NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 29 settembre 2019

Leopardi e una sua attualizzazione


Leopardi e una sua attualizzazione.
Bellezza e giustizia, bellezza e bontà e intelligenza sono molto spesso associate nei Greci “intendentissimi del bello” (Leopardi, Zibaldone, 2546).
Vedi la crasi tra bello e buono che troviamo nella kalokajgathia così commentata da Leopardi: Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
Parecchi tra i nostri "divi" televisivi, intendentissimi del lucro, fanno pochissima differenza tra Dio e il mercato, tra l'arte e il ciarpame dei luoghi comuni, tra il linguaggio avido, menzognero, ingannevole della pubblicità e quello schietto, denso, accorato che viene dalla mente e, appunto, dal cuore.
Commenti
Gianni Ghiselli

La Felicità. XV parte. Il bene e il male della solitudine. Conclusione del percorso sulla GIOIA



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Conclusione del percorso sulla GIOIA che ppotete trovare pubblicato qui tra maggio e giugno 2019

La difficile e pericolosa felicità della solitudine
La “feroce gioia” di essere solo

Nella commedia di Menandro, Dyskolos, l’anziano protagonista Cnemone è diventato misantropo - Knhvmwn, ajpanqrwpov" ti" a[nqrwpo" sfovdra (v. 6), un uomo che si è escluso del tutto dagli uomini, uno proprio disumano, constatando l’opportunismo e l’egoismo della gente la cui presenza gli è diventata insopportabile.
Quando Sostrato, il ragazzo innamorato della figlia del vecchio, si avvicina per parlargli lo sente gridare:
"quanto era beato Perseo per due ragioni:
poiché aveva le ali
e non si incontrava con nessuno di quelli che camminano per terra,
poi perché possedeva un arnese con il quale
trasformava in pietre tutti gli scocciatori" (153 - 157).

Si ricorderà che Perseo aveva sandali alati e che impietrava i nemici con la testa della Gorgone.
Cnemone vorrebbe essere come quel figlio di Zeus:
"Cosa che vorrei capitasse
pure a me! Non ci sarebbe niente di più abbondante
che le statue di pietra da tutte le parti!" (157 - 159).

Il vecchio insomma non sopporta di vedere la gente né di sentirla parlare:
"Non si può più vivere, per Asclepio.
Mettono piede nel mio podere e fanno chiacchiere (“lalou's j) (vv. 160 - 161).
Questo misantropo, quando vede Sostrato davanti alla porta di casa, invoca il suo bene supremo: "non è possibile ottenere la solitudine da nessuna parte!" (“ejrhmiva" oujk e[stin oujdamou' tucei'n, Duvskolo", v.169).

Nel corso della commedia però Cnemone capisce che l’autarchia cui aspirava non è possibile, e, arrivato - come certi personaggi della tragedia - a capire attraverso la sofferenza, dà una spiegazione della genesi del proprio isolamento volontario che lo ha fatto diventare un intollerante e sordido anacoreta.
"In una cosa probabilmente ho sbagliato, io che credevo
di essere un autosufficiente (aujtavrkh") e di non avere bisogno di nessuno.
Ma ora che ho visto la fine della vita, rapida
 e imprevedibile - a[skopo;n te[1] tou' bivou - , ho scoperto che non capivo bene allora.
Infatti deve sempre esserci, ed essere vicino, uno che ti possa aiutare.
Ma per Efesto sono stato così guastato io
vedendo il modo di vivere di ciascuno e i loro calcoli (tou;" logismouv")
e l'attenzione che hanno per il profitto (pro;" to; kerdaivnein). Non avrei pensato
che ci fosse tra tutti uno benevolo con un altro. Questo mi inceppava il cammino. Il solo Gorgia[2] con fatica
mi ha dato una prova compiendo un'azione da uomo nobilissimo[3]: infatti ha salvato me che non lo lasciavo
nemmeno avvicinare alla porta, nè lo aiutavo mai in alcun modo,
né gli rivolgevo la parola, né rispondevo con gentilezza.
Un altro avrebbe detto: "non mi lasci avvicinare?
io non ci vengo; tu non mi hai mai fatto un piacere?
neanche io a te". Che c'è ragazzo?[4] Se io
muoio ora - e lo credo tanto sto male -
e pure se sopravvivo, ti adotto come figlio, e quello che ho,
consideralo tutto tuo. Questa ragazza la affido a te:
procurale un marito. Io, anche se fossi del tutto sano,
non potrei trovarglielo: infatti nessuno mi piacerebbe mai.
Quanto a me, se vivo, lasciate che viva come voglio (zh'n eja'q j wJ" bouvlomai)" (vv. 713 - 735).

Nella tragedia di Sofocle Filottete il protagonista invece depreca senz’altro la propria solitudine coatta e desolata: abbandonato su un'isola deserta, lamenta di essere movno" (v. 227), e[rhmo" (…) ka[filo" (v. 228) solo, abbandonato e senza amici.

Kierkegaard in Enten Eller, nota che" il mondo antico non aveva la soggettività riflessa in sé. Benché si muovesse liberamente, l'individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato, nella famiglia, nel fato (…) La riflessione di Filottete non si sprofonda in se stessa, ed è tipicamente greco che egli si dolga che nessuno sia a conoscenza del suo dolore. Si ha qui una grande verità, e proprio qui si vede anche la differenza con il vero e proprio dolore riflessivo, che sempre desidera d'esser solo con il suo dolore, e che nella solitudine di questo dolore cerca sempre un nuovo dolore"[5].

Vediamo il misantropo Timone
Plutarco nella Vita di Alcibiade (16) racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~ , imbattutosi un giorno in Alcibiade che tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, poiché accresci di molto il male a tutti questi.

Nel Timone d'Atene (1607) di Shakespeare il protagonista diventato misantropo per l’ingratitudine umana dice: All’s obliquy; - there is nothing level in our cursed natures - but direct villainy. Therefore be abhorred - all feasts, societies, and throngs of men - His semblable yea himself, Timon disdains - Destruction fang mankind. IV, 3, 18 - 24), tutto è storto, non c’è niente di diritto nella nostra natura maledetta, se non la malvagità diretta al male. Perciò sono da detestare tutte le feste, compagnie e folle di uomini. Timone disprezza il suo simile, anzi se stesso. Che la distruzione azzanni l’umanità.

La condanna alla solitudine è deprecata da Filottete; la scelta della solitudine viene condannata come disumana da Omero (nell’episodio del Ciclope) a Menandro.
Tucidide fa dire a Pericle nel logos epitafios:
movnoi ga;r tovn te mhde;n tw`nde metevconta oujk ajpravgmona,
ajllÆ ajcrei`on nomivzomen” (II, 40, 2) solo noi infatti consideriamo non pacifico, ma inutile chi non prende parte a questa vita politica.
Più avanti però, con la degenerazione brutale dei rapporti umani, con la trasformazione delle persone in "turba ", folla fastidiosa e fuorviante, diventerà non solo dignitosa ma necessaria.
Prendiamo Seneca che tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia omicidi veri e propri, commenta:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è:"recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza nell'incipit di un'altra lettera: “Seneca Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiamfuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche uno solo.


Parere simile in Nietzsche: “c'è da dir male anche di chi soffre per la solitudine - io ho sempre e solamente sofferto per la moltitudine”[6]. Poi: “ogni compagnia è cattiva, ad eccezione di quella con i propri simili”[7]

Des Esseintess di Huysmans desidera la lontananza dalla “sconcia folla”.
 “Non meno d’un eremita, egli era maturo per l’isolamento, affranto dalla vita, più nulla attendeva da essa. Non meno d’un monaco, sentiva un’immensa stanchezza, il bisogno di raccogliersi, il desiderio di non aver più nulla in comune col prossimo: composto, ai suoi occhi, di profittatori e d’imbecilli. Insomma (…) nutriva una vera simpatia per il frate che si chiude in un convento, per il monaco perseguitato da un’astiosa società che non gli perdona né il sacrosanto disprezzo che egli ha per essa, né la volontà ch’egli professa di riscattare, d’espiare col silenzio la sempre crescente sfacciataggine dei suoi vaniloqui stupidi e assurdi”.[8]

C. Pavese scrive: "Maturità è l'isolamento che basta a se stesso" (Il mestiere di vivere, 8 dicembre 1938). E più avanti (15 ottobre, 1940): "Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli". E infine (25 aprile 1946): "Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie - torna la feroce gioia, il refrigerio di essere solo. E' l'unico vero bene quotidiano".
E' pur vero che questo nostro autore si uccise il 18 agosto del 1950.






[1] Cfr. l’excursus sulla imprevedibilità
[2] Il figlio di primo letto della moglie. I due avevano lasciato Cnemone che era rimasto con la figlia e una vecchia serva
[3] Ha tirato il patrigno fuori dal pozzo dove era caduto.
[4] Si rivolge a Gorgia.
[5] Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno, Tomo secondo, p. 24 e pp. 33 - 34.
[6] Ecce homo, Perché sono così accorto, 10
[7] Di là dal bene e dal male, Lo spirito libero, 26.
[8] A Rebours (1884), capitolo I e capitolo V


L'infelicità dipende dal cozzo tra il nostro caos interno e il cosmo

 Anna Casu, Cosmo (2014)

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L' infelicità dipende dal caos interno che cozza con il cosmo
 dell’artefice sommo

Nel Timeo Platone scrive:
e„ mn d¾ kalÒj stin Óde Ð kÒsmoj Ó
te dhmiourgÕj ¢gaqÒj, dÁlon æj prÕj tÕ ¢…dion œblepen· e„
d Ö mhd' e„pe‹n tini qšmij, prÕj gegonÒj. pantˆ d¾ safj
Óti prÕj tÕ ¢…dion· Ð mn g¦r k£llistoj tîn gegonÒtwn, Ð
d' ¥ristoj tîn a„t…wn  (29 a)
se il cosmo è bello e l’artefice è buono è chiaro che guardò al modello eterno; se no, cosa che non è nemmeno lecito dire, ha guardato a un modello già nato. Ma è chiaro a ciascuno che guardò a quello eterno: più bello di quelli nati e l’ottimo tra gli autori

Più avanti (Timeo, 47 b - c) Platone afferma che dio ha trovato per noi e ci ha donato la vista affinché, osservando nel cielo i giri della Mente, ce ne avvalessimo per i moti circolari del nostro modo di pensare, dal momento che sono affini a quelli, agli ordinati i disordinati, e imparando e divenendo partecipi della esattezza dei calcoli veri secondo natura, e imitando i giri della divinità che sono regolari, potessimo correggere quelli che vanno errando dentro di noi 
Vediamolo in greco
qeÕn ¹m‹n ¢neure‹n dwr»sasqa… te Ôyin,
 †na t¦j ™n oÙranù toà noà katidÒntej periÒdouj crhsa…meqa
™pˆ t¦j perifor¦j t¦j tÁj par' ¹m‹n diano»sewj, suggene‹j
™ke…naij oÜsaj, ¢tar£ktoij tetaragmšnaj, ™kmaqÒntej d kaˆ
logismîn kat¦ fÚsin ÑrqÒthtoj metascÒntej, mimoÚmenoi
t¦j toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj, a{" toà qeoà p£ntwj ¢plane‹j oÜsaj, t¦j ™n ¹m‹n peplanhmšnaj katasthsa…meqa.

Quindi (Timeo, 90, c - d)
p©sa ¢n£gkh pou, kaq' Óson d' aâ metasce‹n ¢nqrwp…nV fÚsei ¢qanas…aj ™ndšcetai, toÚtou mhdn mšroj ¢polepein, ¤te d ¢eˆ qerapeÚonta tÕ qeon œcont£ te aÙtÕn eâ kekosmhmšnon tÕn da…mona sÚnoikon ˜autù, diaferÒntwj eÙda…mona enai. qerape…a d d¾ pantˆ pantÕj m…a, t¦j o„ke…aj ˜k£stJ trof¦j kaˆ kin»seij ¢podidÒnai. tù d' ™n ¹m‹n qe…J suggene‹j e„sin kin»seij aƒ toà pantÕj diano»seij kaˆ perifora…· taÚtaij d¾ sunepÒmenon ›kaston de‹, t¦j perˆ t¾n gšnesin ™n tÍ kefalÍ diefqarmšnaj ¹mîn periÒdouj ™xorqoànta di¦ tÕ katamanq£nein t¦j toà pantÕj ¡rmon…aj te kaˆ perifor£j
è probabilmente necessario che per quanto la natura umana può partecipare dell’immortalità, non ne lasci nessuna parte, dato che colui il quale cura la parte divina e tiene in ordine il demone che abita dentro di sé bisogna che sia sopra tutti felice. La cura del tutto è per ciascuno una sola, assegnare a ciascuna parte nutrimenti e movimenti appropriati. Sono congeniali alla nostra parte divina i movimenti, i pensieri e le circolazioni dell’universo. Dunque ciascuno deve seguire questi, correggendo i circuiti guasti già sulla nascita nella testa, attraverso l’apprendimento delle armonie e circolazioni dell’universo.
Cfr. Giocasta nelle Fenicie di Euripide (543 - 544)

In un altro dialogo Platone consiglia l’assimilazione a Dio (oJmoivwsiς qew' , Teeteto (176b - c). Non è possibile che il male sparisca: è necessario che ci sia sempre qualcosa di opposto al bene su questa terra, questo però non può certo essere situato tra gli dèi, ma va errando attraverso la natura mortale e questo luogo per necessità. Perciò si deve cercare di fuggire da qui al più presto. E la fuga dal male è assomigliarsi a dio il più possibile fugh; de; oJmoivwsi" qew'/ kata; to; dunatovn, e tale oJmoivwsi" consiste nel diventar giusto e santo con intelligenza.

“E' una vergogna essere infelici. E' una vergogna non poter mostrare a nessuno la propria vita, dover nascondere e dissimulare qualcosa"[1].

Essere felici secondo Strabone, geografo dell'età di Augusto, è un atto di pietas, una specie di imitatio Dei, di assimilazione a Dio: "infatti è stato detto bene anche questo: cbe gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene, ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici
eâ mn g¦r e‡rhtai kaˆ toàto, toÝj ¢nqrèpouj tÒte m£lista mime‹sqai toÝj qeoÝj Ótan eÙergetîsin· ¥meinon d' ¨n lšgoi tij, Ótan eÙdaimonîsi [2].

Anche le malattie vengono talora considerate quali segni di colpa. Quando Andrej Bolkonskij domanda al padre: "Come va la vostra salute?", il vecchio principe risponde: "Mio caro, solo gli stupidi e i viziosi si ammalano. Tu però mi conosci: dalla mattina alla sera sono occupato, sobrio, e quindi sano.
“Grazie a Dio, “rispose il figlio sorridendo"[3]
Laboriosità e pietas dunque si addicono molto alla salute. In effetti la Salus per i latini era una divinità, di antica origine italica.
Plauto la menziona più volte (Captivi 529; Poenulus 128).




[1] H. Hesse, Rosshalde (del 1914), p. 78.
[2] Strabone (64 ca a. C. - 24 ca d. C.), Geografia, X, 3, 9.
[3] L. Tolstoj, Guerra e pace, parte prima, capitolo XXIII, p. 146.

sabato 28 settembre 2019

Fabio Fazio e il mercato: la religione di Moloch



Nel settimanale “il venerdì” del quotidiano “la Repubblica” del 27 settembre 2019 Fabio Fazio fa la vittima. Gli sembra di non ricevere gratificazioni adeguate ai suoi meriti. Sentiamolo: “La Rai e tutto quello che è pubblico deve decidere se stare o no sul mercato: io sono neutrale sull’argomento , ma se sei sul mercato non puoi pretendere che i manager migliori, per non dire gli artisti, lavorino da te piuttosto che nelle aziende private dove si guadagna molto di più”.
 Il signore si dichiara “neutrale”, dunque, cioè imparziale. Io invece, come Nanni Moretti nei confronti degli aguzzini cileni, non sono imparziale né voglio stare sul  mercato, questa orrenda divinità adorata come un Moloch, una dio crudele che schiavizza tanti lavoratori, ne fa morire altri e riempie di denaro e potere i sacerdoti dei suoi  riti che arrivano fino  ai sacrifici umani tipo quelli descritti da Flaubert e attribuiti alla Cartagine di Annibale bambino salvato dal padre

“Le braccia di bronzo si muovevano più veloci. Non si fermavano più. Ogni volta che vi posavano un bambino , i sacerdoti di Moloch stendevano su di lui una mano per gravarlo delle colpe del popolo, gridando: “Non sono esseri umani , ma buoi!” e la folla intorno ripeteva : “Buoi! Buoi!” I devoti gridavano: “Signore! Mangia!”(…) Le vittime scomparivano di colpo appena sull’orlo dell’apertura come una goccia d’acqua su una piastra rovente, e una fumata bianca saliva nella gran luce scarlatta” ( Salambò, p. 235).

  Sentiamolo ancora questo rappresentante dei “manager migliori” : “E fa effetto che nessuno sia andato a vedere quanto guadagnano gli artisti nelle altre televisioni, o quanto vale Che tempo che fa in termini pubblicitari”.
Allora: Fazio per prima cosa non c’entra niente con nulla di artistico a parer mio. Artista è chi crea bellezza, chi infonde energia estetica e morale. Fazio insegna solo il conformismo e il servilismo verso i potenti, i ricchi, i famosi. In questa intervista afferma, senza vergognarsene, che le sperequazioni anche enormi sono giuste.
Seconda cosa: molti artisti veri, come Leopardi, per esempio, non hanno tratto denaro dalla bellezza che hanno creato e dalle verità che hanno svelato. Anzi spesso sono stati oscurati dal potere  e dalle mode che criticavano: “ ben ch’io sappia che obblio-preme chi troppo all’età propria increbbe” scrive lo stesso Recanatese (La ginestra, 68-69).
E anche: :" In Omero, tutto (per così dire) è vago e leggiadramente indefinito, siccome nella poesia, così nella persona; di cui la patria, la vita, ogni cosa, è come un arcano impenetrabile agli uomini. Solo, in tanta incertezza e ignoranza, si ha da una costantissima tradizione, che Omero fu povero e infelice" (Il Parini ovvero della gloria ).   Eppure "Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia" (  Zibaldone, 58).
 Terza cosa: la pubblicità è deleteria: spinge a comprare cose spesso inutili e pure dannose, invoglia al consumismo sfrenato che è una causa dell’avvelenamento del nostro pianeta. Perciò chi incentiva la pubblicità va punito, non premiato. Concludo rivolgendomi anche ai di ragazzi che hanno manifestato ieri: non guardate i programmi di Fazio perché non fanno bene alla vostra salute mentale e contribuiscono ad accrescere l’ignoranza e l’indifferenza verso i problemi reali, i tanti ostacoli (problemata appunto) che dovrete scavalcare nella vita.


venerdì 27 settembre 2019

Vorrei una Terra pulita anche moralmente


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I ragazzini protestano contro lo sfruttamento della terra da parte dell’uomo. Io avrei preferito che fossero rimasti a scuola per imparare che la offesa più grande che si possa fare alla grande madre di tutti noi è intriderla con il sangue umano versato dagli uomini.
Il coro dell'Agamennone di Eschilo nel terzo stasimo canta:"una volta caduto a terra - to; d j ejpi; ga'n peso;n a[pax - , nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019 - 1021)
Nella Parodo delle Coefore leggiamo:" Tutti i canali convogliati in un'unica via, bagnando la strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente a purificarla"(vv.72 - 74).
 Nella lamentazione funebre che conclude il primo episodio, Oreste ribadisce :"infatti se uno versa tutti i libami in cambio di una sola goccia di sangue , vano è il travaglio - mavthn oJ movcqo" " (Coefore, vv. 520 - 521).
Nel Macbeth il protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'Oceano del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare facendo del verde un unico rosso (II, 2).
Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle Osservazioni sulla morale cattolica cap. VII) scrive:" Il sangue di un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra".
Eppure non ho sentito proteste contro la guerra e contro la diffusione sempre maggiore delle armi omicide.
Per quanto riguarda l’aria malsana: non pochi tra questi adolescenti la bombardano con i tubi di scarico delle moto o delle automobili e nello stesso tempo ci assordano con il frastuono propagato da tali e altrettali fonti di ogni sorta di inquinamento.
Si ritrovino pure nelle piazze a celebrare baccanali lieti, ma lo facciano senza saltare le lezioni e usino le biciclette invece delle motociclette se vogliono testimoniare utilmente contro il mivasma che ci contamina appestandoci. E stacchino gli occhi dal telefonino per guardare il cielo, la terra, e l’innumerevole sorriso delle onde marine.
Nell’Edipo re di Sofocle la “peste odiosissima - loimo;" e[cqisto" (, 28) deriva da un omicidio seguito poi da un incesto e dall’empietà. La peste anche oggi è prima di tutto morale.
 Così pure nell’Oedipus di Seneca il sole incerto (Titan dubius, v. 1) il cupo alone dell’aurora (moestum iubar, v. 2), la luce afflitta (lumen triste, v. 3) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica, v. 3) sono dovuti alla “mala condotta” che Tebe ha fatto rea (cfr. Dante, Purgatorio, XVI; 103 - 104).
Questa insistenza sul clima non deve mettere in secondo piano la peste morale: la povertà di gran parte degli esseri umani di fronte allo spreco di una minoranza dedita a un consumismo sfrenato, la violenza contro donne bambine, bambini e pure contro gli uomini, i maschi adulti poiché esiste anche questa, la mafia, le raccomandazioni che annullano le graduatorie reali dei valori autentici, quindi l’ipocrisia, le menzogne e il trasformismo dei politici, l’asservimento dei media, la decadenza della scuola, l’annullamento della cultura.
A proposito di cultura o paideia non credo di dovere scusarmi per le tante citazioni con le quali voglio indurre chi mi legge a leggere anche, e a maggior ragione, i buoni libri menzionati. Vogliono essere pure una provocazione nei confronti dii chi non li apre più. Costoro probabilmente non mi leggono, eppure c’è stato chi ha biasimato me e denigrato incivilmente le splendide parole citate calunniando i miei, i nostri auctores.
Certa gente, una minoranza infima in confronto a chi apprezza le parole dense e belle, si è sentita rinfacciare l’ignoranza.
Chi mi insulta sappia che non avrà più alcuna risposta da me. Si risparmi la fatica di scrivermi. La cortesia l’urbanitas fa parte della civiltà.

giovanni ghiselli