NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 13 luglio 2023

Percorso sulla poesia amorosa IV. Tibullo, Orazio, Ovidio

Tibullo (54-19) invece è  "più attaccato  al modello femminile arcaico". E' esemplare di tale propensione "il famoso quadro di vita domestica che egli sogna mentre giace malato a Corcira e che fa da chiusa all'elegia I 3 (83  sgg.) : Delia, rimasta fedele al poeta lontano, ha accanto a sé la vecchia madre, "sancti pudoris custos " (custode del sacro pudore); al lume della lucerna la madre fila e racconta favole; una giovane schiava fila anche lei" (A. La Penna. Fra teatro, poesia e politica romana p. 185). Vediamone almeno un distico: "At tu casta precor maneas, sanctique pudoris/adsideat custos sedula semper anus " ( I, 3, 83-84), ma tu rimani casta, ti prego, e ti stia vicina vigile la madre, custode sempre attenta del santo pudore!

In effetti questo del poeta nato nel Lazio rurale ricorda il quadro presentato da Tito Livio[1] per illustrare la virtù di Lucrezia : i giovani parenti del re Tarquinio la trovarono:"nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem " (I, 57, 9), a notte inoltrata, intenta alla lana, tra le ancelle che lavoravano a lume di candela, seduta in mezzo alla casa.

Di questo modello femminile risente la promessa sposa di Manzoni:  di lei il cugino Bortolo ricorda:"Sempre la più composta in chiesa; e quando si passava da quella casuccia…Volevo dire che, quando si passava da quella casuccia, sempre si sentiva quell'aspo, che girava, girava, girava"[2].

Una donna del genere la lascerei a un uomo adatto a lei.

 

 Il desiderio di Tibullo insomma sarebbe che Delia fosse come questa sposa esemplare. Però" da altre elegie del I libro sappiamo che la cortigiana Delia si adatta poco al modello; da altre del II libro sappiamo che ancora meno vi si adatta la volubile Nemesi" (p. 185).

Tibullo dunque si trova a disagio nella metropoli,  eppure " una parte notevole della sua poesia è radicata nella vita galante di Roma".

 

Walter Pater nel primo capitolo[3] del suo Mario l'epicureo[4] mette in rilievo la sussistenza, nel poeta di Delia e Nemesi, della "primitiva e più semplice religione patriarcale, la religione di Numa…Tracce di tale sopravvivenza si possono cogliere, al di là degli atteggiamenti meramente artificiosi della poesia pastorale latina, in Tibullo, che ci ha conservato molti particolari poetici delle antiche consuetudini religiose di Roma:"At mihi contingat patrios celebrare Penates/reddereque antiquo menstrua thura Lari"[5] così invoca con serietà non simulata. Qualcosa di liturgico, nella ripetizione di una formula consacrata, come parte del rito sacrificale per il compleanno, si può rintracciare in una delle sue elegie. Il focolare, da una scintilla del quale, secondo una versione dell'antica leggenda, sarebbe miracolosamente nato il bimbo Romolo, era ancora propriamente un altare"[6].

 

 

Quindi La Penna passa a Orazio "che, specialmente in amore, è poco sedotto da modelli arcaici. Pirra è simplex , ma simplex munditiis "[7], semplice nell'eleganza.

 

Si tratta di un'eleganza ricercata o per lo meno voluta. Simile a quella raggiunta nelle arti quando fu cacciato il lezzo della rozzezza agreste del Lazio:"Graecia capta ferum victorem cepit et artis [8]/intulit agresti Latio. sic horridus ille/defluxit numerus Saturnius, et grave virus/munditiae pepulere; sed in longum tamen aevum/manserunt hodieque manent vestigia ruris" (Epistulae[9] , II, 1. vv. 156-160), la Grecia conquistata conquistò il feroce vincitore e inserì le arti nel Lazio agreste. Così è sparito quell'orrendo metro Saturnio, e l'eleganza cacciò il grave fetore; ma per lungo tempo comunque rimasero e rimangono oggi le tracce della rozzezza.

Dunque le forme letterarie e gli stili delle persone devono concordare. 

 

 L'aggettivo simplex qualifica la bellezza essenziale anche nella brevissima Ode bistrofica I 38 dove Orazio dichiara il suo amore per la semplicità appunto e  il suo odio per lo sfarzo dei Persiani:"Persicos odi, puer, adparatus (v. 1). Nella seconda strofe saffica il poeta aggiunge:" simplici myrto nihil adlabōres/sedulus curo " (vv. 1 e 5-6), non voglio che tu ti affatichi con zelo ad aggiungere alcunché al semplice mirto.

E' anche una dichiarazione di poetica siccome "la semplicità del convito è la semplicità dell'arte, che conta molto sulla riduzione dei mezzi espressivi, sull'eliminazione del superfluo e mira ad una classica essenzialità"[10].

 

Il motto che riassume questo stile con maggiore efficacia è  l'affermazione di Pericle: "filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Tucidide, II, 40, 1). in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.

 

 

L'eleganza semplice è prescritta da Isocrate nello scritto parenetico A Demonico[11]:"Ei\nai bouvlou ta; peri; th;n ejsqh'ta filovkalo", ajlla; mh; kallwpisthv"" (27), cerca di essere nel tuo abbigliamento elegante, ma non ricercato.   

 

Sentiamo Conte: "Simplex munditiis è un ossimoro, perché i due termini hanno associazioni di significato opposte, la semplicità e la ricercatezza (munditia)...Come ha detto bene Romano, "il concetto classico di semplicità nell'eleganza è scolpito in questo ossimoro che potrebbe essere assunto come motto del programma stilistico di Orazio"[12].

 

La semplicità elegante del resto è anche distintiva dello stile stesso di Orazio. Lo si può ricavare da queste parole di Nietzsche :"Non ho mai provato, fino ad oggi, in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin dal principio, un'ode di Orazio. In certe lingue quel che lì è raggiunto non lo si può neppure volere. Questo mosaico di parole in cui ogni parola come risonanza, come posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a sinistra e sulla totalità, questo minimum nell'estensione e nel numero dei segni, questo maximum , in tal modo realizzato, nell'energia dei segni-tutto ciò è romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence . Tutto il resto della poesia diventa in paragone qualcosa di troppo popolare-nent'altro che loquacità sentimentale"[13].

  

 Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De officiis [14]  ": quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est  " ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza contadinesca e incivile. Lo stesso criterio si deve adottare nel vestire dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore.

 Lo stesso affermerà Seneca. 

 La semplicità insomma non sia rozza, sprovveduta e inopportuna ma voluta e conquistata. Marziale[15] la chiama prudens simplicitas (X, 47,  7) semplicità accorta e la considera uno dei mezzi che abbelliscono la vita (vitam quae faciant beatiorem , v. 1).

Si sente la lezione ovidiana: la simplicitas rudis  (A. a. III, 113) non si confà alla Roma moderna.

Vediamo qualche esempio moderno: Tolstoj ci insegna che anche un abbigliamento sofisticato e un'acconciatura elaborata non devono far vedere la preparazione che sono costati, anzi è necessario che sembrino semplici: si tratta della " rosea Kitty" di  Anna Karenina:" Benché la toilette, la pettinatura e tutti i preparativi per il ballo fossero costati a Kitty grandi fatiche e riflessioni, ora, nel suo complicato abito di tulle con il trasparente rosa, ella entrava nel ballo in modo così semplice e disinvolto da parere che tutte quelle roselline, quelle trine, tutti i particolari della toilette non fossero costati né a lei né ai suoi familiari nemmeno un istante d'attenzione, come se fosse nata in quel tulle, in quelle trine, con quell'alta pettinatura, con la rosa e le due foglioline in cima"[16].

La naturalezza è il segno dell'eleganza della signora di Guermantes nella Ricerca di Proust:"Ciascuno dei suoi abiti m'appariva come un ambiente naturale, necessario, come la proiezione di un aspetto particolare della sua anima"[17].

Insomma, tornando a Ovidio:" Ars casum simulet" (Ars amatoria , III, 155), l'artificio finga di essere casuale. A molte infatti sta bene una chioma che pare trasandata (neglecta, v. 153) mentre è una pettinatura appena rinnovata.  

 Vediamo ora invece un esempio di stile troppo evidentemente pensato,  voluto e quasi preteso, nella borghese Diotima di Musil che accolse Ulrich, il protagonista del romanzo, "con il sorriso indulgente della donna di valore che sa di essere anche bella e deve perdonare agli uomini superficiali di pensare sempre prima di tutto a quello…Diotima era la maggiore delle tre figlie di un professore di scuola media senza beni patrimoniali…Da ragazza ella non possedeva che il proprio orgoglio, e poiché non possedeva nulla di cui essere orgogliosa, era in fondo null'altro che una correttezza raggomitolata su se stessa con tentacoli protesi di sentimentalità "[18].

Tale tensione avida spaventa Ulrich:" egli vedeva se stesso come un vermicello nocivo attentamente contemplato da una grossa gallina" (p. 89).

 

Riprendiamo il punto di vista su Orazio del saggio di La Penna: "Il quadro più fascinoso del modello femminile "moderno" è stato dipinto proprio da Orazio: è il quadro della bellezza elegante della moglie di Mecenate" (p. 185). L'autore allude all'Ode II 12 dove la giovane e splendidissima Licimnia è ricordata mentre danza e gareggia di spirito senza dedecus  e senza che il suo fidum pectus  (v. 16), il cuore fedele, vacilli.

 

Giorgio Pasquali utilizza, con altri indizi, questa ode per sostenere che "ai tempi di Augusto matrimoni d'amore dovevano avvenire, se proprio una lex Iulia, citata dal giureconsulto Marciano (Dig. 23, 2, 19) proteggeva i figli e le figlie contro l'arbitrio del padre che non volesse senza giusta ragione consentire a un matrimonio da essi desiderato. La relazione tra Mecenate e Terenzia sono descritte da Orazio stesso non diverse dalla vita comune di due amanti. Il poeta conferma a Mecenate che la Musa volle che il poeta dicesse il canto di lei, i suoi occhi fulgidi, il petto fido agli amori mutui: II 12, 13 me dulcis[19] dominae Musa Licymniae[20] /cantus, me voluit dicere lucidum/fulgentis[21] oculos et bene mutuis/fidum pectus amoribus "[22].

E' la quarta delle sette strofe asclepiadee prime che formano l'Ode II 12. Le tre precedenti contengono la recusatio, il rifiuto dell'epos storico e della poesia di argomento mitologico, generi per i quali l'autore non è portato.  Vediamo la traduzione di questi versi con i quali il poeta entra in medias res : a me la Musa ha imposto dolci canti per Licimnia signora, che io cantassi gli occhi splendidamente brillanti e il cuore santamente fedele al reciproco amore.

Sentiamo ancora Pasquali " Di lei il poeta vanta non solo la prontezza di spirito nel conversare, ma la grazia che, fanciulla, aveva dimostrato nel danzare, sia pure non motus ionicos ma balli più adatti a una ragazza di buona famiglia, la quale danzando pensi solo a compiere un dovere religioso: quam nec ferre pedem dedecuit choris/nec certare ioco nec dare brachia/ludentem nitidis virginibus sacro/Dianae celebris die .[23] Avrebbe cent'anni prima un poeta romano osato lodare abilità di tal genere in una donna?, in una fanciulla?"[24].

 

Su Mecenate e la sua irreprensibile moglie tutt'altra testimonianza dà Seneca, quando il potente patrono della cultura era morto da diversi decenni:"Feliciorem [25] ergo tu Maecenatem putas, cui, amoribus anxio et morosae uxoris cotidiana repudia deflenti, somnus per symphoniarum cantum ex longiquo lene resonantium quaeritur?"[26], consideri dunque più fortunato Mecenate, il quale, agitato da passione amorosa e addolorato per il quotidiano rifiuto di una moglie capricciosa, cerca il sonno per mezzo di canti accompagnati da strumenti musicali che suonano dolcemente da lontano?

 

 Le mode e i costumi cambiano rapidamente, quem ad modum temporum vices,[27] quasi come le stagioni: la danza e lo spirito praticati dalla Sempronia di Sallustio, nemmeno cinquant'anni prima, erano considerati attrezzi per la dissolutezza: questa donna"litteris Graecis, Latinis docta, psallere saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Lubido sic accensa, ut saepius peteret viros quam peteretur "(Bellum Catilinae , 25), sapeva di greco e di latino, suonare, danzare più elegantemente di quanto si convenga a una  per bene, e molte altre arti che sono strumenti di lussuria. La libidine era così ardente che corteggiava gli uomini più di quanto fosse corteggiata.  

 

Otello di Shakespeare,  quando cerca di opporsi al mostro dagli occhi verdi della gelosia che Iago vuole scatenargli contro, dice :" 'Tis not to make me jealous/to say my wife is fair, feeds  well, loves company,/is free of speech, sings, plays and dances well;/where virtue is, these are more virtuous"[28], non può farmi geloso il dire che mia moglie è una bella donna, mangia bene, ama la compagnia, è libera di parola, canta, suona e danza bene; dove c'è la virtù queste sono qualità più virtuose.

   

Dunque gli stessi mezzi possono essere usati con fini diversi, perfino opposti: Sempronia aveva tradito la fede (fidem prodiderat) un valore, si è visto, che appartiene all'ambito erotico, giuridico e morale nella Roma repubblicana. Vedremo che non dissimile da tale femmina "malamente" evoluta è la Poppea di Tacito.  

 

"Orazio osa di più, esalta le arti che essa sa adoperare per aguzzare e per irritare l'amore o diciamo pure la sensualità del marito: flagrantia detorquet ad oscula cervicem, aut facili saevitia negat, quae poscente magis gaudeat eripi, interdum rapere occǔpet .[29]

Le parole ultime ricordano il pignus dereptum lacertis aut digito male pertinaci [30], salvo che il poeta parla forse qui con più franchezza della moglie dell'amico e protettore che non facesse colà della puella indeterminata. L'avrebbe fatto se il matrimonio di Mecenate non fosse stato un matrimonio d'amore? L'abisso che in civiltà primitive si apre tra l'amore e il matrimonio, era colmato, si vede bene di qui, nell'età augustea"[31].

 

 Non che Orazio non avverta i pericoli della "modernità". Egli nelle odi civili "alle seduzioni della matura virgo, presto moglie adultera, contrappone la severa madre sabina che fa lavorare duramente i suoi figli (Carm.  III 6. 17-44); non dico che si tratta di preoccupazioni fittizie: la società, per evitare la rovina, doveva arrestare la corruzione; Orazio, però, si trovava a suo agio in un altro mondo, dove per salvarsi non c'era bisogno di tornare al rigore arcaico"[32].

E' questa la prima delle 6 odi romane. Orazio vi denuncia la corruzione della famiglia e del costume. La ragazza cresciuta   impara con gioia le danze ioniche e si forma alle seduzioni:"motus doceri gaudet Ionicos/matura virgo et fingitur artibus" (vv. 21-22), quindi le mette in pratica nei banchetti dove compie adulterio con dei ragazzi sotto gli occhi del marito avvinazzato:"mox iuniores quaerit adulteros/inter mariti vina" (vv. 25-26).

 

Nella Germania, Tacito nota polemicamente che le donne di quella terra  vivono con la castità ben custodita, senza essere guastate dalla seduzione degli spettacoli né dagli stimoli dei banchetti:"saeptā pudicitiā agunt, nullis spectaculorum inlecěbris, nullis conviviorum inritationibus corruptae" (19, 1)   

 

 

Torniamo a Ovidio. In questo poeta, utroque lascivior[33],  la tragedia amorosa diviene lusus , e il dio doloroso, o piuttosto il demone del dolore, il "daivmwn ajlginovei""[34], che porta Medea alla sofferenza e alla follia infanticida,  o  infligge la pestis che spinge Didone al suicidio[35] diventa un dio ludico nelle mani del tenerorum lusor amorum[36], cantore dei teneri amori.

Eros è un demone anche secondo l'opinione di Diotima nel Simposio platonico ma un Daivmwn mevga" , un Demone grande, e, come tutto ciò che è demonico,  intermedio tra divino e il mortale (202e). Chi  è sapiente in questo è un uomo demonico, continua Diotima (203a), e Ovidio, aggiungo io, si intende di Amore come di un demone piacevole e giocoso.  

"Il suo, dunque, sarà un lusus  ricco di raffinatezza e di eleganza, pervaso di sottile ironia nei confronti dei predecessori"[37].

"Dopo Catullo, dopo Properzio ciò che colpisce in queste elegie erotiche di Ovidio è l'indebolirsi e lo svanire di un centro assoluto. Catullo e Properzio fondano la loro poesia su un'esperienza vitale e ideale nuova per la letteratura erotica antica: non solo l'eros domina la vita, ma una sola donna dà senso e valore alla vita, ne incide il destino unitario, che può andare oltre la tomba. Catullo vive e canta questa esperienza esaltante; Properzio ne è più consapevole e, oltre a viverla e a cantarla, quasi la teorizza"[38].

 

Amore come dio giocoso appare già in Anacreonte[39] che nel fr. 5 D. rappresenta Eros chiomadoro mentre con una palla purpurea colpisce il poeta, ormai vecchio, e lo invita a giocare con una fanciulla dal sandalo variopinto; il gioco del resto non esclude la tristezza poiché la ragazza di Lesbo critica la chioma già bianca dello spasimante anziano e rimane a bocca aperta davanti a un'altra. Eros che vuole giocare a palla viene ripreso da Apollonio Rodio: nelle Argonautiche, Afrodite promette al figlio che, se farà innamorare Medea di Giasone, gli regalerà una palla fatta di cerchi dorati la quale, lanciata, lascia nell'aria un solco splendente, come una stella (III, v. 141). Allora il fanciullo prega la madre di dargliela subito (v. 148). 

 

Alla fine dell'Ars Amatoria  leggiamo:"Lusus habet finem...Ut quondam iuvenes, ita nunc, mea turba, puellae/inscribant spoliis Naso Magister Erat " (III, 809 e 811-812), il gioco è finito...Come una volta i giovani, così ora le ragazze, mio seguito, scrivano sulle prede "Nasone Fu Il Maestro". Il terzo libro dell’Ars istruiva le ragazze.

Di questo magistero amoroso impartito ai giovani, maschi e pure femmine, il poeta del resto dovrà pentirsi e dolersi: nei Tristia , scritti nell' esilio di Tomi dove finì in perpetuum come relegatus[40], ricorda che duo crimina lo hanno mandato in rovina: carmen et error (II, 207); l'error è uno sbaglio, mai chiarito, nei rapporti del poeta con l'imperatore che ne è rimasto offeso,   e il  carmen  turpe è l'Ars Amatoria  per la quale Ovidio fu accusato di essersi fatto maestro di immondo adulterio:"arguor obsceni doctor adulterii " (Tristia II, 212). Mi aspetto un’accusa del genere poco tempo.

 

 arguor:"questo verbo significa in primo luogo ostendere, patefacere, manifestare[41], e dunque presuppone un processo, in qualche modo, di rivelazioneargumentum dunque è qualcosa che realizza il processo dell'arguere, produce quella rivelazione che il verbo implica…Una buona via per scendere più in profondità nel significato di queste parole è costituita dagli usi dell'aggettivo argūtus che ad arguo è ugualmente correlato. In molti casi infatti l'aggettivo argutus indica ciò che va a colpire i sensi con particolare forza[42]…Parole come arguo, argumentum, argutus, non possono che ricollegarsi a una forma *argus che significa "chiarità" o "chiarezza". Si tratta infatti della stessa radice *arg- che ritroviamo nel greco ajrgov" "chiaro, brillante" e nell'ittita hargi " chiaro, bianco". In latino, da questa stessa radice derivano anche argentum (metallo brillante)  argilla "("terra bianca")   [43]. 

Confinato in quei luoghi di barbarie e di voci animalesche[44], Ovidio disimparava il latino mentre doveva apprendere il getico e il sarmatico. Tuttavia continuava a comporre versi che comunque bruciava:"Exitus est studii parva favilla mei " (II, 62), la fine del mio studio è un poco di cenere.

 Bene avrei fatto, aggiunge, a bruciare anche i tre libri dell'Ars che provocarono la mia rovina:"Sic utinam, quae nil metuentem tale magistrum/Perdidit, in cineres Ars mea versa foret!" (vv. 67-68), magari fosse finita in cenere quella mia Arte la quale ha mandato in rovina il maestro che non temeva niente del genere! 

 

Il lusus dunque si è capovolto in dolore tragico e il lusor in vittima; viceversa nel Macbeth la tragedia dell'assassinio del re diviene parte del grande gioco del potere denunciato dallo stesso assassino:"There's nothing serious in mortality, All is but toys" (II, 3), non c'è più niente di serio nella vita mortale, tutto è un giocattolo. Nella tragedia subito precedente, Re Lear [45], Gloucester cui sono stati strappati gli occhi come vile gelatina (III, 7) attribuisce con sarcasmo un atteggiamento ludico agli dèi monelli:"As flies to wanton boys, are we to the gods, They kill us for their sport ", come mosche per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro passatempo.

 

 Ben diversi però furono gli inizi di Ovidio.

       "La disinvoltura con cui la materia viene trattata indica il distacco che si è consumato nei confronti della precedente esperienza elegiaca. Il protagonista degli Amores [46] è anticonformista, spregiudicato, libertino, impertinente: e poiché non prende sul serio la morale tradizionale romana, e neanche fa dell'amore un mondo di valori nuovi e alternativi rispetto a quelli dominanti nella tradizione e nella società, tutto per lui diventa un lusus  elegante e raffinato. L'esito naturale di questa nuova interpretazione dell'elegia sarà la didascalica amorosa dell'Ars amatoria  e dei Remedia amoris  costruiti per gioco sul modello della poesia didascalica seria, questi trattati si proporranno esplicitamente di insegnare l'uno il codice erotico della società galante, gli altri gli antidoti contro la seduzione insegnata"[47].

 

“Per me l’erotismo è soprattutto cultura, e quindi rituale dello spirito”[48]. Anche per me.

 

Bologna 13 luglio 2023 ore 9, 32 giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] 59 a. C.-17 d. C.

[2] I promessi sposi, XVII.

[3] Intitolato "La religione di Numa".

[4] Del 1885.

[5] I, 3, 33-34. A me tocchi di celebrare i Penati patrii e di offrire incensi mensili all'antico Lare.

[6] W. Pater, Mario l'epicureo , pp. 1-2.

[7] Odi  I, 5, 5. I primi tre libri delle Odi risalgono al 23 a. C.

[8] =artes.

[9] Il secondo libro delle Epistole fu composto tra il 18 e il 13, come l' Ars poetica. Questa e quello contengono temi di critica letteraria.

[10] A. La Penna (a cura di) Orazio, Le Opere, Antologia, p. 268.

[11] Di autenticità non certa, del 380 a. C. ca.

[12]G. B. Conte, Scriptorium Classicum  3, Le Monnier, Firenze, 2001, p. 22.

[13] Crepuscolo degli idoli, pp. 124-125.

[14] Del 44 a. C.

[15] 40 ca.-104 d. C.

[16] L. Totstoj (1828-1910), Anna Karenina (del 1877), p. 80.

[17] M. Proust, I Guermantes, p. 153.

[18]L'uomo senza qualità , p. 87 e p. 91.

[19] = dulces.

[20] Licimnia è Terenzia, la moglie di Mecenate.

[21] = fulgentes.

[22] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 488.

[23] (vv. 17-20), per lei non fu sconveniente muovere il passo alle danze né gareggiare di spirito né porgere le braccia mentre giocava alle vergini eleganti nel giorno sacro a Diana assai festeggiata.

[24] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 488.

[25] Rispetto a Regolo indicato come documentum fidei, documentum patientiae, (De providentia , III, 9) modello di lealtà e resistenza.

[26] De providentia, III, 10. Il trattato fu composto negli ultimi anni di vita del filosofo (4 ca a.C.-65 d. C.)..

[27] Tacito, Annales , III, 55.

[28] Otello (del 1605)  III, 3.

[29] Ode II, 12, vv. 25-28, volge il collo ai baci ardenti, o con affabile crudeltà  nega quelle carezze che godrebbe di lasciarsi strappare più di chi le chiede, e talvolta è la prima a strappare.

[30] Ode I, 9, 23-24,  il pegno strappato alle braccia o al dito che resiste appena.

[31]G. Pasquali, Orazio lirico, p. 489.

[32] La Penna, op. cit., p. 185.

[33] Più licenzioso di Tibullo e Properzio lo definisce Quintiliano ( Institutio oratoria, X, 1, 93) che a proposito delle Metamorfosi lo taccia di adfectatio (IV, 1, 77) come vedremo.

[34]Apollonio Rodio,  Argonautiche , IV,  64.

[35] Eneide, I, 712.

[36] Tristia, IV, 10, 1. Sono cinque libri di elegie scritte tra il 10 e il 12 d. C.

[37]P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica, 1, 156.

[38] A. La Penna, Da Lucrezio a Persio, p. 180.

[39] 570 ca-480 ca. a. C.

[40] Tristia, II, 137.

[41]  Thesaurus linguae latinae, II, 551, 19.

[42] Cfr. Thesaurus linguae latinae, II, 557, 48 sgg,

[43] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 297 e p. 299.

[44] Tristia V, 55:"Omnia barbariae loca sunt vocisque ferinae".

[45] Del 1605

[46]In distici elegiaci. Composti tra il  18 e il 15 a C. in 5 libri, poi rielaborati e ridotti a tre, intorno all'1 a. C.

[47]G. B. Conte, Scriptorium  2, p. 164.

[48] Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, p.1475.

 

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