Il traghetto è approdato a Patrasso con diverse ore di ritardo. Era troppo tardi per arrivare a Egion prima di notte. Sicché siamo giunti a Rion da dove parte il ponte sul golfo di Corinto, lo abbiamo attraversato e abbiamo preso tre stanze in un albergo di
Anti Rion.
Ho caldeggiato questa soluzione perché la prima volta che scesi a Patrasso nel 1977, quando il ponte non c’era ma c’era Fulvio, salimmo su una barca che ci portò in quel borgo marino che ci sembrò un paradiso. Il ricordo di Fulvio è aleggiato per tutto il percorso.
Procedendo sulla costa nord del golfo si passa per Galaxidion poi si arriva a Itea da dove si sale a Delfi, l’ombelico del mondo.
Dopo la cena con gli amici sedetti sul terrazzino della mia stanza e ricordai una notte stellata del viaggio del 1978 con Ifigenia.
Il pomeriggio partimmo da Delfi scendendo a Itea, poi volgemmo le biciclette su S. Nicolas, il piccolo e ameno porto della baia di Crisa da dove si prende il traghetto per Egion. Il vento soffiava contro di noi. Per pedalare con efficacia contro quella forza ostile non bastano gambe e polmoni robusti; ci vogliono carattere, metodo, e anche intelligenza. E’ come trovare il modo di piacere a una donna che non sente attrazione immediata per te. Devi insegnarle a trovarti accettabile prima, poi gradevole, poi unico e meraviglioso. Non è impossibile. Pedalando contro vento è necessario trovare la posizione raccolta e il ritmo costante da opporre alle follia senza metodo delle folate. Ifigenia invece obbediva agli impulsi violenti e irregolari dei furibondi soffi contrari al nostro progresso: si lasciava deviare dalla linea diritta, rallentare, e talora, se la forza delle spinte regressive aumentava, persino fermare. Oppure sbagliava i cambi e pedalava scomposta disperdendo energie con rabbia furente anche contro di me che l’avevo portata su quella strada infernale: oscillava, sbandava, sbuffava, metteva un piede a terra, imprecava. Oppure seguiva visioni e miraggi: bramosa di porre termine alla sua folle fatica voleva imboccare ogni strada sterrata che menava sulla riva sassosa del mare, dove l’allucinata ragazza vedeva inesistenti traghetti dirigersi su immaginati villaggi. Dovevo contraddirla aspramente e sgridarla, o dissuaderla con dolci parole e dare l’esempio. Pensavo: “pedala come affronta la vita: col vento a favore procede spedita; se i soffi sono contrari perde coraggio, disperde le forze, si ferma, poi scivola indietro. Adesso ha bisogno di buoni successi. Altrimenti regredisce e si guasta”.
Provavo risentimento per quella debolezza mentale che voleva inceppare anche me e cavarmi le forze. Ma quando Ifigenia ottenne una sosta per un bagno che fece in mutande, e uscì dall’abbraccio marino con le membra perfette gocciolanti di acqua salata, e iridescenti nel sole, “me beato - pensai - per il dono che ho avuto dei tuoi anni migliori, creatura divina, venuta a illuminarmi la vita altrimenti tetra e priva del sommo conforto, Ifigenia ricordo dell’eterna bellezza celeste!”
Al tramonto ci fermammo in un borgo del golfo di Crisa. Galaxidion si chiama. Prendemmo una camera con letto matrimoniale e cenammo. La giornata ventosa e tormentata era finita in una notte calma, dolce e serena di ultima estate. Dopo cena andammo a sederci sulla riva del mare. Si vedevano cadere le stelle. Ifigenia temeva che il firmamento ne restasse sguarnito. Invece era sempre più ricco di fuochi. “Vedi tesoro - dissi - donando si acquista”. Anche il golfo di Crisa era pieno di luci. Sul mare si muovevano lenti i piccoli lumi delle barche uscite a pescare. Un gradino più sopra si vedevano le lampadine di Itea, più in alto quelle di Crisa, poi la luce santa di Delfi, la meta del nostro pellegrinaggio devoto. Due fari lontani, appena visibili, segnavano, forse, la duplice cima del sacro Parnaso; sopra c’era solo il cielo stellato. La via Lattea spiccava nel mezzo. Ifigenia ridendo disse che Galaxidion si chiama così per la Galassia che là si vede brillare come in nessun altro luogo. Bellina, rideva. Brillava, brillava anche lei. Pensavo ai suoi ventiquattro anni, quando la carne nitida e profumata le lievitava ancora addosso come una pasta preziosa. Eravamo contenti. Finalmente potevamo permetterci di stare in pace, di essere quasi felici. Da un locale notturno venivano le note di un valzer di Strauss, Storie del bosco viennese; dalla campagna alle spalle il tremulo verso dei grilli che perpetuo trema. Tutto questo non può essere soltanto caso e materia, dicemmo. Ci venne in mente la morte del lunatico re di Baviera amato da noi per la sua volontà di Bellezza e di Arte contro il mondo, sconciato, già allora, da industrie, commerci e cannoni. Ci sovvenne il nostro pellegrinaggio pasquale ai castelli teatrali del lunatico re sodomita sfuggito per qualche tempo al fuoco celeste.
Ricordavamo il cupo lago increspato dove un cigno segnava di bianco il punto della morte per acqua che Ludwig, prigioniero della canaglia, aveva cercato.
“In questi momenti di fuga, di memorie, di sogni, siamo due amanti felici - dissi - ma sull’arte e la vita oramai abbiamo opinioni diverse. E vogliamo vivere in modo diverso. Tu vuoi privilegiare l’istinto; io agli impulsi caotici antepongo un logos appassionato e commosso, ma anche ordinato e diretto a una meta precisa”. Ifigenia mi corresse: “Io privilegio l’intuizione geniale tesoro, non l’istinto bestiale. “Le intuizioni senza concetti sono cieche - pensai - e la bellezza senza intelligenza e volontà di bene può fare male”. Eravamo contenti che la notte stellata dopo le fatiche diurni ci avesse resi più tolleranti, più umani. A un tratto Ifigenia volle andare a dormire: la lunga lotta col vento implacabile me l’aveva stremata. Bellina.
L’accompagnai, ma davanti alla camera le chiesi il permesso di girare da solo nella notte odorosa. Volevo guardare ancora le luci sacre e annusare la brezza, che, profumata di mare e di pini, mi dava carezze quasi lascive sul corpo già beneficato dal sole.
“ Sì - mi dicevo - c’è piacere, bellezza e giustizia nel cosmo. C’è un creatore. Il re popolare e demente nella fredda, piovosa Baviera, nella sua reclusione dal mondo reale, dentro quei castelli pacchiani, circondato da servi avidi e perfidi, aveva perduto di vista il bene del cosmo. Non voglio forzare questa giovane donna a diventare diversa da quello che è, chiunque ella sia. Né posso impedirle di fare i suoi sbagli, se proprio ci tiene. Però mi piacerebbe vederla felice. Che diventasse se stessa. Adesso lei, eliminato il tanghero e presto anche me, vuole cercare da sola la strada che la conduca al successo. Spero che riesca a percorrerla tutta, senza fermarsi né deviare, anche se dovesse incontrarvi un fiero vento contrario”. Tornai alla camera. Entrai senza fare rumore. Ma Ifigenia era sveglia: mi aspettava con il volto illuminato dagli occhi ridenti. Un’espressione che non le vedevo da tempo. Facemmo l’amore più volte. Eravamo felici.
Pesaro 31 luglio 2023 ore 17, 56
p. s.
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