Percorso amoroso.
L’infelicità dell’amante non corrisposto che è miser.
La donna fascinosa, talora licenziosa, e l’affidabile mogliettina
Nell'Orlando furioso (1532) il personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice biasima, "catullianamente", l'instabilità e la perfidia delle donne e si definisce miser chi crede nella loro fedeltà:" Oh feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente,/contrario oggetto a quello della fede!/Oh infelice, oh miser chi ti crede!" (27, 117).
Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato.
Nel carme del discidium (8), miser è la prima parola che qualifica l'autore ( Miser Catulle, v. 1) quale amante infelice poiché tradito.
Miser è comunque chi cade vittima della passione d'amore : lo è Catullo stesso quando è affascinato da Lesbia nel carme 51:" :"misero quod omnis[1] / eripit sensus mihi " (51, vv. 5-6) il che a me infelice porta via tutti i sensi.
Il poeta potrebbe smettere di essere miser solo allontanandosi dalla donna che ama:"Quin tu animo offirmas atque istinc teque reducis/et deis invitis desinis esse miser? (76, vv. 11-12) perché tu non ti irrobustisci nel carattere e non ti ritrai di qui/e non smetti di essere infelice contro la volontà degli dei?.
Ma deporre d'un tratto un lungo amore è difficile (difficile est longum subito deponere amorem, v.14) poiché questo è diventato come una peste o un cancro, malattie dalle quali non si guarisce senza l'aiuto degli dèi:"O di, si vestrum est misereri, aut si quibus umquam/extremam iam ipsa in morte tulistis opem,/me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,/eripite hanc pestem perniciemque mihi,/quae mihi subrepens imos ut torpor in artus/expulit ex omni pectore letitias" (vv. 17-22), O dei, se vostre forza è avere misericordia, o se ad alcuni mai/portaste l'estremo aiuto già dentro la morte stessa,/guardate me disgraziato e, se ho passato la vita senza tradire,/strappatemi questa peste e rovina,/che strisciando, come paralisi, in fondo alle mie membra,/ha cacciato da tutta l'anima la gioia di vivere. Pestem perniciemque in nesso allitterante significano la rovina totale. Pernicies è imparentata etimologicamente con neco, uccido, nex, uccisione, noceo, nuoccio, nonché con le parole greche nekrov" , nevku" , morto, nevkuia, evocazione dei morti.
L'infelicità dell'amore deluso dunque ha la forza negativa di una malattia mortale ed è necessario liberarsi da quel morbo deleterio , e dalla donna, per salvarsi la vita:"Non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,/aut (quod non potis est) esse pudica velit;/ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum./O di, reddite mi hoc pro pietate mea" (vv. 23-26) Non chiedo più quel miracolo, che quella là contraccambi il mio affetto,/o (cosa di cui non è capace) che voglia essere pudica;/io desidero stare bene e mettere via questo male oscuro./O dei, datemi questo in cambio della mia devozione.
Invero una infelicità amorosa altrettanto grave può riguardare anche le donne poiché l'amore è sempre insidiato da un fondo di inquietudine: chi ama è vittima della passione che lo assoggetta, e in quanto tale è infelice
Misera è Arianna abbandonata da Teseo (numerose sono le ricorrenze nel carme 64 di Catullo).
La Didone di Virgilio, poco dopo che ha visto Enea è già "infelix pesti devota futurae" (Eneide, I, 712), disgraziata, consacrata alla rovina imminente: infatti dopo un altro po’ di tempo moriva " misera ante diem" (IV, 697), disgraziata prima del suo giorno, come vedremo meglio più avanti.
La sposa desiderabile da uomini gelosi si può definire la buona moglie casalinga silenziosa, non truccata da contrapporre alla donna libera.
La ragazza deve essere sposata quando è ancora molto giovane dall'uomo già adulto perché questo possa educarla, o addirittura addomesticarla. E' una posizione già presa dal protomisogino Esiodo il quale consiglia il matrimonio con una vergine sui diciassette anni all'uomo circa trentenne perché, precisa, tu possa insegnarle onesti costumi:"wJv" k& h[qea kedna; didavxh/"" (Opere , v. 699).
Altrettanto pensa di fare lo Zeno di Svevo, quando decide di prendere moglie e, rifiutato da Ada, ripiega sulla sorella minore Alberta, ricordando una raccomandazione di suo padre:"Scegli una donna giovine e ti sarà più facile di educarla a modo tuo".[2]
Alberta non lo vorrà ma Zeno pur sposando la meno attraente delle sorelle, fa il matrimonio adatto o adattato al suo carattere :"Ora non avrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera moglie, solo per vederla intenta al suo lavoro di formica assidua, mentre metteva in salvo le nostre cose in un'atmosfera di canfora e di naftalina"[3].
Il tovpo" della moglie non necessariamente bella, ma virtuosa, e per questo motivo amabile, o per lo meno sopportabile, si trova alla fine del IV libro del poema di Lucrezio :"Nec divinitus interdum Venerisque sagittis/deteriore fit ut forma muliercola ametur. /Nam facit ipsa suis interdum femina factis/morigerisque modis et munde corpore culto,/ ut facile insuescat <te> secum degere vitam./Quod superest, consuetudo concinnat amorem;/nam leviter quamvis quod crebro tunditur ictu,/vincitur in longo spatio tamen atque labascit./ Nonne vides etiam guttas in saxa cadentis/umoris longo in spatio pertundere saxa? " (vv. 1278-1287), non per volontà degli dèi talvolta o per le frecce di Venere accade che sia amata una donnetta di aspetto meno attraente.
Infatti la stessa femmina umana talvolta con il suo agire e con i modi docili, e con il corpo gradevolmente elegante, fa in modo di abituarti facilmente a passare la vita con lei.
Del resto la consuetudine concilia l'amore; infatti ciò che viene battuto sia pur leggermente con colpi frequenti, è vinto comunque a lungo andare e si lascia piegare. Non vedi che anche le gocce stillanti sulle rupi con un lungo gocciare trapassano le rupi?
Torneremo sul IV canto del De rerum natura ma possiamo già notare con Dionigi che questa chiusa presenta un "evidente e non meno sorprendete cambiamento di registro. Infatti dopo aver condannato con asprezza e sarcasmo l'amore come affanno (v. 1060), sofferenza (vv. 1068-1072), furore (vv. 1079-1083; cfr. 1117), spersonalizzazione(vv. 1121 sg.), amarezza (v. 1134), rimorso (v. 1135), gelosia (v. 1139 sg.), cecità (v. 1153), miseria (v. 1159) e umiliazione (vv. 1177-1179), Lucrezio riesce anche a ipotizzare l'amore sincero, gioioso e vicendevole (vv. 1192-1208), e il dolce sentimento della paternità (vv. 1253-1256), fino a cogliere-come in questi versi (vv. 1280-1283)- l'intimità e una sorta di malinconica tenerezza"[4].
Il tovpo" della moglie non necessariamente bella, ma virtuosa, e per questo motivo amabile, o per lo meno sopportabile, si trova alla fine del IV libro del poema di Lucrezio :"Nec divinitus interdum Venerisque sagittis/deteriore fit ut forma muliercola ametur../Nam facit ipsa suis interdum femina factis/morigerisque modis et munde corpore culto,/ ut facile insuescat <te> secum degere vitam./Quod superest, consuetudo concinnat amorem;/nam leviter quamvis quod crebro tunditur ictu,/vincitur in longo spatio tamen atque labascit./ Nonne vides etiam guttas in saxa cadentis/umoris longo in spatio pertundere saxa? " (vv. 1278-1287), non per volontà degli dèi talvolta o per le frecce di Venere accade che sia amata una donnetta di aspetto meno attraente. Infatti la stessa femmina umana talvolta con il suo agire e con i modi docili, e con il corpo gradevolmente elegante, fa in modo di abituarti facilmente a passare la vita con lei. Del resto la consuetudine concilia l'amore; infatti ciò che viene battuto sia pur leggermente con colpi frequenti, è vinto comunque a lungo andare e si lascia piegare. Non vedi che anche le gocce stillanti sulle rupi con un lungo gocciare trapassano le rupi?
Torneremo sul IV canto del De rerum natura ma possiamo già notare con Dionigi che questa chiusa presenta un "evidente e non meno sorprendete cambiamento di registro. infatti dopo aver condannato con asprezza e sarcasmo l'amore come affanno (v. 1060), sofferenza (vv. 1068-1072), furore (vv. 1079-1083; cfr. 1117), spersonalizzazione(vv. 1121 sg.), amarezza (v. 1134), rimorso (v. 1135), gelosia (v. 1139 sg.), cecità (v. 1153), miseria (v. 1159) e umiliazione (vv. 1177-1179), Lucrezio riesce anche a ipotizzare l'amore sincero, gioioso e vicendevole (vv. 1192-1208), e il dolce sentimento della paternità (vv. 1253-1256), fino a cogliere-come in questi versi (vv. 1280-1283)- l'intimità e una sorta di malinconica tenerezza"[5].
Bologna 15 luglio 2023 ore 9, 49. giovanni ghiselli.
p. s.
Domani partirò per la Grecia con un’amica e un amico se il traghetto ci prenderà. Torneremo alla fine del mese e riprenderò subito questo mio lavoro.
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