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lunedì 10 luglio 2023

Ovidio e Lucrezio sull'amore.

Ovidio II Ars amatoria e Remedia amoris  con suggerimenti opposti per situazioni differenti.

 

Ovidio, Lucrezio e diversi altri autori

 

Avvertenza

Ovidio appartiene al primo corso che terrò Primo Levi ma anche in questo metto autori moderni, come metto gli antichi nel secondo corso sul romanzo moderno perché voglio dare un quadro della cultura letteraria europea indicando i nessi tra àgli autori. Nel romanzo di Musil il protagonista Ulrich “parlava  della catena di plagi che lega l’una all’altra” quelle che Diotima chiamava “le grandi figure del mondo artistico”[1].  io piuttosto considero paideia,  educazione e cultura questa trasmissione di sapere e di bellezza attraverso i secoli.

Sono rimasto fedele a questo metodo anche nella mia narrativa costituita appunto dalla lunga esperienza di fatti moderni e dalla continua lezione degli antichi[2].

 

 

Ovidio del resto nei Remedia amoris insegna la liberazione dall’amore che fa soffrire. In questo caso bisogna togliere alle donne gli orpelli che le fanno apparire più attraenti.  

 Qualora ci si voglia liberare dai  lacci delle donne e trovare rimedi all'amore converrà vederle al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (Remedia Amoris vv. 343-344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una parte minima di sé.-ipsa puella : con  questo stilema platonico[3]  applicato all'amore Ovidio intende distinguere non tanto l'anima della donna dal suo corpo, quanto il suo vero aspetto da tutto l'apparato esteriore.  Qui il cultus , come la cosmesi in Gorgia 465b, è una forma di adulazione e di inganno.

Mi interessa mostrare un problema trattato in maniera diversa da diversi autori ma anche da un solo autore in opere diverse,

 Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor " (vv. 345-346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.

-tam multa : sono gli orpelli dell'apparato esterno e della cosmesi che inganna (decipit ).

Platone nel luogo citato sopra  definisce la cosmetica ajpathlhv, ingannevole appunto.

Nell’Ars amatoria Ovidio approva il cultus, ma nel contesto dei Remedia amoris  è utile eliminarlo dalla donna per ridurla ai minimi termini.

Cultus dunque è una di quelle parole chiave cariche di significati anche contrastanti.

Un mezzo demistificatorio è quello di arrivare all'improvviso:"improvisus ades: deprendes tutus inermem;/ infelix vitiis excidet illa suis " (Remedia amoris, vv. 347-348), presentati inaspettato: tu, al sicuro, la sorprenderai disarmata; quella, disgraziata, cadrà per i suoi difetti.-tutus: l'uomo invece si è preparato.-inermem : il termine ( formato da in  e arma ) allude alla guerra: questi versi potrebbero entrare anche nel tovpo" Eros/Eris.

"Eros si associa a Eris, Lotta, quella Eris che Esiodo, nelle Opere e giorni, colloca "alle radici della terra" (v. 19)"[4].

Esiste però una forma sine arte decens  (v. 350), una bellezza elegante senza trucco ed essa  fallit multos, alletta molti. Volendo spiegarla, questa potrebbe essere la bellezza naturale potenziata, o conservata, dalla ginnastica e dalla consapevolezza di sé. L'attrazione esercitata da tale forma  potrebbe non essere fallace.

Comunque Ovidio, come Lucrezio, consiglia di avvicinarsi al volto della domina  "compositis cum linit ora venenis " (v. 351), quando si spalma il volto con intrugli pestiferi, che hanno l'odore stercorario delle mense di Fineo insozzate dalle Arpie:"Illa tuas redolent, Phineu, medicamina mensas " (v. 355), quegli intrugli hanno il cattivo odore delle tue mense, Fineo.

Le donne allora sono come Arpie che insozzano; come le Erinni che appartengono alla vasta categoria dei mostri femminili vendicatori e vengono chiamate anche "cani del grande Zeus"[5]. E' tipico dell'immaginario mitico dei Greci attribuire a figure femminili i tratti dell'alterità più mostruosa.

 Ovidio dunque nei Remedia amoris consiglia di mettere in rilievo i difetti fisici dell'amata, trovandoli anche quando non ci sono.

Si tratta di aprire bene gli occhi sui difetti dell'amante.

Nei Remedia amoris viene utilizzata la lezione di Lucrezio.

"Come dimenticare che Lucrezio aveva raccomandato di non ostacolare con l'autoinganno la guarigione dall'amore? e aveva anche aggredito satiricamente la cecità di chi non vuol vedere nella persona amata i difetti dell'animo e del corpo ma preferisce nasconderli dietro un repertorio di nomignoli blandi. E così i Rimedi contro l'amore  ripetono questa lezione e anzi aumentano le dosi terapeutiche: non solo saranno banditi gli autoinganni dell'eufemismo ("aprite gli occhi e chiamate i difetti col loro vero nome") ma addirittura bisognerà rovesciare in difetto ogni pregio esistente ("se è formosa, chiamala grassa; se bruna, chiamala negra;  se è snella, chiamala quattrossa; se non è rozza, chiamala è sfacciata".). E' questo uno dei punti in cui l'Ovidio dei Remedia  sembra più esplicitamente disfare gli insegnamenti dell'Ars . Nell'Ars  l'eufemismo d'amore (se è grassa, dilla formosa...) era raccomandato a chi voleva farsi amare: ma si trattava di una tecnica di corteggiamento, e la possibilità di scivolare nell'autoinganno era solo un corollario di cui il poeta scrupolosamente avvertiva i suoi discepoli (Ars amatoria  2, 647 ss.). Sia l'Ars  che i Remedia  fanno tesoro della lezione diatribica di cui Lucrezio era stato portavoce, la lezione secondo cui gli innamorati sono ciechi fino al ridicolo. Una proposizione da cui conseguono due  opposte possibilità: se si tratta di mostrarsi innamorati, bisogna accettare di apparire ciechi e ridicoli (l'Ars ); se si tratta di liberarsi dall'amore, bisogna bene aprire gli occhi, e magari finanche vedere troppo (i Remedia )"[6].

Leggiamo  dunque dei versi dle De rerum natura di Lucrezio.

 "Nam faciunt homines plerumque cupidine caeci/et tribuunt ea quae non sunt his commoda vere " (De rerum natura, IV, vv.1153-1154), infatti fanno così di solito gli uomini acciecati dalla brama e attribuiscono a queste quei pregi che esse non hanno.-cupidine caeci : clausola allitterante con il tovpo" di "aprite un po' quegli occhi,/uomini incauti e sciocchi" ripreso e spiegato dall'aria del Figaro delle nozze di Mozart-Da Ponte:"Guardate queste femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per farci penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche d'affanni/che fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il resto nol dico./Già ognuno lo sa"[7].

Infatti era già scritto nella nostra letteratura classica.-

"Multimodis igitur pravas turpisque[8] videmus/esse in deliciis summoque in honore vigere " (De rerum natura, IV, 1155-1156), quindi vediamo quelle per molti versi depravate e ripugnanti essere vezzeggiate e tenute nella considerazione più alta.

Questa trasfigurazione è motivata non solo dalla cecità dell'uomo ma anche dall'astuzia della donna che, al pari di Ulisse, può essere seduttiva senza essere bella[9].

 

Kafka racconta in diverse pagine gli espedienti di una donna brutta, Frieda, spietatamente denunciati attraverso il discorso indiretto di un'altra donna, Pepi, naturalmente una rivale:" Frieda, una ragazza bruttina, magra, non giovane, con pochi aridi capelli, e per giunta una sorniona sempre piena di misteri, cosa che probabilmente dipende dal suo aspetto; meschina com'è di faccia e di corpo, deve ben avere altri segreti che nessuno può indagare (...) Nessuno sa meglio di Frieda stessa quanto sia misero il suo aspetto, chi la vede, ad esempio, per la prima volta coi capelli sciolti giunge le mani per la pietà; una ragazza così, se ci fosse giustizia, non dovrebbe fare neanche la cameriera, lo sa anche lei e ne ha pianto per nottate intere, stringendosi a Pepi e mettendosi intorno al capo le trecce di Pepi. Ma quando è in servizio ogni dubbio l'abbandona, si crede la più bella di tutte e riesce a comunicare agli altri la sua convinzione. Conosce i suoi polli Frieda; quella è la sua vera arte. Ed è pronta nel mentire e nell'ingannare affinché la gente non abbia tempo di osservarla bene. Naturalmente queste arti alla lunga non bastano, la gente ha occhi e finirebbe per servirsene. Ma nell'istante in cui ella fiuta il pericolo ha già pronto un espediente nuovo: ultimamente, per esempio, la sua relazione con Klamm!...Che furba, che furba!…Ma quello che basta a Klamm come potrebbe non essere ammirato dagli altri?…gli è davvero piaciuta quella cosettina gialla e patita? Ma no, non l'ha neanche guardata, lei gli ha solo detto che era l'amante di Klamm, per lui il trucco era ancora nuovo, ed eccolo perduto...D'altronde Frieda non si sa vestire, è completamente priva di gusto; chi ha una pelle giallastra è obbligato a tenersela, ma non occorre che si metta per giunta, come Frieda, una camicetta color crema, molto scollata, così che vien da piangere davanti a tutto quel giallo...Pepi invece detestava simili artifici "[10]. 

 

"Atque alios alii irrident Veneremque suadent/ut placent, quoniam foedo adflictentur amore,/nec sua respiciunt miseri mala maxima saepe " (De rerum natura, IV, vv. 1157-1159), e si deridono a vicenda, e consigliano di placare Venere, poiché sono tormentati da un amore ripugnante, e spesso non considerano, disgraziati i propri grandissimi mali.

-alios alii irrident : poiché vedono la follia degli altri ma non la propria. Si  comportano in modo simile ai deiloiv , i plebei, stigmatizzati da Teognide:" ajllhvlou" d j ajpatw'sin ejp& ajllhvloisi gelw'nte"" (Silloge, v. 59) si ingannano a vicenda deridendosi a vicenda.

 La differenza è che gli innamorati pazzi ingannano se stessi.

.  "Nigra melīchrus est, immunda et foetida acosmos " (IV, v. 1160), la nera ha l'incarnato di miele, la lercia e puzzolente è trasandata.-nigra : la pelle scura era apprezzata molto meno della candida .

Catullo mette la carnagione chiara tra le doti fisiche gradite a molti, ma non sufficienti secondo lui, quando mancano la venustas, la grazia, e la mica salis , il grano di sale, a costituire una bella donna. Tale è solo Lesbia :"Quintia formosa est multis, mihi candida, longa, recta est…Lesbia formosa est " (86, 1-2, 5), Quinzia per molti è bella, per me di carnagione chiara, lunga, diritta…Lesbia sì che è bella.

Il Creonte della Medea  (1821) di Grillparzer, rimpiangendo la figlia fatta morire dalla rivale, gli sembra di vederla :"così bianca, così bella, scendere leggera tra le nere rovine" (atto V).

 L' Antigone (1942) di Anouilh non è sicura di essere desiderata veramente da Emone per il suo aspetto, meno attraente di quello della sorella:"Sono nera e magra. Ismene è rosa e dorata come un frutto"[11]. Ma il fidanzato, forse perché impazzito, ha preferito la nera e magra Antigone alla formosa Ismene

. 

melīchrus: è traslitterazione dell'aggettivo greco melivcrou"  composta da mevli (miele) e crova (carnagione). Questo travisamento ricorda l'idealizzazione dell'innamorato Buceo nel X idillio di Teocrito:"Suvran kalevontiv tu pavnte", /ijscna;n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron" (X, vv. 26-27), tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore del miele.

immunda  : formato da in , prefisso negativo, e mundus , pulito. Significa sciatto e sudicio.

Una curiosità: Cicerone, deluso dal comportamento di Pompeo che pensava solo a fuggire, lo paragona a quelle donne immundae, insulsae, indecorae, sudicie, sciocche, brutte che ci distolgono dall'amarle (Att.  9, 10, 2).

-foetida : è quella che foetet , puzza, la portatrice di foetor  trasfigurata in acosmos  (traslitterazione di a[kosmo" , disordinato) che qui dovrebbe indicare la neglegentia sui , l' apparente noncuranza di sé; insomma una trasandatezza elegante.

 

"caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas " (IV, v. 1161), quella con gli occhi glauchi è un simulacro di Pallade, la nervosa e legnosa una gazzella".-Palladium : corrisponde al greco Pallavdion , statua di Pallade che infatti Omero chiama glaukw'pi", dagli occhi lucenti. Nel nostro contesto gli occhi chiari, tra il verde e l'azzurro, non sono considerati un pregio.

-dorcas: traslitterazione del greco dorkav", gazzella e capriolo, animali agili, eleganti.

 

"parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal  " (v.1162), la piccina, la nana, è una delle grazie, tutta sale puro.-parvula : cfr. "la piccina è ognor vezzosa" della lista di Don Giovanni [12] ma questo è il seduttore per il quale conta non l'individualità della donna bensì quello che tutte le donne hanno in comune.

 

Compie la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel Misantropo [13] di Moliere che aveva  tradotto il De rerum natura  prima del 1660 :"La nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita stretta e libere movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta, che è fornita di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole trascurarsi; la gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di celesti splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata"[14].

-chariton mia : traslitterazione di carivtwn miva, una delle Cariti o Grazie.

-tota merum sal  (con clausola monosillabica): noi usiamo piuttosto il pepe per una persona piccola ma non insignificante, mentre della inespressiva e insipida diciamo "non sa di nulla". Anche per Catullo il sapore di una donna è dato dal suo sale:"nulla in tam magno est corpore mica salis " (86, 4), in un corpo tanto grande non c'è un granello di sale. Il sapore ovviamente viene dallo spirito. 

 

"magna atque immanis catǎplexis plenaque honoris "(1163), la mostruosamente grande è un incanto pieno di maestà.-immanis : formato da in-  prefisso negativo e manus=bonus , quindi mostruoso.-cataplexis  : traslitterazione di katavplhxi", che ha la radice del verbo plhvssw, colpisco.- honoris : cfr. "è la grande maestosa", (Don Giovanni , I, 5 ).

 

"Balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est " (IV. 1164), la balbuziente, non sa parlare, cinguetta, la muta è riservata.-balba : abbiamo visto che la donna deve essere silenziosa; la balbuziente invece appare spregevole qui e ancor più nella ripresa dantesca[15]

 traulizi : traslittera traulivzei con ei pronunciato i.-muta pudens : il mutismo è un silenzio eccessivo e anche qui un difetto è ribaltato in pregio.

 

"at flagrans odiosa loquacula lampadium fit " (IV 1165).-ma quella che sputa fuoco, odiosa, chiacchierona diventa una fiamma amorosa.-flagrans : una megera o un'erinni fiammeggiante.-Lampadium  : traslittera lampavdion, diminutivo di lampav", fiaccola.

"Ischnon eromenion tum fit, cum vivere non quit/prae macie; rhadine verost iam mortua tussi " (1166-1167), diventa uno snello tesorino, quando non può vivere per la magrezza; poi è delicata quella che crepa dalla tosse.-Ischnon eromenion =ijscno;n ejrwmevnion=snello amoruccio .-rhadĭne =rJadinhv. "questo quadro ironico e caricaturale delle illusioni dell'amante...è accentuato dalla conservazione delle parole greche, altrove nel poema costantemente rese nelle equivalenti forme latine"[16].

Dionigi segnala pure che questo motivo, già presente in Platone (Rsp. 474d), Teocrito 10, 26 sg. , già citato, e nell'Anthologia Palatina  , "sarà caro alla letteratura posteriore (Orazio, serm. I, 3, 38 sgg.; Ovidio, ars  2, 657-662; rem. am.  315 sgg.), fino a riaffiorare nel Misanthrope  di Moliere (2, 5)". Ancora un paio di versi poi vediamo quali parole ci appulcrano Orazio e Ovidio.

"At tumida et mammosa Ceres est ipsa ab Iaccho,/simula Silena ac Saturast, labeosa philema " (IV, vv. 1168-1169), ma la turgida e pocciona è Cerere stessa sgravata da Iacco, la camusa una Silena o una Satira, la labbrona un bel bacio.-tumida: questa, che è gonfia (tumet ) e con tette enormi viene interpretata come un'incarnazione della magna mater  dopo che ha partorito Iacco "divinità associata ai culti eleusini di Demetra; è probabile che Lucrezio identifichi Iacco con Liber  (divinità italica corrispondente al greco Dioniso), nato da Cerere (Cicerone, De natura deorum  II, 24, 62). "Ab Iaccho  è espressione molto densa con ab  causale ("a causa di Iacco", appena partorito) o temporale ("subito dopo" aver partorito)"[17].-simula : diminutivo di sima ricavato dal greco simov", camuso.- Silena : ai sileni rappresentati con zampogna o flauto viene assimilato Socrate, che infatti aveva il naso camuso, dal bell' Alcibiade il quale era affascinato dal maestro nonostante la  bruttezza, nel Simposio  platonico (215). -labeōsa : formato da labea , labbro, + il suffisso -osus  che, presente pure in mammosa , significa grandezza.-philema : traslitterazione di fivlhma, bacio.

Pure Orazio si trovano aspetti di questo tovpo" il quale effettivamente può trovare risonanze in tutti gli uomini di tutti i tempi.

 

Il Venosino nella Satira  I 3 afferma che le brutture e i difetti dell'amante ingannano l'innamorato cieco e addirittura proprio quelle imperfezioni gli piacciono (vv. 38-40). Si deve porre mente a questo per imparare un poco di indulgenza verso le manchevolezze del prossimo . Il locus  è utilizzato come exemplum  di tolleranza. La conclusione della satira è che se compatiremo, verremo compatiti. Si vede come un argomento può essere impiegato per dare insegnamenti opposti.

Lo stesso poeta può usare il medesimo tovpo" in libri diversi per sostenere una tesi e quella contraria.

 

Così fa Ovidio che nei Remedia amoris apre gli occhi sui difetti delle donne suggerendo perfino di accentuarli con il pensiero, mentre nell'Ars amatoria  consiglia di guardarsi bene dal rinfacciare  alle ragazze le loro imperfezioni (parcite praecipue vitia exprobrare puellis , II, 640): a molti fu utile avere fatto finta di non vedere.

Questo vale per non disgustare le donne le quali anzi vanno adulate.

Ovidio nel II libro dell'Ars  amatoria afferma che chiudere un occhio sui difetti della donna è utile non solo alla conquista ma anche al mantenimento del rapporto il quale riceve lunga vita dalla transigenza fondata a sua volta sull'abitudine:"Quod male fers, adsuesce: feres bene: multa vetustas/leniet; incipiens omnia sentit amor  " (vv.647-648), a quello che sopporti male, abituati: sopporterai bene: la lunga durata allevierà molte cose difficili; l'amore all'inizio fa caso a tutto.

 Lo stesso passare del tempo toglie tutte le pecche del corpo, e quello che era un difetto smette di esserlo con la dilazione. Sapere aspettare serve, ma anche l'uso intelligente delle parole è funzionale a questo scopo.

Ovidio dunque nell' Ars amatoria presenta come astuzia da usare quello che Lucrezio considera un errore da evitare :"Nominibus mollire licet mala:"Fusca" vocetur,/nigrior Illyricā cui pice sanguis erit;/si paeta est, "Veneri similis"; si rava, "Minervae";/sit "gracilis", macie quae male viva sua est;/dic "habilem", quaecumque brevis, quae turgida, "plenam";/et lateat vitium proximitate boni " (Ars, II, vv. 657-662), i difetti si possono attenuare con le parole: "abbronzata" si chiami quella che avrà vene più nere della pece illirica; se è un pò strabica, "simile a Venere"; se è glauca, "a Minerva"; sia "gracile" quella che, del tutto esaurita, è viva per poco, chiama "maneggevole" chiunque sia corta; quella gonfia, "piena", e si nasconda il difetto con il pregio più vicino.

 Le parole insomma servono ad avvicinare e conservare la donna.

Viceversa nei Remedia Amoris  il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.

"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./"Quam mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae" (nec tamen, ut vere confiteamur, erant); "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae" (et tamen, ut vere confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat), "quam multum poscit amantem";/haec odio venit maxima causa meo./ Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit./ Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur;/in gracili "macies" crimen habere potest./Et poterit dici "petulans" quae rustica non est;/et poterit dici "rustica", si qua proba est  "  (vv. 315-330), mi ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è abbronzata "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa.-quam multum poscit  (v. 321): ecco il difetto  più odioso per l'amante poiché l'utile è valutato più del bello e del buono.

Una riflessione che si trova anche in Machiavelli il quale consiglia al suo principe di evitare quello che anche secondo lui è il difetto più odioso:"ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio"[18]. Citeremo ancora l'autore di Il Principe poiché Ovidio è il maestro, se vogliamo il cattivo maestro, dello sganciamento di un'attività dalla morale. - et mala sunt vicina bonis (v. 323)::" Unnatural vices/are fathered by our heroism. Virtues/ are forced upon us by our impudents crimes "[19], afferma il classicista Eliot, vizi innaturali hanno come padre il nostro eroismo. Virtù ci sono imposte dai nostri impudenti delitti.

Già Machiavelli aveva indicato questa confusione di virtù, magari deleterie, e vizi che possono creare il bene:"se si considerrà bene tutto, si troverà qualche cosa che parrà virtù, e, seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo" [20]. -    

in peius (v. 325) : il pessimismo è quasi sempre legato a frustrazioni vitali, soprattutto amorose e di salute.

 

Un'eco di questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum  del Petrarca quando  Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, sappiano considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile.

-rustica (vv. 329 e 330) : si ricordino le riflessioni che abbiamo fatto sulla rusticitas  che può essere cosa buona o cattiva a seconda di come la si prende. A volte, controbatto, la seduzione della bellezza femminile o maschile, insomma l'inganno  di Cipride, porta aiuto a chi subisce o lo infligge:  così è  nel poema di Apollonio Rodio dove Fineo consiglia agli Argonauti: cercate l'aiuto della dea Cipride che inganna: in lei infatti sta il compimento glorioso delle vostre fatiche (Argonautiche, II, 423-424).

 Ma già Saffo chiede aiuto ad Afrodite  invocandola come dolovploke, tessitrice di inganni (I D, v. 2).  

 

 

 Bologna 10 luglio 2023 ore 18 giovanni ghiselli

p.s.

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[1] L’uomo senza qualità, Parte seconda, 67 Diotima e Ulrich, p. 270.

[2] Cfr. Machiavelli, Il Principe,  decica Al  Magnifico Lorenzo De’ Medici (nipote di Leone X)

[3] Cfr. aujth; kivnhsi" di Sofista 256b, il moto in sé.

[4]J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 136.

[5] Per le Arpie cfr. Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 289; poi Virgilio, Eneide, III, 225-258 e Dante, Inferno, XIII, 64-66. Per le Erinni cfr. le Eumenidi di Eschilo, vv.130-132. 

[6]G. B. Conte (introduzione di), Ovidio Rimedi contro l'amore.

[7]Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , IV, 8.

[8] =turpesque

[9] Cfr. Ovidio,  Ars Amatoria , II, 123-124.

[10]F. Kafka, Il castello , p. 296 ss.

[11] Antigone (del 1942), p. 78.

[12] Mozart-Da Ponte (I, 5)

[13] Del  1666

[14] Molière, Il misantropo , II, 4.

[15]" Mi venne in sogno una femmina balba" (Purgatorio , XIX, 7).-

[16] I. Dionigi ( testo e commento a cura di) Lucrezio, La natura delle cose, introduzione di G. B. Conte, traduzione di L. Canali,., p. 414.

[17]G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 59.

[18]Il Principe , 17.

[19]Gerontion , vv. 47-49).

[20]Il Principe , 15.

 

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