giovedì 16 gennaio 2020

Umano e disumano. Parte 8. Conclusioni


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Ultima parte. Domani presenterò il percorso
Nel liceo classico M. Tondi di San Severo

Disumano è spesso il potere che non è potenza, come il sapere non è sapienza.
Questa sera andrò a vedere il film su Craxi. Me ne sono predisposto ricordando questi versi di Euripide.
“Via Penteo, da’ retta a me: ajll j ejmoiv, Penqeu', piqou'
non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini, mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein” (Euripide, Baccanti, 309 - 310)
Sono parole del vate Tiresia a Penteo, l’infatuato giovane re di Tebe
Poco più avanti, nel I Stasimo, il Coro dice che il sapere non è sapienza – to; sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395)

La mancanza di solidarietà verso il prossimo è spesso la conseguenza del divide et impera che è forse la prima regola di ogni potere ed è molto evidente, anche se per i più costituisce uno dei tanti imperii arcana
 "Una ricerca Usa dimostra le radici biologiche dell'altruismo" che provocherebbe una maggiore irrorazione sanguigna delle aree cerebrali e il conseguente senso di benessere.
 U. Galimberti commenta questa scoperta sul quotidiano "la Repubblica"[1] affermando che è la stessa sopravvivenza della nostra specie a richiedere la solidarietà e il sacrificio dell'egoismo:" A conforto di quanto andiamo dicendo, Gregory Berns riferisce che cinquanta scimpanzé che non si conoscono, adunati in uno spazio a loro sconosciuto, incomincerebbero a scannarsi determinando un'esplosione sociale, mentre cinquanta esseri umani nelle stesse condizioni incomincerebbero subito a collaborare per sopravvivere. La cooperazione, la solidarietà, e l'altruismo, in cui, ridotta all'osso, consiste la morale, sarebbero quindi biologicamente iscritti nella costituzione della natura umana, per cui vien da chiedersi se l'esasperata competizione, che stiamo importando dallo stile di vita americano che si va diffondendo in tutto il mondo, è "secondo natura" o non invece un tentativo inconsapevole di fare anche dell'uomo un organismo geneticamente modificabile".

Disumano è non amare se stesso. Solo chi ama se stesso può amare la vita e amare il prossimo
Penso che l'amore di se stesso e quello dell'umanità non siano separabili. Nella seconda commedia della Trilogia pirandelliana[2] del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo (1924), l'attrice Delia Moreno afferma:"Sapete che cosa significa "amare l'umanità"? Soltanto questo:"essere contenti di noi stessi". Quando uno è contento di se stesso "ama l'umanità"[3].
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Sentiamo anche H. Hesse :"Se i detti del Nuovo Testamento non li consideriamo come comandamenti ma come espressione di una straordinaria, profondissima conoscenza dei misteri dell'animo umano, la cosa più saggia che sia mai stata detta, il breve compendio di tutta l'arte di vivere e di essere felici, è la frase "ama il prossimo tuo come te stesso", che del resto si trova già nell'Antico Testamento. Il prossimo lo si può amare meno di noi stessi: e allora si è l'egoista, l'arraffone, il capitalista, il borghese, e si possono accumulare quattrini e potenza ma è impossibile avere un cuore veramente lieto, e ci restano precluse le più delicate e squisite gioie dell'anima. Oppure si può amare il prossimo più di se stessi: e allora si è un povero diavolo, pieno di sensi d'inferiorità, pieno di desiderio d'amare tutto, eppure colmo di rancore e di crudeltà verso se stesso e si vive in un inferno che ci si apparecchia ogni giorno da sé. Di contro a ciò: l'equilibrio dell'amore, la possibilità di amare senza restare in debito ora in questo, ora in quello, un amore di se stessi che non ruba niente a nessuno, un amore per gli altri che però non diminuisce né violenta il nostro io! Il segreto di tutta la felicità, di tutta la beatitudine è racchiuso in quella parola. E se si vuole, la si può rigirare anche alla maniera indiana e darle il significato di: ama il prossimo tuo, perché sei tu stesso!, una traduzione cristiana del "tat twam asi "[4].

Ancora su “Il potere non è potenza”
Ricordo il discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel - Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi e anzi esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch - Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua dicendo: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkindWe think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.
Umano è non voler comandare né essere comandato
Nelle Storie di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone alla monarchia il potere del popolo che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn", poi non fa nulla di quanto perpetra l'autocrate: infatti esercita a sorte le magistrature ed ha un potere soggetto a controllo:" uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei" (III, 80, 6). Erodoto attraverso Otane formula già la teoria, poi riproposta da Polibio, secondo la quale la monarchia degenera inevitabilmente in tirannide. Tra i sette nobili Persiani, quando ebbero parlato anche Megabizo, che propugnava l'oligarchia, quindi Dario, il quale sosteneva la monarchia e l'inevitabilità della degenerazione sia della democrazia sia dell'aristocrazia (III, 82) verso le rispettive forme deteriori, prevalse quest'ultimo con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca. Allora Otane non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[5].

“Una forte tendenza al rifiuto di obbedire è spesso accompagnata da una tendenza altrettanto forte al rifiuto di dominare e di comandare”[6] .

Sentiamo Bertolt Brecht:
“Io son cresciuto figlio
di benestanti. I miei genitori mi hanno
messo un colletto, e mi hanno educato
nelle abitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe,
né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega
Con la gente del basso ceto”[7].

I contadini di mia nonna, mezzadri poveri negli anni Cinquanta quando ero bambino e le zie mi portavano a battiture e vendemmie a Montegridolfo, Tavullia e Tavollo, mi chiamavano “padroncino” e io me ne vergognavo e sentivo in colpa. Poi il ’68 mi ha autorizzato a diventare quello che già allora ero: un uomo umano 

Giovanni ghiselli, Bologna 16 gennaio 2019




[1] 26 luglio 2002, p. 14.
[2] Le altre due sono Sei personaggi in cerca di autore e Questa sera si recita a soggetto
[3] L. Pirandello, Ciascuno a suo modo (del 1924), atto I.
[4]H. Hesse, La cura , pp. 132 - 133.
[5] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze.
Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze.
[6] Hannah Arendt, Sulla violenza, p. 41.
[7] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.

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