mercoledì 11 settembre 2019

Il mito del rischio

Mattia Preti, Il poeta filosofo
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Pindaro e Platone

Pindaro Olimpica I: “oj mevga" de; kivn-duvno" a[nalkin ouj fw'-ta lambavnei, il grande rischio non prende l’uomo imbelle. 
Per quelli per i quali morire è necessario, perché si dovrebbe
smaltire invano una vecchiaia anonima seduto nell'ombra (ejn skovtw/ -kaqhvmeno") senza parte di tutte le cose belle? (  ajpavntwn kalw'n a[mmoro~;(vv.81-84)

Olimpica VI, 9-11: “ ajkivndunoi d j ajretaiv-ou[te par j ajndravsin ou[t j ejn nausi; koivlai"-tivmiai: polloi de  mev-mnantai kalo;n ei[ ti ponaqh'/   le virtù prive di rischio non sono onorate né fra gli uomini né in concave navi, ma molti ricordano se qualcosa di bello è compiuto con fatica.

Nella Pitica IV , 186-187) Era accendeva negli uomini un desiderio dolce della nave Argo perché nessuno rimanesse presso la madre a smaltire una vita priva di rischi (ta;n akivndunon para; matri; mevnein  aij-w`na pevssonta).

Platone scrive: “kalo;ς ga; r oJ kivndunoς” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. È il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale.
I miti sull’aldilà - dice Socrate - non si addicono a un uomo che abbia senno (ouj prevpei noũn e[conti ajndriv) ma, siccome è chiaro che l’anima è immortale, si addice pensare che le cose relative all’anima vadano così o in maniera simile con il giudizio dei morti e tutto il resto (cfr. il Gorgia).
Bisogna incantare se stessi con storie siffatte. Per questo motivo io da tempo protraggo il mito: kalo;ς ga;r oJ kivndunoς, dio; ga;r e[gwge kai; pavlai mhkuvnw to;n mu`qon.
Fedone racconta a Echecrate le ultime ore di Socrate.

Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro; ~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a)

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