Medea: l'infelice, fantastica donna oltraggiata[1].
Torniamo alla malafede degli uomini facendoci traghettare a Medea da Ovidio.
Nella XII Epistula delle Heroides questa si chiede perché le piacquero più del giusto ("plus aequo…placuere" ) i biondi capelli (flavi…capilli), la bellezza (decor) del giovane e anche la linguae gratia ficta (vv. 13-14), il fascino ingannevole della lingua.
L'eroe postclassico infatti non manifesta le sue migliori qualità nella pratica dell'agire, ma piuttosto nell'arte della parola, del persuadere, dell'ingannare.
Quindi la madre furente rimpiange la non avvenuta morte di Giasone esclamando:"Quantum perfidiae tecum, scelerate, perisset! " (v. 21), quanta perfidia, scellerato, sarebbe morta con te!
Anche "l'infelice oltraggiata" Medea di Euripide, " Mhvdeia d j hJ duvsteno" hjtimasmevnh-boa'/ me;n o{rkou" , ajnakalei' de; dexia'"-pivstin megivsthn, kai; qeou;" martuvretai-oi{a" ajmoibh'" ejx jIavsono" kurei'" (vv. 20-23), rinfaccia con grida i giuramenti, reclama il sommo impegno della mano destra, e chiama gli dèi a testimoni di quale contraccambio ella riceva da Giasone.- hjtimasmevnh: è part. perfetto medio da ajtimavzw, disonoro. Questo verbo è formato sulla radice tim- che si trova in timhv =onore. Si ricordi come nell’Iliade il grande dolore e sdegno di Achille derivi dal fatto che la sua ajrethv non ha ricevuto la timhv meritata quando Agamennone gli ha sottratto Briseide.
Medea per certi versi è accostabile ad Achille anche come sua sposa: Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, Era, chiedendo l’aiuto di Teti per il passaggio degli Argonauti sulla via del ritorno tra le Plancte poi Scilla e Cariddi e afferma che è destino di Achille, una volta arrivato ai campi Elisi, sposare la figlia di Eeta Medea (4, 814): “su; d j a[rhge nuw/', eJkurhv per ejou'sa” (4, 815), tu aiuta tua nuora, poiché sei appunto sua suocera.
Torniamo alla tragedia di Euripide, quando la nutrice afferma che Medea si è accorta di aver subìto torto (h/[/sqet j hjdikhmevnh, 26).
Abbiamo avvicinato questa donna oltraggiata a Nastasja Filippovna dell'Idiota di Dostoevkij. Questa, una giovane donna bella, intelligente e fuori dal comune, odiava Totzkij, l'uomo ricco e potente che l'aveva sedotta, e disonorata da adolescente, quindi la manteneva nel lusso. Egli ne aveva paura.
"Totzkij ricordava che anche prima aveva avuto momenti in cui gli erano balenati alla mente strani pensieri, osservando, per esempio, gli occhi della fanciulla: vi si presentivano tenebre profonde e misteriose. Quello sguardo pareva un enigma vivente…trascorsero cinque anni di quella vita a Pietroburgo, e si capisce che nel corso di quel tempo molte cose si precisarono. La posizione di Totzkij non era delle più invidiabili; il peggio era che, essendosi lasciato spaventare una volta, ormai non poteva più ritrovare la tranquillità. Aveva paura, senza poter precisare con sicurezza di che cosa; aveva semplicemente paura di Nastasja Filippovna". Il seduttore si rese conto che la donna non tendeva nemmeno a farsi sposare da lui:"Gli sembrava possibile una sola spiegazione, e cioè che l'orgoglio illimitato di quell'oltraggiata e fantastica donna era giunto a tal punto di pazzia, ch'egli preferiva esprimergli una volta di più il proprio disprezzo col rifiuto, che consolidare per sempre la sua posizione, entrando a far parte d'un ceto sociale addirittura insperato per lei. Il peggio, in tutto ciò, era che Nastasja Filippovna aveva decisamente preso il sopravvento"[2].
Più avanti Medea rinfaccia direttamente a Giasone di avere fatto svanire la fede nei giuramenti:" o{rkwn de; frouvdh pivsti" " (Medea, v. 492).
Essere fedele è predicato dei numi e dei loro discendenti:"qew'n pisto;n gevno" " (Pindaro, Nemea X , v. 54), fida è la stirpe degli dèi. La lealtà è predicato di nobiltà.
La protagonista del dramma euripideo viene definita da Snell "una donna non comune, di sinistra potenza" e di fronte alla quale il saggio e benpensante Giasone non è che un miserabile"[3].
Il contrasto tra i due viene interpretato politicamente e in maniera ancora molto attuale da P. P. Pasolini che fece una Medea cinematografica.
In una intervista a J. Duflot il regista dichiara che nel suo film ha voluto mettere in evidenza il contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti...Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione...Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo...Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irrudicibilità reciproca delle due civiltà...potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[4]".
La nipote del sole è stata tradita e abbandonata, come si sa, e lamenta la rottura del vincolo coniugale da parte del marito: O grande Temi e Artemide signora/vedete quello che patisco, pur avendo legato/con solenni giuramenti /quell'esecrabile sposo? ("megavloi" o{rkoi"-ejndhsamevna to;n katavroton-povsin ;"vv. 161-163).-o{rko" è imparentato etimologicamente con ei{rgw, "chiudo" e con e{rko" , recinto, poiché il giuramento comporta l'innalzamento di barriere che precludano determinate esperienze.
{{Orko" fu generato da [Eri" , assistita dalle Erinni, come punizione per gli spergiuri ( Esiodo, Opere, vv. 803-804) e per giunta è in rapporto diretto con Zeus ( Edipo a Colono, v.1767:"cwJ pavnt jajivwn Dio;" {Orko"" e il giuramento che tutto ode, figlio di Zeus) il dio supremo il quale garantisce la santità e l'inviolabilità della giustizia. Chi parla sotto giuramento è o{rkio" ed entra nell'ambito del sacro.
La giustizia viene menzionata, evocata e invocata più volte da Medea: la donna oltraggiata, appena compare in scena, dice:" Giustizia infatti non sta negli occhi dei mortali, (Divkh ga;r oujk e[nest' ejn ojfqalmoi'" brotw'n)/se uno, prima di avere conosciuto bene gli affetti di un uomo/lo odia solo per averlo visto, senza averne ricevuto offesa alcuna".
Medea contrappone la Giustizia all'utile di Giasone.
"Euripide mette accuratamente in rilievo che Medea è totalmente sciolta dai legami che proteggono l'individuo e gli possono dar sostegno. Essa ha tradito e abbandonato patria e famiglia per un legame del tutto personale: l'amore che l'univa a Giasone. Giasone non compie nessuna ingiustizia di fronte alla convenzione o alla legge, ma in favore di Medea parla un diritto più alto: il diritto naturale e umano. Essa non può valersi di nessun diritto valido, non può nemmeno appoggiarsi a una legge divina come l'Antigone di Sofocle, per controbattere le ragioni di Giasone. Il suo senso personale di giustizia si ribella, e in lei, la barbara, erompe in forma passionale. Giasone potrà dimostrare che la sua azione è stata saggia e vantaggiosa per entrambi, ma di fronte a questo più profondo e (secondo quanto lascia intendere Euripide stesso) più vero senso di giustizia, la sua figura ci appare assai meschina"[5].
La mentalità arcaica di Medea si vede nelle sue preghiere antiche, nel suo invocare la Giustizia figlia di Zeus e la luce del sole (v. 764). Nel film di Pasolini che impiega, verbum de verbo, solo questo verso della tragedia di Euripide, e per tre volte da parte di Medea per giunta echeggiata dal Coro[6], il centauro rileva " il suo disorientamento di donna antica in un mondo che ignora ciò in cui lei ha sempre creduto". Il culto del sole è un tratto arcaico che attraversa molti autori della letteratura europea[7]. Nella Medea di Pasolini il sole invitto invita Medea a tornare nelle sue "vecchie spoglie". Questo suo arcaismo la differenzia dal popolo civilizzato di Corinto della cui intolleranza nei confronti di tale diversità il re si fa portavoce:"E' noto a tutti in questa città che, come barbara, venuta da una terra straniera, sei molto esperta nei malefici. Sei diversa da tutti noi: perciò non ti vogliamo tra noi"[8].
Una Medea che conosce la carità è quella di Christa Wolf. Si vede bene da un monologo di Acamante, l'astrologo di corte del re di Corinto. "Giacché tutto dipende da che cosa si vuole davvero e da che cosa si considera utile, dunque buono e giusto. Questa frase Medea non la contestò del tutto, respinse solo quell'importante e centrale "dunque". Ciò che era utile non doveva necessariamente essere buono. Dèi! Come ha tormentato me e soprattutto se stessa con quella parolina "buono"! Si affannava a spiegarmi quel che, a quanto pare, intendevano con buono in Colchide. Buono era ciò che favoriva il dispiegamento di tutto l'esistente. Dunque la fertilità, dissi. Anche, disse Medea, e cominciò a parlare di certe forze che legavano noi umani a tutti gli altri esseri viventi e che dovevano fluire liberamente perché la vita non ristagnasse"[9].
Torniamo alla tragedia di Euripide il cui discorso è forse meno sofisticato di quello del regista. Qui le chiusure e i vincoli dei giuramenti non bastano poiché il legame (desmov") di fedeltà non allaccia il cuore dell'uomo che pensa solo all'utile.
Gli déi non rispondono poiché Medea ha fatto lo sbaglio di fidarsi di un mascalzone, e gli errori si pagano.
Del resto lei ha tradito il padre e ammazzato il fratello. Il coro più avanti lamenta che è generale la caduta del rispetto dei giuramenti:"bevbake d j o{rkwn cavri" " (439) e non rimane il ritegno (aijdwv" ) nella Grecia.
Ma tra i due amanti-antagonisti il personaggio odioso senz'altro è Giasone:"Medea si rivela fin dal principio come una donna non comune, di sinistra potenza, e di fronte ad essa il saggio e benpensante Giasone non è che un miserabile. Questa raffigurazione che Euripide ci dà dell'eroe del mito greco e della maga barbara, distribuendo luci ed ombre proprio all'opposto di come accadeva nella veneranda tradizione, ci permette di capire perché Aristofane rimproverasse al poeta di aver gettato nel fango le nobili figure del mito. Ma Euripide non lo fa per l'infame piacere di demolire ogni grandezza, al contrario (e qui Nietzsche ha visto più a fondo di Aristofane e di Schlegel) lo fa con un'intenzione morale: le credenze antiche vengono smascherate e demolite, ma per far posto a un senso di giustizia più vero e per porre un fondamento a questo nuovo dovere. E chi potrà sottrarsi all'impressione che questa Medea non abbia davvero la ragione dalla sua, di fronte a questo Giasone?"[10].
Personalmente credo che questo epiteto di “miserabile” si debba riferire anche al “pius” Enea per i suoi rapporti con Didone. Lo rileva Ovidio che ricorda Enea tra gli amanti infedeli: il progenitore di Cesare causò la morte di Didone; e tuttavia egli "famam pietatis habet " (Ars III 39): giocosa polemica con Virgilio che aveva giustificato il suo pio eroe. Augusto fece pagare al poeta di Sulmona la parresia antiregime.
Vediamo qualche parola di Snell su A. W. Schlegel che nel 1808 "tenne il suo corso sull'arte drammatica e sulla letteratura. Non poteva esimersi (così egli disse) dal muovere molte e severe critiche all'arte di Euripide. Euripide, secondo lui, promuove "il libero pensiero nella morale"; "egli non tende a rappresentare una stirpe d'eroi elevantesi per possente statura al di sopra degli uomini del presente, si sforza al contrario di colmare l'abisso che separa i suoi contemporanei da quel mondo meraviglioso, e spia gli dèi e gli eroi negli aspetti della loro vita intima. E di fronte a questa indiscrezione, come si dice, non c'è grandezza che resista". "Pare che Euripide si compiaccia di ricordare continuamente ai suoi spettatori: guardate, anche costoro erano uomini, avevano le stesse vostre debolezze, agivano secondo i vostri stessi impulsi, proprio come il più umile dei mortali. E' per questo che egli si compiace di mettere a nudo i difetti morali dei suoi personaggi, e glieli fa anzi mettere in mostra nel corso di ingenue confessioni. Non di rado, essi non sono soltanto volgari, ma se ne vantano addirittura, quasi fosse un dovere esser tali…Schlegel dunque-riassumiamo-accusa Euripide di essere realista, razionalista e immoralista. Sono le medesime accuse che gli muoveva Aristofane, e Schlegel stesso lascia chiaramente intendere che il suo giudizio deriva da Aristofane. Sono motivi che ritornano nello scritto giovanile di Nietzsche: La nascita della tragedia"[11].
Il dolore del parto è uno dei loci ricorrenti nella letteratura antica e moderna. Voglio dare un esempio tratto da ciascuna delle due:
“Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io preferirei stare
tre volte accanto a uno scudo che partorire una volta sola" (Medea, vv. 248-251. Sono parole che la protagonista rivolge alle donne di Cointio.
In Anna Karenina di Tolstoy, Levin entra nella stanza da letto della giovane moglie Kitty temendo che muoia avendola sentita urlare :" La faccia di Kitty non c'era più. Al posto dov'era prima, c'era qualcosa di terribile e per l'aspetto di tensione e per il suono che di là usciva. Egli lasciò cadere la testa sul legno del letto, sentendo che il cuore gli si spezzava. L'orribile urlo non taceva, si era fatto ancora più orribile, e, come se fosse arrivato all'ultimo limite dell'orrore, a un tratto si spense" (p. 720).
Bologna 4 luglio 2023 ore 11, 30 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Dostoevskij nell'Idiota (1868-1869) definisce Nastasja Filippovna "quell'oltraggiata e fantastica donna" (p. 55). La nutrice della Medea di Euripide la chiama "hJ duvsteno" hjtimasmevnh" (v. 20), l'infelice oltraggiata.
[2] F. Dostoevskij, L'idiota, pp. 54-55.
[3]La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 178.
[4]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita , Einaudi, Torino 1989.
[5] B. Snell, B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 178.
[6] Nella scena 72.
[7] Ho fatto un'ampia scheda sul culto del sole nella mia Antigone (Loffredo, 2001, pp. 48-51).
[8] Scena 66.
[9] Medea, p. 116.
[10] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 178-179.
[11] B, Snell, Op. cit, p. 172 ss.
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