venerdì 5 gennaio 2024

Ifigenia CVIII. Le ferite antiche si riaprono

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
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Ifigenia è un nome circondato da un alone letterario, eppure profano;  l’alone di Helena,  la finlandese amata nel 1971, è non solo letterario ma pure sacro.
Mi accingo a procedere nel racconto della storia con la bella italiana. Cercherò di rendere interessante quanto di personale scrivo in modo che nei miei amori ciascun lettore possa riconoscere qualche cosa dei propri.
 I mezzi saranno quelli che mi hanno suggerito i maestri antichi: uno stile fatto di parole chiare ma non pedestri, callidae iuncturae che rinnovino parole già fin troppo note, inopinata atque insperata verba, parole che colpiscano il centro come frecce ben dirette al bersaglio . Da Aristotele a Orazio, a Frontone, il maestro di Marco Aurelio giovane, a Svevo.
La sera del 30 giugno Ifigenia con una coppia di amici suoi e con il suo bambolotto più caro, Cicciobello, partì per Misano dove avrebbe passato il mese di luglio in una casetta presa in affitto e sulla spiaggia gremita.
Ricordo bene quella piccola casa perché diverse volte mentre ero a Debrecen dove non cercavo l’amore come negli anni passati ma affaticavo il cervello chidendomi perché non mi scrivesse, oppure non arrivasse l’espresso promesso falso dilemma, pensavo all’amante silente tra le pareti della sua stanza di notte, nella cucina a bere il caffè dopo il riposo nel letto speravo non agitato e scosso da chissà quale tanghero, mentre  di giorno si inebriava di luce e calore come una nera puledra muovendo le sue splendide cosce lisce e abbronzate sulla riva affollata e nelle strade intasate.
A quella casetta prossima al mare indirizzavo la posta ogni giorno  senza ricevere mai l’agognata risposta. Come succedeva con la mamma bella e bruna negli anni Cinquanta quando ero a Moena con le zie, e la madre mia si trovava a Pesaro dove spedivo lettere e catoline senza ricevere mai risposta alcuna. Accadrà di nuovo con Päivi dopo la mia visita in Finlandia e l’aborto mai comunicato. Helena invece mi scrisse e mi rese conto di quanto aveva giustamente deciso. Ecco perché è diventata la suprema, la sublime tra le donne incontrate in questa vita mortale.
A mano a mano che i giorni passavano e la posta promessa non arrivava, si ripteva l’antico dolore del bambino che si sentiva abbandonato; il silenzio ostinato  riapriva la ferita, anzi l’ulcera mai guarita del tutto, e l’amore per Ifigenia diveniva ogni giorno più brutto, più impuro, infettando la piaga che generava  dolore, risentimento, rancore. Sapevo bene oramai che chi non risponde non ama siccome ha altro da fare. Avrei dovuto approfittarne per fare altre esperienze se fossi stato meno pazzo. C’era una tedesca di Berlino che mi corteggiava assiduamente ma io la frequentavo solo da amico. Tra l’altro aveva un eloquio, pur in inglese, più ricco di contenuti interessanti, ossia politici, dello sciocchezzaio sentimentale, fasullo oltretutto, cui mi ero assuefatto negli ultimi mesi. Tali donne se ci piacciono per qualche motivo, prevalentemente carnale, dobbiamo prenderle come sono, senza soffrire se non solo colte né intelligenti né sante come la vergine madre. Le femmine vaghe sono dei don Giovanni in gonnella: incarnazione della carne. Volerle diverse da come sono è u[bri~, è dismisura mentale e morale. Al ritorno Ifigenia voleva continuare con me: se avessi avuto una relazione cn la fanciulla germanica, la bionda Silvia,  avrei avuto l’anima in pace. Ma ero mezzo pazzo.
 
Bologna 5 gennaio 2024 ore 11, 15 
giovanni ghiselli.
 
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