martedì 3 marzo 2020

Il virus e il lucro

E’ la smania del profitto che porta veleni, infelicità e talora pure la morte all’uomo incontentabile.

Seneca nel De ira ricorda che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città: "reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentu mque in cinere urbium scrutentur" (III, 33, 1). Costoro sono infelici e rendono infelici molti altri esseri umani e violentano la natura per giunta.

Nel primo coro dell'Agamennone di Seneca le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie: "quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus" (Agamennone, vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.

Sentiamo Massimo Cacciari: "Questa colpa è iscritta tragicamente nella costituzione del nostro esserci, fino a farci apparire gli infelicissimi tra tutti i viventi. Dirà l’amarissimo porco incontrato dall’Asino machiavellico (Asino d’oro, che attraverso la sofferenza viene iniziato al duro sapere, non afflitto dalla ‘asinità’ bruniana): “Non basta quel che ’n terra si ricoglie, /ché voi entrate a l’Oceano in seno/ per potervi saziar de le sue spoglie” (L’Asino, VIII, vv. 100 - 102). La nostra natura è la vera matrigna, la sua ontologica stultitia che mai ti rende di alcuna natura contento né sazio”. Questa colpa è iscritta tragicamente nella costituzione del nostro esserci, fino a farci apparire gli infelicissimi tra tutti i viventi” ( La mente inquieta. Saggio su l’Umanesimo, capitolo  quarto, p. 58).

Ora leggiamo la conclusione del porco nell’Asino d’oro Machiavelli.
Dice dunque il porco dell’uomo
“Nessun altro animal si trova ch’abbia
Più fragil vita e di viver più voglia,
più confuso timore o maggior rabbia.
Non dà un porco a l’altro porco doglia,
l’un cervo a l’altro; solamente l’uomo
l’altr’uomo ammazza, crocifigge e spoglia.
Pens’or come tu vuoi ch’io ritorni uomo,
sendo di tutte le miserie privo,
ch’io sopportava nentre che fui uomo
E s’alcuno infra gli uomin ti par divo
Felice e lieto, non gli creder molto.
Ché in questo fango più felice vivo,
dove senza pensier mi bagno e volto” (L’asino d’oro, VIII vv.139 - 151)
Sicché il maiale che è stato uomo non vuole tornare a esserlo.

 Rileggiamo anche  Parini il quale scrive contro una aristocrazia che stava perdendo la sua funzione e il suo potere come ora sta accadendo alla piccola borghesia:
“e ben fu dritto
Se Cortes e Pizzarro umano sangue
Non istimar quel ch’oltre l’Oceàno
Scorrea le umane membra, onde tonando
E fulminando, alfin spietatamente
Balzaron giù da’ loro aviti troni
Re Messicani e generosi Incassi;
poiché nuove così venner delizie,
o gemma de gli eroi, al tuo palato!" ( Il Giorno, Il Mattino,vv 149 - 157)

Concludo citando Leopardi:
“…coverte
Fien di stragi l’Europa e l’altra riva
Dell’atlantico mar, fresca nutrice
Di pura civiltà, sempre che spinga
Contrarie in campo le fraterne schiere
Di pepe o di cannella o d’altro aroma
Fatal cagione, o di melate canne
O cagion qual si sia ch’ad auro torni” (Palinodia al Marchese Gino Capponi”, 61 - 68).

Il Recanatese è il Momus  della sua età e si sente superiore ad essa
“Di questa età superba
che di vote speranze si nutrica,
vaga di ciance e di virtù nemica
tolta, che l’util chiede
e inutile la vita
quindi più sempre divenir non vede
maggior mi sento”
”  (Il pensiero dominante , vv 61 - 65).

Ma la conclusione è quella della Ginestra che invita gli uomini alla solidarietà:
“Nobil natura è quella
Che a sollevar s’ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato,
e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir[1], négli odi e l’ire
fraterne ancor più gravi
d’ogni altro danno, accresce
alle miserie sue
 (…)
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune (La ginestra, vv. 111 e ss.)

giovanni ghiselli



[1] Nell’Asino d’oro  leggiamo  “si debbe a’ colpi de la sua fortuna - voltar il viso di lagrime asciutto” (86 - 87).

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