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“La via indicata da Tacito per servire bene la patria sotto i tiranni ed evitare nello stesso tempo l’abrupta contumacia e il deforme obsequium doveva apparire l’unica giusta a molti intellettuali di rilievo, convinti ormai della necessità della monarchia, anche quando conservavano qualche traccia del repubblicanesimo umanista… Come grandi esempi di vita operosa e gloriosa sotto la tirannia sono richiamati Germanico e Seneca; il richiamo di Seneca va notato, perché il filosofo si ritroverà poi altre volte accanto a Tacito come ispiratore della medesima scelta morale e politica”[1].
“La via indicata da Tacito per servire bene la patria sotto i tiranni ed evitare nello stesso tempo l’abrupta contumacia e il deforme obsequium doveva apparire l’unica giusta a molti intellettuali di rilievo, convinti ormai della necessità della monarchia, anche quando conservavano qualche traccia del repubblicanesimo umanista… Come grandi esempi di vita operosa e gloriosa sotto la tirannia sono richiamati Germanico e Seneca; il richiamo di Seneca va notato, perché il filosofo si ritroverà poi altre volte accanto a Tacito come ispiratore della medesima scelta morale e politica”[1].
La tendenza all’incesto e la zoppia del tiranno
Il despota teme chi gli sta sopra[2] anche solo fisicamente: "Edipo
uccide il padre che, dall'alto del suo carro, precipita allo stesso suo livello
(...) Come Edipo che colpendo Laio con il suo bastone lo fa cadere dall'alto
del suo carro a terra, ai suoi piedi, Periandro falcia e abbatte tutti coloro
la cui testa supera di poco quella degli altri. E in secondo luogo le donne. La
tradizione greca fa di Periandro,
modello del tiranno, un nuovo Edipo. Egli avrebbe, in segreto, consumato
l'unione sessuale con la madre Krateia[3] (...) Ma la
tirannide, sovranità claudicante, non può procedere a lungo nel suo successo.
L'oracolo, che aveva dato via libera a Cipselo per aprirgli la porta del
potere, aveva fissato, fin dall'inizio, il termine al di là del quale la
discendenza di Labda, non diversamente da quella di Laio, non avrebbe avuto il
diritto di perpetuarsi. "Cipselo, figlio di Eezione, re dell'illustre
Corinto" aveva proclamato il dio; ma per aggiungere subito:"lui e i
suoi figli, ma non più i figli dei suoi figli"[4]. Alla terza
generazione, l'effetto della "pietra rotolante" uscita dal ventre di
Labda non si fa più sentire [5]. Per la stirpe
dei claudicanti, istallati sul trono di Corinto, è venuto il momento in cui il
destino vacilla, precipita, sprofonda nella sventura e nella morte"[6].
Nei Sette a Tebe
di Eschilo, il Coro ricorda gli antichi mali, ossia l’antica trasgressione
dalla rapida pena che perdura fino alla terza generazione palaigenh' ga;r
levgw - parbasivan wjkuvpoinon- aijw'na d j ej" trivton mevnei (742-744)
A
proposito della zoppìa del tiranno, Periandro
era figlio di Cipselo, nato da una Bacchiade zoppa (cwlhv, V, 92 b), Labda[7],
che nessun membro di questa oligarchia dominante Corinto voleva sposare. La
sposò invece uno di origine Lapita, Eezione il quale, siccome non nascevano
figli, andò a interrogare l'oracolo di Delfi. La Pizia rispose che Labda era
già incinta e avrebbe partorito un masso rotondo[8]
che si sarebbe abbattuto sui governanti punendo Corinto.
Zoppicante
è anche the bloody king (IV, 3), il re sanguinario di Shakespeare, Riccardo III il quale si presenta
dicendo di essere:"so lamely and
unfashionable/That dogs bark at me, as I halt by them "(I, 1), così
claudicante e goffo che i cani mi latrano contro quando gli passo vicino
arrancando.
E' questa una zoppia che rende malata tutta la sua
terra
secondo il tovpo" che risale a Omero ed Esiodo: un
cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo, come i figli e i
fratelli della regina, e se costoro non governassero ma fossero governati
"this sickly land might solace as before " (II, 3), questa terra malata[9]
potrebbe avere ristoro come prima.
Anche
il cielo viene ammorbato dal capo malato
Così l'Oedipus di Seneca: “fecimus caelum nocens” (36).
Altrettanto pensa lo zio di Amleto, Claudio che ha
assassinato il fratello : “Oh, my offence
is rank-rancidus-, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino
al cielo.
La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come
la Scozia nel Macbeth :"poor country… it cannot be called our
mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to
smile - meidiavw - ;
where sighs, and groans, and shrĭeks that rend the air, are made, not marked "
( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non
può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non
conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano
l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso.
E' il nobile Ross che parla.
Nel Riccardo III
Lady Ann dice a Riccardo che si appresta a corteggiarla: “Foul devil-diabolus. - diavbolo"
the slanderer, for God’s sake hence, and trouble-turbula dimin. of L. turba a
crowd. us not;-For thou hast made the happy earth thy hell,-Fill’d with cursing
cries-quiritare, literally to implore the aid of the Quirites or Roman citizens
(Varro) and deep exclaims” (I, 2), sconcio demonio, per amor di Dio, via di
qui e non darci pena; perché tu hai fatto della terra felice il tuo inferno,
riempito con urla di maledizione e profondi gemiti.
Dopo una battuta corteggiante di Riccardo, Anne rincara la
dose chiamandolo “diffus’d infection of a
man”, infezione di uomo diffusa.
Macbeth inciampa nel
meccanismo del potere che è una scala i cui gradini sono vite umane da
calpestare:"That is a step/On which
I must fall down, or else o'erleap (over-super-
uJpevr-) For
in my way it lies " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere
oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada.
Diversi
tiranni in conclusione hanno qualche cosa di zoppo: Cipselo e Periandro in
quanto discendenti da Labda, Edipo poiché ha avuto i piedi perforati[10].
Anzi, se consideriamo con
attenzione la prima antistrofe del secondo stasimo dell'Edipo re di Sofocle vediamo
che tutte le tirannidi sono zoppe: "la prepotenza fa crescere il tiranno,
la prepotenza/ se si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni
e non convengono (mhde; sumfevronta)[11]/salita
su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di
valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw/-crh'tai
"(vv. 873-879). Non solo il tiranno è zoppo e scivola, ma anche i suoi
decreti.
Antigone non obbedisce ai khruvgmata di Creonte, ma alle leggi della coscienza e degli
dèi che, viceversa, sono a[grapta kajsfalh' (Antigone, v. 454), non scritti e non
vacillanti.
Il
tiranno è ignobile, servile e impotente
La
letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che esulta per
la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n
kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal
padre ignobile;
a Platone
che certamente non risparmia biasimi al turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica
(573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov".. ejrwtikov".. melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre
è di animo sostanzialmente servile"oJ
tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e), della massima servilità e schiavitù e adulatore degli
uomini più malvagi.
Questa considerazione
che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale
nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista
moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà sostiene che" l'impotenza dà luogo
all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè
in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e
dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama
di potere" (p. 144).
Metus tyranni:
genitivo soggettivo e oggettivo
Il tiranno fa paura, come affermano la nutrice di Medea (119
sgg.), e Antigone a proposito della sottomissione dei Tebani a Creonte (vv.
502-507) , ma il metus tyranni è
genitivo soggettivo e oggettivo, ossia il despota vive circondato dal fovbo"
: fa paura e ne ha.
Un doppio ruolo sintetizzato bene da Creonte nell'Oedipus
di Seneca:" Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem
redit " (vv. 703-704), chi tiene crudelmente lo scettro con dura
tirannide, teme quelli che lo temono; la paura ricade su chi la incute.
In forma meno sintetica Cicerone fa la stessa denuncia nel De officiis: “Qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse
est” ( II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è inevitabile che essi
stessi temano quelli dai quali saranno temuti. Cicerone fa gli esempi di
Dionigi il vecchio di Siracusa e di Alessandro tiranno di Fere il quale
sospettava perfino della moglie, non a torto del resto poiché questa era
un’altra furente che infino lo uccise “propter
pelicatus suspicionem (II, 25), per sospetto di adulterio.
La conclusione di Cicerone è. “Nec vero ulla vis imperii tanta est, quae premente metu possit esse
diuturna”, non c’è nessuna forza di potere tanto grande che possa essere
durare a lungo sotto la pressione della paura.
La paura che il tiranno ha dei migliori è stata messa in
evidenza anche dal cesariano Sallustio:"Nam regibus boni quam mali suspectiores
sunt, semperque iis aliena virtus formidulosa est "[12],
infatti ai re sono più sospetti i valenti che gli inetti, e la virtù degli
altri per loro è sempre motivo di paura.
Si ricordi ancora il formidolosum
dell'Agricola (39) di Tacito.
Nell'Edipo
re di Sofocle il tiranno di Tebe teme complotti e chiama Creonte
"lh/sthv"
t j ejnargh;" th'" ejmh'" turannivdo"" (vv. 535), ladro
evidente della mia tirannide. Il cognato più avanti ribatte che preferisce
riposare tranquillo piuttosto che comandare con paura ("a[rcein... xu;n
fovboisi", v. 585).
Perfino Eteocle
delle Fenicie , il teorico del valore assoluto del
potere, rivolge una preghiera a eujlavbeia, cautela, invocata come crhsimwtavth qew'n, (v. 782), la più utile delle dee.
"La paura e la diffidenza appaiono dunque connaturate
al tiranno"[13].
CONTINUA
[1] La Penna,Aspetti del pensiero
storico latino, p. 231 e 232.
[2] Cfr. " formidolosum… supra principem attolli
" di Tacito, citato sopra.
[3] Diogene Laerzio, I, 96. “Aristippo
nel primo libro Sulla lussuria degli
antichi dice che sua madre Crateia era innamorata di lui e a lui si univa
di nascosto e che egli se ne compiaceva. Divulgatasi la notizia, si addolorò
per essere stato scoperto e divenne severissimo con tutti”. L’opera del III
sec. a. C. è falsamente attribuita ad Aristippo. Si intitolava jArivstippo~ peri; palaia`~ trufh`~, ed
era un pamphlet scandalistico scritto per
dimostrare che i filosofi, soprattutto gli Academici, erano altrettanti
Aristippi. Per la tendenza all’incesto
del tiranno si ricordino anche i rapporti
tra Nerone e Agrippina. Ndr.
[4] Erodoto, V, 92, e 8-9.
[5] Erodoto, V, 92, e 2. Così
le streghe del Macbeth promettono il regno al signore di Glamis, ma
la successione ai figli di Banquo (I, 3).
[6] Vernant e Vidal-Naquet, Mito e tragedia due , pp. 39, 48 e 49.
[7] Cfr. Edipo nipote di Labdaco
[8] Erodoto, V, 92 b 2
[9] Cfr la scheda “Dalla
salute del re dipende quella del suo popolo e della sua terra”, in Medea, a cura di Giovanni Ghiselli,
Cappelli, pp. 135ss
[10] Edipo
re , 1034, e Rane , 1192.
[11] Queste parole possono smontare l’utile perseguito da Giasone.
[12] De
Catilinae coniuratione , 7.
[13] D. Lanza, op. cit., p. 47.