Le altre stanze, meno grandi, apparivano
ancora più sovraccariche: dappertutto lampadari mastodontici, statue di
santi, di eroi, di dèi, mosaici e affreschi asfissianti, privi di ordine,
gusto e misura; insomma la negazione del bello con semplicità. Mi vennero in
mente alcune scene del film. Il monarca sdentato e ingrassato, l'eroe
capovolto a farmakov~[1],
a mostro deforme preso di mira dalla natura, domanda esterrefatto: "Von Holnstein è qui, a Neuschwanstein?"
Il conte traditore aveva ordito una congiura, in combutta con una marmaglia
di burocrati, medici, servi e impiegati.
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Guardavo Ifigenia immemore e muta.
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"Mi procuri del veleno. Basta andare in farmacia". Il
colonnello Dürckeim, l'aiutante di campo meravigliosamente fedele, voleva salvare
il suo sire, cercava di spingerlo a Monaco perché rivolgesse un proclama
all'esercito e al popolo amici. Ma Ludwig aveva deciso di lasciarsi
annientare: "Nemmeno otto
elefanti riuscirebbero a trascinarmi in quella città che odio!".
E il fellone Von Holnstein lo fece
afferrare da quattro infermieri insolenti che lo portarono sul lago dall'acqua
nera dove una sera piovosa di giugno il mostro affogò, riconsacrandosi re.
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Usciti dal castello maggiore, partimmo per Linderhof.
E' una villa in stile rococò. Sotto un cielo sempre gelido e scuro riconoscemmo
la fontana senz'acqua e le rampe della sbrecciata scalea apparse nel film di
Visconti. Nelle stanze sontuose e sovraccariche ci soffocava la decorazione fittissima che per giunta si
moltiplicava in una miriade di specchi situati dovunque. Scrutavo me stesso
per vedere se in quelle giornate di inerzia fossi ingrassato e imbruttito, poco
o assai. Ne avevo il timore siccome Ifigenia non sembrava gradire la mia
vicinanza. La parte più desolata e
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angosciante però fu la grotta artificiale
dove il re disgraziato passava giornate intere fissando l'acqua e le pareti
livide. Mentre osservavo quel lugubre stagno, riflettevo sull'infinita
solitudine di Ludwig esiliatosi dal mondo insopportabile degli speculatori
travestiti da uomini[2].
Pensavo che sarei arrivato anche io a un rinnegamento così completo della vita sociale, se avessi perduto il gusto
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dell'educazione, l'interesse e l'amore
degli adolescenti: in questo deprecabile caso un torpore del genere mi
avrebbe paralizzato.
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Guardai Ifigenia: il buio, la muffa e lo
squallore della cupa caverna, le avevano tolto bellezza e salute. Dicevo a me
stesso: "Io sto con questa cui non ho più niente da dire, sperando che
mi faccia
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sentire la necessità di scrivere un
capolavoro; vado a letto con tale donna nevrotica, ingenerosa, opportunista,
che non stimo, che nemmeno mi piace del tutto, che a sua volta mi frequenta
solo per il suo misero utile: la porto in viaggio con me e l'aiuto a preparare
l'esame di abilitazione. Il nostro amore è pieno di falsità, brutto,
asfissiante quanto la grotta penosa e le
stracariche stanze del re".
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Sulla via del ritorno, attraversando
l'Austria, manifestai il mio stato d'animo alla compagna muta come un baule.
Quel suo viso da commediante, capace di trasformarsi ad ogni sobbalzo, era
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immoto. Allora la provocai: le chiesi perché
fosse venuta in Baviera e continuasse a stare con
me, se non muoveva un dito per aiutarmi quando mi vedeva depresso o preoccupato.
Prima rispose: "Vengo con te siccome mi porti a vedere bei posti. Sul lago
poi, una volta tanto, abbiamo dormito e mangiato in un locale come si
deve". Quindi aggiunse: "E anche perché tu sei un uomo di raro
valore".
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"Che io sia un uomo di qualche valore,
può essere, ma ancora non l'ho dimostrato. Per ora dunque tu mi segui in quanto ti porto lontano da casa, e talora ti invito a mangiare,
perfino a dormire, in
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locali decenti" ribattei. Quindi
pensai:"Appena trova uno più capace e desideroso di impiegare
energie e risorse per
lei, questa mi pianta. E io che ho ancora bisogno di una donna siffatta per
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scrivere chissà quale opera d'arte!".
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Ifigenia, con calma e tristezza, replicò: "Se
mi stimassi, tu non mi umilieresti con tali rinfacciamenti! Che cosa vuoi
sentirti dire? Che sei un genio? Che scriverai un capolavoro capace di fare epoca?
Lo farai, quando ne avrai sentita la necessità; intanto però non tormentarti,
e soprattutto non danneggiare me: io ho tutta la vita davanti". Detta
questa formula, tacque.
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"Cosa vuoi che sia tutta la vita! – pensai
- Soltanto il sogno di un’ombra”[3].
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Sentivo che non mi amava, né mi voleva
bene, né poteva aiutarmi, siccome non credeva più in me. Fermai la Volkswagen
e scesi. Tirava vento. "Io un vecchio. Una testa intronata tra spazi
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ventosi"[4], mi
dissi. Nessuno invero, nemmeno il più benintenzionato, avrebbe potuto
aiutarmi se mi arrendevo all'angoscia. Reagii. Rientrai nell'automobile. Mi
rassegnai a quella donna. Finché c'era. Bastava non lasciarsi distruggere: presto
se ne sarebbe andata per la sua strada.
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Sarebbe stato il segno che dovevo
cominciare a scrivere. La pena andò via. Sì, avrei scritto qualcosa di grande
e meraviglioso contro il piacere immorale. Che Ifigenia mi amasse non era
destino né era il mio scopo. Avrei vissuto fino in fondo quel fallimento amoroso poiché era emblematico dell'infelicità
dei rapporti umani in un'età egoista.
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giovanni ghiselli
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[1] Una specie di capro
espiatorio
[2] Cfr. A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena,
trad. it. Adelphi, Milano, 1983, p.278, Tomo
II: "Il nostro mondo civilizzato non è altro che una colossale mascherata.
Vi si trovano cavalieri, preti, soldati, dottori, avvocati… Ma essi non sono
ciò che rappresentano, non sono altro che maschere dietro le quali di regola stanno
degli speculatori (money-makers)".
[4] Cfr. T. S. Eliot, Gerontion,
15-16:"I an hold man,/ A dull head among windy spaces".