lunedì 16 settembre 2019

La Sfinge. Prima parte

Gustave Moreau, Edipo e la sfinge
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La Sfinge nasce da un incesto
Echidna con Tifone generò Orto, poi Cerbero, il cane crudivoro dalla voce di bronzo per Gerione tricefalo, poi l’Idra esperta di lutti (Esiodo, Teogonia, 313 - lugra; ijduvian) il mostro di Lerna, poi la Chimera con tre teste: di leone, di capra e di drago. Pegaso e Bellerofonte la tolsero di mezzo.
La Sfinge nacque da un incesto: Echidna, vinta dalla passione per il figlio Orto generò questa creatura funesta, flagello dei Cadmei (Esiodo, Teogonia, 326 - 327)
Gerione, Orto e il bovaro Eurizione vennero uccisi da Eracle nella stalla oscura dell’isola di Eritea, al di là dell’inclito Oceano (293 - 294)

 Nei Sette a Tebe JEpta; ejpi; Qhvbaς (467) di Eschilo, tragedia che faceva parte del gruppo LaioEdipo e il satiresco la Sfinge compare questo mostro.
Il quinto duce si trova alla porta Borrea, presso il tumulo di Anfìone. E’ Partenopeo nato da montanina madre (Atalanta). Si presenta con animo crudo e occhio truce non congruente con il nome verginale. Sul bronzeo scudo ha l’onta della città povlewς o[neidoς la crudivora Sfinge (Sfivgg j wjmovsiton, 541) inchiodata con arte. Un mostro che ha tra gli artigli uno dei Cadmei. Ad Argo Partenopeo arcade è un meteco ma paga il conto del lauto nutrimento lanciando una sfida alle torri.
Contro questo giovanissimo guerriero Eteocle schiera Attorre : la sua mano guarda i fatti e non permetterà che la lingua disgiunta dagli atti dilaghi dentro le porte: oujk ejavsei glw'ssan ejrgmavtwn a[ter - e[sw pulw'n rJevousan (556 - 557) né che in Tebe penetri di nuovo l’abominata Sfinge.

Il canto variopinto della Sfinge
Nell'Edipo re di Sofocle il figlio di Laio chiede:" Ma quale male, caduta così la tirannide,/stando tra i piedi (ejmpodwvn), vi impediva di sapere questo?" (vv. 128 - 129).
E Creonte risponde: La Sfinge dal canto variopinto (hJ poikilw/dov" Sfivgx) ci spingeva a guardare/quello che era lì tra i piedi (to; pro;" posiv), e a lasciare perdere quanto non si vedeva (tajfanh'). (vv. 130 - 131).
Il canto variopinto è la parola ingannevole e adulatoria della propaganda, del demagogo, del sofista, oggi è quella della pubblicità.
E' il brutto senza semplicità.
 L'essere variopinto è un difetto anche per le costituzioni: Platone biasima la mancanza di serietà della democrazia, una politeiva piacevole, anarchica e variopinta (hJdei'a kai; a[narco" kai; poikivlhRepubblica 558c) che non si dà pensiero delle abitudini morali da cui proviene chi entra alla politica ma lo onora purché dica di essere amico del popolo.
Nell’Edipo re di Sofocle “la Sfinge dal canto variopinto"(v.130), non è solo un atroce flagello ma è pure un’ allettante voce pubblicitaria: Edipo la chiama hJ rJayw/dov" (…) kuvwn (v. 391)la cagna cantatrice.
La Sfinge è anche "la ragazza con le ali" (pterovess j h\lqe kovraEdipo re v.508) che venne a Tebe e fu sconfitta da Edipo, canta il coro nel primo stasimo. Comunque non fu una vittoria definitiva.
Nell’Edipo re di Sofocle “la Sfinge dal canto variopinto"(v.130), non è solo un atroce flagello ma è pure un’ allettante voce pubblicitaria: Edipo la chiama hJ rJayw/dov" (…) kuvwn (v. 391)la cagna cantatrice.

La Sfinge e la Magna Mater dai molti nomi
Nel Prometeo Incatenato è menzionata la Magna Mater sconfitta con il figlio, il Titano che la invoca:"Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi.
Alla fine della trilogia ci sarà una riconciliazione ma in questa il predominio rimarrà a Zeus e Prometeo con la Magna Mater resteranno subordinati.

Maurizio Bettini ricorda una definizione della Sfinge che può avvicinare tale " enigma vivente" alla Magna mater invocata da Prometeo "Dione Crisostomo[1] la definisce[2] ejk pantodapw'n fuvsewn miva morfhv [3]", una sola forma di molte nature.

 Nel lIBRO XI dell’ Asino d’oro di Apuleio, Lucio ancora asino si sveglia di notte e vede la luna, immagine di Iside e la prega, attribuendole molti nomi. Chiede di deporre diram faciem quadripedis e di renderlo a se stesso redde me meo Lucio (11, 2), rendimi al Lucio che sono.

La dea dunque è invocata con diversi nomi tra i quli Cerere, Venere Celeste, Diana, Proserpina.
Cerere. Venere e Diana sono i tre aspetti luminosi della dea cosmica; Proserpina, nocturnis ululatibus horrenda, è l’aspetto oscuro.
 Nel sonno appare una divina figura, una dea con foltissimi, lunghi capelli, con una veste di lino sottile, dal colore cangiante , ora candida, ora gialla come fiore di croco, ora rossa. Era coperta da una sopraveste di un nero splendente.

Pure in alcune opere di Pirandello la donna compare binominata: nella commedia Ma non è una cosa seria (del 1918) per esempio la protagonista è una sola donna di due nomi: Gasparina e Gasparotta.
Altrettanto Evelina Morli[4] che viene chiamata "Eva" dal marito Ferrante Morli, e "Lina" dall'amante Lello Carpani.
Se questo da una parte può significare la lacerazione della donna e la divisione dei suoi affetti, dall'altra rimanda alla magna mater: pollw'n ojnomavtwvn morfh; miva del Prometeo incatenato appunto.

 Edipo e la Sfinge
L’Edipo di Seneca si dà animo e rivendica il proprio coraggio davanti al mostro “:
"Nec Sphinga coecis verba nectentem modis
fugi; cruentos vatis infandae tuli
rictus[5] et albens ossibus sparsis solum
 " (v. 92 - 94) io non sono fuggito davanti alla Sfinge che intricava le parole in ciechi stilemi, ho resistito davanti alle fauci spalancate e insanguinate della mostruosa profetessa e al suolo che biancheggiava di ossa sparpagliate .
 La Sfinge che inanellava parole funeste con tenebrosi enigmi[6], è chiamata da Sofocle anche "sklhra; ajoidov""[7], la cantatrice dura. 

Edipo ha risolto l’enigma della Sfinge ma non ha fatto cessare definitivamente le sciagure di Tebe che soffre il flagello della peste quale vendetta postuma del mostro sconfitto : “Ille, ille dirus callidi monstri cinis/in nos rebellat; illa nunc Thebas lues/perempta perdit " (vv. 106 - 108), proprio quella cenere tremenda del mostro scaltro riprende la guerra contro di noi: ora quella peste ammazzata uccide Tebe, lamenta Edipo mentre Giocasta cerca di incoraggiarlo.

La colpa di Edipo secondo Sofocle è la presunzione intellettuale
Sofocle condanna Edipo il quale dopo avere risolto l'enigma della Sfinge con l’intelligenza, ne ha menato vanto.
La presunzione intellettuale costituisce il vero peccato di Edipo il quale crede troppo nella propria intelligenza e, istigato per giunta dalla madre, arriva a bestemmiare gli oracoli.
Uno dei centri ideologici del dramma è costituito dai versi 396 - 398:"arrivato io,/ Edipo, che non sapevo nulla, lo feci cessare/ azzeccandoci con l'intelligenza (gnwvmh/// kurhvsa" ) e senza avere imparato nulla dagli uccelli". Questa affermazione di autonomia, per Sofocle, poeta tradizionalista e pio, è dismisura, prepotenza, cecità mentale e morale che fa crescere la mala pianta del tiranno (v.873), il quale, salito su fastigi altissimi è però, destinato a precipitare nella necessità scoscesa[8] dove non si avvale di valido piede, ajpovtomoneij~ ajnavgkan e[nq j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai" (vv. 877 - 879). Il despota è spesso affetto da zoppia, quanto meno mentale, ma non solo, e la tirannide è una “sovranità claudicante” [9].
Augusto capì che doveva diffidare della Sfinge. Svetonio racconta: “in diplomatibus libellisque et epistolis signandis initio Sphinge usus est, mox imagine Alexandri, novissime sua, Dioscoridis manu sculpta (Augusti Vita, 50).



continua




[1] Vissuto tra il I e il II sec. d. C. (40 - 112) fu tra gli iniziatori della Seconda Sofistica. Ci sono arrivate circa 80 orazioni.
[2] I 274, 32 Arnim.
[3] M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, p. 152.
[4] La signora Morli, una e due , commedia del 1920.
[5] Rictus - us, m. (c’è anche rictum - i) sono le fauci spalancate e insanguinate della Sfinge, dal volto che ringhia mostrando i denti (ringor).
[6]Cfr. Seneca, Fenicie (vv. 131 - 132): "Saeva Thebarum lues - luctifica coecis verba committens modis ".
[7]Cfr. Edipo re , v. 36.
[8] Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte. La caduta dall'alto è prevista dal Viceré del Portogallo in La tragedia spagnola di Thomas Kyd (del 1585) :"Sciagurata condizione dei re, assisi fra tanti timori senza rimedio! Prima, noi siam posti sulla più eccelsa altezza, e spesso scalzati dall'eccesso dell'odio, ma sempre soggetti alla ruota della fortuna; e quando più in alto, non mai tanto godiamo quanto insieme sospettiamo e temiamo la nostra rovina" (III, 1). Non solo nella tragedia il potere è malvisto da Seneca: nel De brevitate vitae troviamo l’immagine di Augusto che, come altri potenti, desidererebbe discendere dalla sua sommità: “cupiunt interim ex illo fastigio suo, si tuto liceat, descendere; nam, ut nihil extra lacessat aut quatiat, in se ipsa fortuna ruit " (4, 1, 2), desiderano talora discendere da quel culmine, se fosse possibile farlo senza pericolo; infatti posto che nulla dall'esterno la minacci o scuota, la fortuna implode da sola. Del resto Proust ci ricorda che la vecchiaia fa precipitare tutti: "la vecchiaia... è pur sempre lo stato più miserando per gli uomini, e che li precipita dai loro fastigi a somiglianza dei re delle tragedie greche" Il tempo ritrovato , p. 359..
[9] Vernant e Vidal - Naquet, Mito e tragedia due , p. 49.

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