sabato 29 giugno 2024

Ifigenia CCXXII Due infelici a Moena nella sua vesta più bella.


 

Il 26 giugno arrivammo a Moena.

La valle di Fassa in giugno è un giardino colmo di erbe e di fiori, un prato variopinto, con un grande contorno di foreste vive sormontate da rocce. Arrivammo intorno alle quattro nel paese magico della mia infanzia. Salimmo fino alla Malga Panna. Ci diedero una camera matrimoniale con un letto enorme. Proposi subito di fare una passeggiata nel prato che si stende fino alla chiesa sottostante. Ancora non sapevo che Ifigenia non aveva portato le scarpe per camminare nell’erba alta del mese più luminoso dell’anno.  

Disse che voleva dormire siccome non reggeva il ritmo spietato e massacrante che volevo imporle, da tiranno tremendo.

“Molte sono le cose tremende, pensai, ma niente è più trmendo di te”

Mi chiesi quale nesso ci fosse tra le sue parole di accusa e i fatti: non ci si muoveva con le nostre gambe da molte ore. L’automobile l’avevo guidata sempre io mentre lei quella dormiva.

Sentivo la necessità di muovermi anche in maniera impegnativa. Avevamo a disposizione diverse ore di luce e volevo goderle tutte anche perché a Moena in giugno non ci ero mai andato e non avevo mai visto dove tramonta il sole quando sale alla massima altezza e va a dormire nel suo giaciglio posto più a nord. Tale visione nuova mi interessava più delle lagne di quella fiacca, sdilinquita ragazza che mi ero tirato dietro e mi disturbava. Le augurai un buon riposo e uscìi da solo disgustato da tale disinteresse alla bellezza del luogo, della stagione, dell’ora.

Guardavo l’occhio del giorno d’oro spostarsi  adagio verso il passo di Costalunga: stava trovando la forza che avrebbe perduto gà a metà luglio, di superare tutta la schiena villosa del Sas da Ciamp.

Nel mese più bello, il dio che ci dona la luce e il calore ama volare oltre i suoi ostelli notturni situati nei boschi occidentali e meridionali, e arriva a posarsi nel nido che si trova più a nord, sopra lo specchio turchino del lago di Carezza  dove può vedere riflesso il proprio volto purpureo come fa a Pesaro quando arriva a tramontare nel mare oltre il grattacielo di Rimini e i suoi devoti che vanno a pregarlo tutte le sere sull’ultimo molo del porto lo salutano grati chiedendogli la grazia di poterlo vedere per tanti altri giugni quando la terra diventa un paradiso grazie alla sua generosa presenza. Non ho mai potuto osservare l’eroica luce del sole nel mese di giugno senza rivolgergli pensieri e parole di gratitudine e amore.

Per vedere fino all’ultimo minuto il santo viso che calava verso il Rosengarten dovetti attraversare il prato di Sorte e salire su un’altura posta più a nord. L’erba mi arrivava alla vita.

Vidi un ragazzo che correva in tuta e scarpette senza zavorra

“Te beato-pensai-, felice te, fortunato per la tua libertà, e disgraziato me che mi sono addossato un peso molesto! Il mese di giugno è una festa nel nostro emisfero; qui a Moena è un tripudio della natura nel suo pieno rigoglio, ma la snaturata inferma di mente si mette a letto in una stanza buia, cimiteriale, a metà del pomeriggio, al culmine di questa orgia santa. Vuole  solo darmi fastidio. Devo fuggire via da costei se non voglio ricadere nella paura di vivere che mi venne inculcata da bambino e mi ha interdetto ogni gioia per anni.

“Felice te!”, ripetei e mi diedi a correre anch’ io.

 

Bologna 29 giugno 2024 ore 11, 36.

p. s

Ricordo che oggi pomeriggio, date le cause di forza maggiore, non terrò la lezione prevista.

 

   

 

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