - arrogantissimo sì alla vita non solo è la visione suprema, ma anche la più profonda (…) La conoscenza, il dire sì alla realtà, è una necessità per il forte, così come lo è per il debole, per ispirazione della debolezza la viltà, la fuga dalla realtà - l’ideale (…)
La conoscenza non è permessa a loro; per i décadents la menzogna è necessaria –è una condizione della loro vita”[2].
Vale la pena di riferire a questo proposito alcune parole di T. Mann:"A questa tragica saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso"[3].

Eliot affermava: "Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell'informazione e qual è la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?"[4].

Ma leggiamo direttamente i versi di T. S. Eliot:
 “Knowledge of speech, but not of silence
Knowledge of words, and ignorance of the Word
All our knowledge brings us nearer to our ignorance,
All our ignorance brings us nearer to death,
But nearer to death no nearer to GOD.
Where is the Life we have lost in living?
Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?”, (Choruses from “The Rock
” , I, 9, 16[5].
 Conoscenza del linguaggio ma non del silenzio, conoscenza delle parole e ignoranza del Verbo. Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza, tutta la nostra ignoranza ci porta più vicini alla morte. Ma più vicini alla morte, non più vicini a Dio. Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione? 

Il fondamento della sapienza è la conoscenza del bene

Leggiamo alcune righe dell’Alcibiade II di Platone
SW. `Or´j oân, Óte g' œfhn kinduneÚein tÒ ge tîn ¥llwn
™pisthmîn ktÁma, ™£n tij ¥neu tÁj toà belt…stou ™pist»mhj
kekthmšnoj Ï, Ñlig£kij mn çfele‹n, bl£ptein d t¦ ple…w
tÕn œconta aÙtÒ, «r' oÙcˆ tù Ônti Ñrqîj ™fainÒmhn lšgwn;

vedi dunque, dice Socrate ad Alcibiade, quando dicevo di questo rischio: che il possesso delle altre scienze se uno non possiede la scienza di quanto è ottimo (l'idea del Bene), di rado giova, mentre per lo più danneggia chi ce l'ha, non ti sembra che io parlavo dicendo quanto è sostanzialmente corretto? 

Alcibiade dà ragione a Socrate il quale aggiunge
Ð d d¾ t¾n kaloumšnhn polumaq…an te kaˆ polutecn…an
kekthmšnoj, ÑrfanÕj d ín taÚthj tÁj ™pist»mhj, ¢gÒ -
menoj d ØpÕ mi©j ˜k£sthj tîn ¥llwn, «r' oÙcˆ tù Ônti
dika…wj pollù ceimîni cr»setai, ¤te omai ¥neu kubern»tou
diatelîn ™n pel£gei, crÒnon oÙ makrÕn b…ou qšwn; éste
sumba…nein moi doke‹ kaˆ ™ntaàqa tÕ toà poihtoà, Ö lšgei
kathgorîn poÚ tinoj, æj ¥ra poll¦ mn ºp…stato
œrga, kakîj dš, fhs…n, ºp…stato p£nta. 
 (Alcibiade II 147b)

 e chi possiede la cosiddetta conoscenza enciclopedica e politecnica , ma sia privo di questa scienza (del Bene), e venga spinto da ciascuna delle altre, non farà uso sostanzialmente di una grande tempesta senza un nocchiero, continuando a correre sul mare, non a lungo del resto? Sicché mi sembra che anche qui capiti a proposito quello che dice il poeta criticando uno che effettivamente sapeva molte cose ma le sapeva tutte male 

 Platone nel Gorgia (470e) fa dire a Socrate di non sapere se il gran re dei Persiani sia felice poiché non sa come stia quanto a paideia e a giustizia:"ouj ga;r oi\da paideiva" o{pw" e[cei kai; dikaiosuvnh" ; quindi, a Polo che lo incalza, chiedendogli se la felicità consista in questo, risponde che l'uomo e la donna sono felici quando sono belli e buoni; quando sono ingiusti e malvagi invece sono infelici.

Giuliano Augusto alla fine della preghiera A Elios re chiede al Sole come ricompensa del suo zelo - ajnti; proqumiva" - di essergli propizio - moi eujmenh' genevsqai - e accordargli una vita virtuosa - bivon ajgaqovn - , una più perfetta saggezza - teleiotevran frovnhsin - e una intelligenza divina - kai; qei'on nou'n - , e infine, nell’ora separazione predestinata, la ajpallaghvn te eijmarmevnhn - di lasciare la vita in tutta serenità e ascendere a lui (158b).



[1] La nascita della tragedia (del 1872) capitolo 18
[2] Ecce homo, La nascita della tragedia, 3
[3] T. Mann, La filosofia di Nietzsche, saggio pubblicato in Neue Studien dall’editore Bermann - Fischer a Stoccolma nel 1948. Trad. it in Nobiltà dello Spirito, Mondadori, p. 814.
[4] E. Morin, La testa ben fatta, p. 45.
[5] Cori da “La Rocca” del 1934.

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