NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

lunedì 31 luglio 2023

Giri clistici nell’Ellade. II parte

Nel traghetto non abbiamo trovato una cabina libera e ci siamo adattati a dormire stesi per terra dentro un sacco a pelo per difenderci dal freddo mefitico dell’aria condizionata.
 Dopo la notte passata con tanta pietà, la mattina del 18 luglio le membra erano dolenti e il cervello mal riposato.
 

Seguito la contaminatio con il viaggio del 1978
Il sogno sul traghetto

La notte tra il 19 e il 20 agosto del 1978, mentre dormivamo nell’angusta cabina che solcava le onde dell’abisso salato, feci un sogno angoscioso.
Io e Ifigenia ci amavamo con passione impetuosa. A un tratto, dalla mia bocca uscirono schizzi di calce viva che in breve tempo corrosero gli occhi della ragazza lasciandole due buchi profondi fin dentro la testa. Ifigenia mi rimproverava con un singhiozzo; poi, senza ascoltare le mie invocazioni, indossato un mantello, si allontanava incamminandosi per una via deserta, sorvolata da uccelli strani, mai visti, che schiamazzavano con fragore cattivo, si agitavano rabbiosamente e sembravano volere qualche cosa con furibonda violenza: infatti, a un tratto, si lanciarono addosso alla fanciulla già orbata e presero a beccarla sulla testa, nel volto, sulle piccole mani protese in un tentativo di vana difesa; altri si diedero a duellare squarciandosi i petti a vicenda, altri si laceravano il corpo da soli con il becco aguzzo, oppure scagliandosi contro pezzi acuminati di ferro. Dopo qualche minuto Ifigenia, non potendo difendersi dai colpi di quei rostri furenti, si mise a scappare con tutte le forze che le rimanevano; allora il mantello le cadde di dosso, e il suo splendidissimo corpo apparve più luminoso che mai sotto la testa sconciata da quelle bestie pazze e crudeli. La vedevo correre nuda, veloce, lontana dagli uccelli assassini e speravo che, perduta la testa, potesse salvare almeno il corpo splendente; ma ecco che, invece, la carne delle braccia tornite, del collo liscio, del florido seno, delle cosce morbide, profumate e lucenti, cominciò a liquefarsi, a gocciolare, non come un sudore acquoso, bensì come un grasso opaco, denso, biancastro che scivolava copiosamente nel suolo impregnandolo e fertilizzandolo. In poco tempo la polpa del corpo si ridusse a una povera buccia grinzosa, quindi venne annientata da quello struggimento crudele: dalle gocce cadute a terra però spuntarono piccole rose rosse, socchiuse da foglie lucenti, sorrette da gambi diritti e sottili, umide di fresca rugiada, illuminate da un sole mattutino e primaverile: nitide di verginale bellezza. Cercai di coglierne una per tenderla a Ifigenia e dirle: “Tu per me sei ancora simile a questa”. Ma il gambo era di ferro e non riuscivo a spezzarlo. Intanto la mia  
amante, ridotta allo scheletro solo, si era fermata in mezzo al giardino nato dalla sua carne versatasi completamente nel suolo. Finalmente rivolse la testa dalla mia parte e mi fissò con le occhiaie, manifestando immenso rimpianto delle sue membra liquefatte e del nostro amore sconciato. Io volevo avvicinarmi alla miseranda figura per consolarla: con la mano destra cercavo di accarezzare il povero teschio, con la sinistra indicavo il variopinto giardino nato dal suo struggimento; ma Ifigenia, prima che potessi toccarla, disse con un filo di voce: “Lascia perdere, amore. Non vedi che sono già morta?”

Mi svegliai con stanchezza e dolore. Il Signore di Delfi, che, devoti, andavamo a pregare, mi aveva mandato una visione notturna dal contenuto latente facile da svelare: volevo la morte della mia compagna o per lo meno un suo rinnovamento. Così com’era non potevo più tollerarla. Mi posi gli occhiali sul volto e cominciai a scrivere il sogno mentre l’odiata-amata compagna dormiva ancora. Una volta non avrei aspettato il suo risveglio senza mettermi le lenti a contatto: a lei con gli occhiali non piacevo punto, e a me non piacerle sembrava il peccato più deprecabile: peggiore della stupidità, della volgarità e del crimine stesso. Infatti quando si svegliò e mi vide con gli occhi invetriati, intuì che non stavo annotando pensieri propizi. Mi guardò un momento, poi disse a bruciapelo che non avrebbe più fatto l’amore con me poiché le confondeva la mente.

 
Pesaro 31 luglio 2023 ore 17, 09 
giovanni ghiselli

p. s.
Statistiche del blog
Sempre1393330
Oggi85
Ieri110
Questo mese6790
Il mese scorso26522

Nessun commento:

Posta un commento