venerdì 27 marzo 2020

Il topos letterario della vita come ombra o sogno. Da Pindaro a Pirandello.





Prendo spunto da un articolo di Tomaso Montanari : Tieopolo L’ultimo dei giganti (il venerdì di Repubblica, 27 marzo 2020, pp. 94-97).

Pindaro chiama l'uomo "sogno di ombra" (skia'" o[nar/a[nqrwpo"", Pitica VIII, vv. 95-96 ).

Nell'Aiace di Sofocle, Odisseo esprime la convinzione che l'ombra sia la quintessenza dell'uomo e manifesta la compassione del poeta per tutte le creature umane cadute sulle spine della vita:"oJrw' ga;r hJma'" oujde;n o[nta" a[llo plh;n--ei[dwl j o{soiper zw'men h] kouvfhn skiavn", io infatti vedo che non siamo se non immagini quanti viviamo, o inconsistente ombra (Aiace, vv.125-126).
Pulvis et umbra sumus”, polvere e ombra siamo, ricorda Orazio (Odi, IV, 7, v. 16).

Prospero in La tempesta [1] di Shakespeare afferma:" we are such stuff-as dreams are made on; and our little life –is rounded with sleep” (IV, 1), noi siamo fatti co,n la materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"( Quindi il duca si avvia con la mente alla sua Milano "dove un pensiero su tre, sarà la tomba" (V, 1).

Nel Macbeth il protagonista dice:"Life's but a walking shadow " (V, 5), la vita non è che un'ombra che cammina.

 Nel Seicento questa idea va di moda, tanto che  Calderòn de la Barca intitola il suo capolavoro (del 1635) La vita è sogno, e, nel corso del dramma (I, 2), scrive:" il delitto maggiore dell'uomo è essere nato".

  Vediamo anche un sonetto di Pietro Metastasio che mi viene suggerito da un bell’articolo di Tomaso Montanari su “il venerdì di Repubblica”  del 27 marzo 2020

Sogni e favole io fingo (1733)


Sogni e favole io fingo; e pure in carte

mentre favole e sogni orno e disegno,
in lor, folle ch’io son, prendo tal parte,
che del mal che inventai piango e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m’inganna l’arte,
più saggio io sono? È l’agitato ingegno
forse allor più tranquillo? O forse parte
da più salda cagion, l’amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch’io canto o scrivo
favole son: ma quanto temo o spero,
tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
fa’ ch’io trovi riposo in sen del Vero.
L’articolo di Montanari è intitolato Tiepolo l’ultimo dei Giganti e accosta il pittore al poeta contemporaneo. Riporto alcune parole dell’autore che si confanno a questa mia breve rassegna del topos “La vita è sogno”
“Tutto è sogno, la realtà stessa lo è: e l’arte, in un’inversione fatale, rischia di essere l’unica cosa vera. La morale di questo celebre sonetto di Pietro Metastasio è molto simile a quella del suo contemporaneo Giovan Battista Tiepolo. Un’arte ineffabile, indecifrabile, ambigua quella di Tiepolo: come l’espressione delle sue sante, in cui “si legge chiaramente il dolore … misto con piacere”, come notava il suo amico Francesco Algarotti, gran conoscitore di pitture. (…) Ha scritto Adriano Mariuz (…) che Tiepolo ha dipinto “un mondo: un mondo in cui trovano posto mitologia, allegoria, religione: che proprio allora venivano attaccate dal pensiero del razionalismo dominante. Egli si è avvalso di quel razionalismo ormai frusto per affermare, come per sfida, i diritti della fantasia: per celebrare i poteri dell’arte, che nella sua sfera accoglie quanto sta per essere travolto dai tempi, rifiutato dalla storia. Dalla grande deriva del Barocco, Tiepolo ha suscitato la visione luminosa di uno spazio ritrovato, consentendoci di contemplare gli dèi come se fossero ancora tra noi”
Uno spazio ritrovato: proprio come il tempo inseguito da Marcel Proust, che tanto amava il color “rosa Tiepolo”. Ma non tutto è roseo in Tiepolo, non ci sono solo gli dèi, le sue nerissime incisioni parlano di un mondo sotterraneo e misterioso, pieno di demoni che siamo ancora ben lontani dal riuscire a comprendere  fino in fondo. Perché, ormai l’abbiami imparato, “tutto è menzogna, e delirando io vivo!/Sogno della mia vita è il corso intero” (Tomaso Montanari, “il venerdì di Repubblica”, pp. 94-97


Sentiamo dunque  Proust:"Ci si accanisce a cercare i rottami inconsistenti d'un sogno, e intanto la nostra vita con la creatura amata continua: la nostra vita, distratta dinanze a cose di cui ignoriamo l'importanza per noi, attenta a quelle che forse non ne hanno, succube di esseri senza nessun rapporto reale con noi, piena di oblii, di lacune, di ansietà vane; la nostra vita simile a un sogno" (La prigioniera, Vita comune con Albertine,  p. 147).

Concludo con Pirandello

Il fu Mattia Pascal resuscitatosi quale Adriano Meis passeggia per Roma e  riflette sulla propria ombra: “Uscii di casa, come un matto. Mi ritrovai dopo un pezzo per via Flaminia, vicino a Ponte Molle. Che ero andato a far lì? Mi guardai attorno; poi gli occhi mi s’affissarono su l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla; infine alzai un piede rabbiosamente su essa. Ma io no, non potevo calpestarla, l’ombra mia. Chi era più ombra di noi due? Io o lei? Due ombre! Là, là per terra; e ciascuno poteva passarci sopra: schiacciarmi la testa, schiacciarmi il cuore: e io, zitto, l’ombra, zitta. L’ombra d’un morto: ecco la mia vita (…) Ma sì! Così era! Il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero io, là per terra, esposto alla mercè dei piedi altrui. Ecco quello che restava di Mattia Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra per le vie di Roma. Ma aveva un cuore quell’ombra, e non poteva amare, aveva denari, quell’ombra, e ciascuno poteva rubarglieli; aveva una testa, ma per pensare e comprendere ch’era la testa di un’ombra e non l’ombra di una testa” (Il fu Mattia Pascal , capitolo XV. Io e l’ombra mia)
giovanni ghiselli


[1] Del 1612.

1 commento:

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