venerdì 27 settembre 2019

L' assimilazione della donna alla terra. nella letteratura.. E' maschilismo?


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Il contadino marito dell'Elettra di Euripide rimasta vergine lascia fare a Elettra la sua parte di fatica. Divide i compiti: Elettra andrà a prendere l’acqua alle sorgenti non lontane da casa - kai; ga;r ouj provsw - phgai; melavqrwn (77 - 78), lui porterà i buoi sui campi e seminerà i solchi sperw' guva" (79 - guvh" - ou - oJ, , 79J).
Può essere una forma di compensazione del fatto che non semina la moglie

A questo proposito è interessante un excursus sulla assimilazione della donna alla terra.
 Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni scrive:"L'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa" (p. 265). A sostegno di questa affermazione cita diversi testi, tra i quali l'Edipo re ("pw'" poq j aiJ patrw'/aiv s& ja[loke" fevrein, tavla", si'g j ejdunavqhsan ej" tosonde;", vv. 1211 - 1213, come mai i solchi paterni - ossia già seminati dal padre - poterono, infelice, sopportarti fino a tanto silenzio?)
 All'inizio delle Trachinie di Sofocle, la moglie lasciata sola, a Trachis, in Tessaglia, per quindici mesi lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo preso un campo lontano (a[rouran e[ktopon labwvn, v. 32) va a vederlo solo un paio di volte all'anno, una quando semina e una quando miete: "speivrwn movnon prosei'de kajxamw'n[1] a{pax" (v.33).

 Per quanto riguarda l'identificazione più precisa della donna con il solco, Eliade cita il Codice di Manu (IX,33) dove sta scritto:"La donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme"; inoltre un proverbio finlandese che fa:"Le ragazze hanno il campo nel loro corpo". A queste testimonianze possono essere aggiunte altre, antiche e moderne, per mostrare quanto tale idea sia davvero diffusa nella mente umana, soprattutto in quella maschile.

Eschilo ne I sette a Tebe (vv.751 e sgg.) dice, riferendosi a Laio, che egli fece nascere il destino per sé, Edipo parricida, il quale a sua volta osò seminare il sacro solco della madre dove fu generato (matro;" aJgna;n - speivra" a[rouran, iJvn& ejtravfh), e la pazzia unì gli sposi dementi.
Tale assimilazione serve ad alcuni personaggi tragici per svalutare la figura materna.
Euripide nelle Fenicie (del 410) riprende, fecendo delle varianti, l'argomento della tragedia di Eschilo e ricorda, attraverso Giocasta, il responso di Febo che prescrisse a Laio:"mh; spei're tevknwn a[loka daimovnwn biva/" (v. 18), non seminare il solco dei figli a dispetto degli dèi, e nel suo Oreste (del 408) il protagonista usa questo tovpo" per attenuare la colpa del matricidio: dice al nonno materno che il padre lo generò, mentre la madre non ha fatto che partorirlo: ella è stata solo il campo arato che ha preso il seme da un altro:"to; sperm& a[roura paralabous& a[llou pavra" (v. 553).
 E' la stessa ragione addotta da Apollo nelle Eumenidi (del 458) di Eschilo per minimizzare il delitto del matricida:"La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv")/
ma la nutrice del feto appena seminato (trofo;" de; kuvmato" neospovrou)/ il maschio che la monta genera; quella è come un ospite con un ospite"(658 - 660).
La madre non è indispensabile continua Febo:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio/la quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero,/ma è come un virgulto che nessuna dea avrebbe potuto partorire"(Eumenidi, 664 - 666). E’ la fantasia contro natura di generare figli senza la donna
In questi tre versi si vede la paura dell'uomo per l'oscurità della donna che è poi la zona oscura di se stesso, la propria parte femminile.
Tra gli autori latini Lucrezio (94 - 50ca a. C.), forse sotto la scorta di Euripide[2] interpreta la "deum mater " (II, 659), come la divinizzazione della terra[3]. Questa parentela stretta tra la femmina umana (o divina) e la terra, è messa in rilievo anche da non pochi autori moderni. Kierkegaard nel Diario del seduttore (1843) indica e sottolinea la vicinanza della ragazza alla natura:" ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino erfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di vegetativo"(p.138) .
Su questa linea si trova anche J. J. Bachofen, l'autore di Das Mutterrecht [4] (1861), che vede nel matriarcato il prevalere del diritto naturale, e nel patriarcato di quello positivo, in quanto "la donna è la terra stessa. La donna è il principio materiale, l'uomo è il principio spirituale...Platone nel Menesseno (238a) dice - non è la terra a imitare la donna, ma la donna a imitare la terra - ".
Del resto non bisogna dimenticare che, se nel Menesseno Platone (427 - 347 a. C.) scrive (precisamente): "ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei (nella gravidanza e nel parto), ajlla; gunh; gh'n", nel Menone il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre e della natura in genere.





[1] Crasi di kai; ejxamw'n.
[2]Cfr. Baccanti, vv.275 - 276:" Dhmhvthr qeav - gh' d'& ejstivn, o[noma d& oJpovteron bouvlh/ kavlei", la dea Demetra, è la terra, chiamala con il nome che vuoi, e le Fenicie, vv.685 - 686:"Damavtar qeav, - pavntwn a[nassa, pantwn de; Ga' trofov"", la dea Demetra, signora di tutti, la Terra di tutti nutrice.
[3]Per tutto l'episodio cfr. De rerum natura, II, 600 - 660.
[4]Trad. it. , antologica, Il potere femminile, pp.76 - 77)

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