lunedì 13 gennaio 2020

Umano e disumano. Parte 5

Salvator Rosa: Ulisse e Nausicaa

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Umanesimo è amore per l’umanità
Alcuni altri esempi

Amore e umanesimo

Sentiamo  quello che dicono Nausicaa a Odisseo, poi Eumeo sempre a Odisseo
La principessa dei Feaci Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207 - 208) vuole  aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e  dice queste parole alle sue ancelle in fuga spaventate dall’aspetto miserabile e orribile di Odisseo: “to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~ - xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro.

Le stesse parole (Odissea, XIV, 57 - 59)  dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante irriconoscibile e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui.

Odisseo nel IX canto si era presentato a Polifemo come supplice dicendo:
zeu;" d  j ejpitimhvtwr iJketavwn te xeivnwn te,
xeivnio", o{" xeivnoisin a{m j aijdoivoisin ojphdei' (270 - 271)
Zeus è il vendicatore dei supplici e degli stranieri,
Zeus ospitale che accompagna gli ospiti meritevoli di rispetto
Probabilmente Odisseo aveva capito le cattive intenzione del selvaggio padrone della spelonca il quale gli risponde: sei sciocco (nhvpio") straniero o vieni da molto lontano tu che mi esorti a temere o rispettare gli dèi

Disumano e contro natura è lo schiavismo
Leggi scritte e leggi di natura
 Antifonte sofista[6]. Vediamo alcuni frammenti dallo scritto Sulla Verità:
Ta; me;n ga;r tw`n novmwn ejpiqevnta, ta; de; th`~ fuvsew~ ajnagkai`a”, Le norme di legge sono aggiunte, quelle di natura necessarie (simili agli eventa e ai  coniuncta di Lucrezio[7]).
Alcune qualità sono congiunte ai corpi, come il rosso del sangue (coniuncta in Lucrezio), altre sono accidentali (eventa).

e[sti de; pavntw" tw'nde e{neka touvtwn hJ skevyi", o{ti ta; polla; tw'n kata; novmon dikaivwn polemivw" th'/ fuvsei kei'tai" (Sulla verità , fr. B 44 Diels -  Kranz), per queste ragioni  soprattutto si svolge la nostra indagine: che la maggior parte di quanto è giusto secondo la legge si trova in contrasto con la natura.
Sono state emanate leggi per gli occhi, su ciò che devono vedere e non vedere, per le orecchie, su ciò che devono sentire e non sentire, e per la lingua, su quanto deve dire e non deve dire e così via. Fino alla mente su quello che deve desiderare e quello che no.    
Fatti di natura, continua Antifonte, sono il vivere e il morire, e il vivere per gli uomini deriva da ciò che è utile (kai; to; me;n zh'n aujtoi'" ejstin ajpo; tw'n xumferovntwn) la morte da ciò che è dannoso. Ebbene riguardo all'utile le prescrizioni sottoposte alla legge sono ceppi per la natura (ta; me;n uJpo; tw'n novmwn keivmena desma; th'" fuvsewv" ejsti), mentre ciò che è prescritto dalla natura è libero (ta; d  j uJpo; th'" fuvsew" ejleuvqera). E certamente quello che addolora non giova alla natura, secondo la retta ragione, più di quello che rallegra.
La legge istituita dunque non è giusta né utile poiché non incrementa ma danneggia la vita.
Antifonte giunge a conclusioni opposte rispetto a Callicle, il personaggio del Gorgia platonico il quale denuncia come innaturale l’uguaglianza.
Antifonte  viceversa denuncia come contrarie alla natura le differenze che le leggi e le usanze stabiliscono tra gli uomini: "quelli che provengono da una casata non illustre non li rispettiamo né onoriamo. In questo ci comportiamo come barbari gli uni verso gli altri. Infatti per natura in tutto tutti siamo costituiti  per essere uguali barbari ed Elleni (pavnta pavnte~ oJmoivw~ pefuvkamen kai; bavrbaroi kai;  {Ellhne~)tutti di fatto inspiriamo nell'aria attraverso la bocca e le narici e tutti mangiamo con le mani "[8].

 Tra i sofisti, oltre Antifonte, Ippia di Elide denuncia la discrepanza tra leggi della natura e leggi scritte dagli uomini che sanciscono differenze innaturali.
Nel Protagora  di Platone, il  suo personaggio afferma:" to; ga;r o{moion tw'/ oJmoivw/ fuvsei suggenev" ejstin, oJ de; novmo" tuvranno" w]n tw'n ajnqrwvpwn polla; para; th; fuvsin biavzetai" (337d), infatti il simile è parente del simile per natura, mentre la legge, essendo tiranna degli uomini, in molti casi commette violenze contro natura.

Di nuovo: contro natura e disumano è danneggiare gli umani
Seneca afferma la naturalezza e la necessità dell'amore reciproco nell'Epistola 95:"natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laediex illius imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus et in pectore et in ore sit:
homo sum, humani nihil a me alienum puto[9].
Ita habeamus: in commune nati sumus. Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae, casura nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustinetur" ( 95, 52, 53), la natura ci ha messi alla luce legati da parentela, poiché ci ha fatto nascere dai medesimi elementi e per i medesimi scopi; questa ci ha messo dentro un amore reciproco e ci ha reso socievoli. Essa ha disposto l'equità e la giustizia; secondo il suo ordinamento è più deplorevole recare danno che riceverlo, in conseguenza dei suoi ordini le mani siano pronte per quelli che hanno bisogno di aiuto. Ci stia sempre nel cuore e in bocca quel verso famoso:
sono uomo, e non mi sento  ostile a nulla di umano.
Facciamo questa considerazione: siamo nati per metterci a disposizione reciproca. La nostra società è molto simile a una volta di pietre che, destinata a cadere se non se lo impedissero a vicenda, proprio da questo fatto è tenuta in piedi.

Socrate nel Gorgia indica dikaiosuvnh e swfrosuvnh, giustizia e temperanza, come i bersagli cui deve mirare l'uomo buono che vuole essere felice, non permettendo che le passioni divengano sfrenate (507d - e).
E tra commettere ingiustizia e subirla, il male minore è subirla (mei'zon mevn famen kako;n to; ajdikei'n, e[latton de; to; ajdikei'sqai, 509c).

Ma, tornando a Seneca,  la ricerca della voluptas ha capovolto questo fatto naturale:"Homo, sacra res homini, iam per lusum ac iocum occiditur" (Ep. 95, 33), l'uomo, cosa sacra per l'uomo, oramai viene ucciso per gioco e per scherzo.   

 L'Antigone di B. Brecht afferma come quella sofoclèa di vivere per l'amore, non per l'odio, e al tiranno, che l'accusa di non vedere "il divino ordinamento dello Stato", ribatte:"Sarà divino, ma lo vorrei piuttosto/Umano, figlio di Meneceo, Creonte".

La legge naturale dell'amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo "tiranno":" ajll j eij povlin thvnd  j ejxevsws j, ouj moi mevlei" (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa città, non mi importa.
In tali espressioni gli eroi sofoclei sono "le macchie luminose" cui Nietzsche li assimila nella Nascita della tragedia [10].  

Disumano è assolutizzare i decreti della propria intelligenza o quelli del potere. Edipo re e Antigone di Sofocle
Il figlio di Laio nell'Edipo re  va in rovina   poiché non  comprende in tempo i limiti dell’intelligenza umana. della propria gnwvmh.
Uno dei centri ideologici del dramma è costituito dai versi 396 - 398:"arrivato io,/ Edipo, che non sapevo nulla, lo feci cessare/ azzecandoci con l'intelligenza -  gnwvmh/// kurhvsa"  -  e senza avere imparato nulla dagli uccelli".
 Comprenderà quanto limitata fosse la sua intelligenza attraverso la sofferenza che lo conduce alla trasfigurazione di Colono. "Edipo sta su un piano più alto di Creonte; e tuttavia precipita rovinosamente, perché anch'egli tenta di vivere in base al criterio secondo cui l'uomo sarebbe la misura di tutte le cose"[11]

Di questa idea attribuita a Protagora da varie fonti, diamo la formulazione del Cratilo (385e) di Platone:"w{sper Prwtagovra" e[legen levgwn -  - pavntwn crhmavtwn mevtron ei\nai a[nqrwpon", come diceva Protagora che l'uomo è misura di tutte le cose.

Sul significato di "amore" nel v. 523 dell’Antigone, - sumfilei'n -  sentiamo V. Ehrenberg: "Dobbiamo intendere il termine "amore" senza le posteriori implicanze erotiche o cristiane - come e[rw" o come ajgavph - , bensì concepirlo puramente come filiva, -  ed infatti tale è la sua designazione in questo passo - , qualora intendiamo captare una delle componenti che agiscono in seno alle leggi non scritte di Antigone. L'amore come filiva, come opposto rispetto all'"odio" o all'"inimicizia" (in greco designati con il medesimo termine), è un vincolo umano che forse appare più vicino all'amicizia che all'amore; esso costituisce il vincolo che unisce gli uomini ed è uno dei fondamenti su cui poggiava la società greca"[12].

“Le leggi non scritte e infallibili degli dei (a[grapta kajsfalh' qew'n novmima - , emanate da Zeus e da Dike che dimora presso gli dèi inferi”, si contrappongono, nella loro essenza eterna e divina, ai decreti (khruvgmata) di Creonte, i quali altro non sono che deliberazioni di un sovrano mortale”[13]
Dopo che la ragazza ha compiuto il gesto di ribellione, il despota le domanda
Kai; dh`t j  ejtovlmaς touvsd  j uJperbaivnein novmouς;” e allora osavi trasgredire queste leggi?"  (Antigone, v. 449).
Antigone risponde: “"Sì, infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto/né Giustizia che convive con gli dei di sotterra/determinò tali leggi tra gli uomini,/né pensavo che i tuoi bandi - khruvgmaq  j -  avessero tanta/forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti (a[grapta kajsfalh` qew`n novmima.)/Infatti non solo oggi né ieri, ma sempre/ sono vivi questi, e nessuno sa da quando apparvero (vv. 450 - 457)".
I versi 455 - 457 sono citati da Aristotele, quando nella Retorica distingue la legge particolare di ciascun popolo da quella comune secondo natura levgw (…) koino;n de; to;n kata; fuvsin (1373b). Tra queste c’è l’abitudine e la norma di seppellire i morti, poi quanto dice Empedocle a proposito di non uccidere i viventi, e quanto scrive Alcidamante[14] nel Messeniaco:” ejleuqevrou~ ajfh`ke pavnta~ qeov~, oujdevna dou`lon hJ fuvsin pepoivhken”, dio ci lasciò tutti liberi, la natura nessuno fece schiavo. 
Isocrate nel 366/365, o qualche tempo dopo,  dedicò a questo tema il suo Archidamo , ponendo in bocca a questo principe, figlio di Agesilao, un discorso in cui si sconsiglia la pace, e si afferma che Sparta aveva pienamente diritto a ridurre i Messenii in schiavitù. 
“Con l'Archidamo  il retore Isocrate può considerarsi lo "storico", per così dire, della mentalità schiavistica spartana in senso stretto... L'Archidamo di Isocrate è insomma proteso alla difesa dello schiavismo spartano su una base "storica ". Nelle Elleniche  di Senofonte, invece, neanche una parola sulla fondazione di Messene. In apparenza Senofonte non si è posto il problema. Egli sapeva che il tema dello "schiavismo" spartano era oggetto di una grossa polemica, fra Isocrate e Alcidamante: questi aveva scritto il Messeniaco  per mostrare, al contrario del suo eterno avversario Isocrate, che gli Spartani non avevano alcun diritto di tenere i Messenii in schiavitù. "Liberi tutti ci lasciò il dio" diceva Alcidamante; "la natura non ha fatto schiavo nessuno" (...)
Senofonte, socratico, non poteva essere del tutto indifferente a questi temi. Nell'Anabasi , scritta prima delle Elleniche , egli mostra un notevole disprezzo per un soldato d'origine servile, che vorrebbe rinunciare alla lotta (III, 1, 31), ma mostra altresì umanità nei riguardi di un altro mercenario, peltasta, anch'egli di origine servile (IV, 8, 4 ...)In ogni caso ha voluto evitare che il suo laconismo lo facesse apparire disumano: la polemica fra Isocrate e Alcidamante era una lezione cocente"[15].

Perrotta confuta alcune interpretazioni dell’Antigone:"lasciamo stare l'interpretazione cristiana, che è di tutte quella assolutamente falsa. Ma è anche errata l'interpretazione di chi (...) riassume tutta la tragedia in un conflitto tra le leggi ideali ed eterne rappresentate da Antigone e le leggi scritte rappresentate da Creonte. Chi intende a questo modo il dramma, cade ancora nella interpretazione hegeliana, anche se ritiene di essersene liberato: importa relativamente poco s'egli sostituisce, alla tesi e all'antitesi che vedeva in questa tragedia l'Hegel, un'altra tesi e un'altra antitesi non troppo differenti"[16].
Perrotta sostiene che Sofocle non parte da un’idea cui subordini le situazioni e i caratteri in quanto gli importano molto di più le situazioni e i caratteri (p. 117). Non c’è un conflitto tra due princìpi opposti, bensì tra due persone, tra due individui omni modo determinati. Solo parzialmente vera è l’interpretazione di Goethe che definisce Antigone “la più sororale delle anime”, ed è inaccettabile l’interpretazione di Kaibel (filologo classico tedesco, 1847 - 1901) che vede in Antigone una violenza selvaggia senza tenerezza né amore.

Isocrate: nel 366/365, o qualche tempo dopo dedicò a quel tema il suo Archidamo , ponendo in bocca a questo principe, figlio di Agesilao, un discorso in cui si sconsiglia la pace, e si afferma che Sparta aveva pienamente diritto a ridurre i Messenii in schiavitù. 
Con l'Archidamo  il retore Isocrate può considerarsi lo "storico", per così dire, della mentalità schiavistica spartana in senso stretto...L'Archidamo di Isocrate è insomma proteso alla difesa dello schiavismo spartano su una base "storica ". Nelle Elleniche  di Senofonte, invece, neanche una parola sulla fondazione di Messene. In apparenza Senofonte non si è posto il problema. Egli sapeva che il tema dello "schiavismo" spartano era oggetto di una grossa polemica, fra Isocrate e Alcidamante: questi aveva scritto il Messeniaco  per mostrare, al contrario del suo eterno avversario Isocrate, che gli Spartani non avevano alcun diritto di tenere i Messenii in schiavitù. "Liberi tutti ci lasciò il dio" diceva Alcidamante; "la natura non ha fatto schiavo nessuno" (...)
Senofonte, socratico, non poteva essere del tutto indifferente a questi temi. Nell'Anabasi , scritta prima delle Elleniche , egli mostra un notevole disprezzo per un soldato d'origine servile, che vorrebbe rinunciare alla lotta (III, 1, 31), ma mostra altresì umanità nei riguardi di un altro mercenario, peltasta, anch'egli di origine servile (IV, 8, 4)...In ogni caso ha voluto evitare che il suo laconismo lo facesse apparire disumano: la polemica fra Isocrate e Alcidamante era una lezione cocente"[17].



[6] Attivo dalla seconda metà del V secolo. Dal 407 al 367 fu a Siracusa dove frequentò Dioniso e scrisse tragedie con lui. Non va confuso con Antifonte oratore di parte oligarchica, condannato a morte nel 411 dopo la restaurazione democratica. Ma alcuni studiosi ritengono che si tratti della stessa persona e che l’oratore oligarchico abbia manifestato la sua ostilità alla democrazia ateniese parzialmente o falsamente egualitaria con un egualitarismo radicale. In politica non poche volte le parti estreme si toccano.
[7] Lucrezio considera coniucntum al corpo quanto non può essere separato, pondus uti saxis, come il peso per i sassi, mentre    eventum è quello che non ne cambia la sostanza: “ servitium contra, paupertas divitiaeque,/libertas bellum concordia…haec soliti sumus, ut par est, eventa vocare” (De rerum natura, I, 451 sg.), al contrario la schiavitù, la povertà, la ricchezza, la libertà, la guerra la concordia, questi fatti siamo soliti, come è giusto, chiamare accidenti.
[8]  44 D. K. Fr. B Oxyrh. Pap. XI Fragmetum I
[9]Terenzio,  Heautontimorumenos, v. 77.  Lo dice il vecchio Cremete al vecchio Menedemo, il punitore di se stesso
[10]Capitolo IX.
[11]V. Ehrenbeg, Sofocle e Pericle , p. 107.
[12]Op. cit.,  p. 50.
[13] Ibidem p. 50
[14] Contemporaneo di Isocrate
[15]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , I vol., pp. 369 - 371.
[16]I tragici greci , p. 117.
[17]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , I vol., pp. 369 - 371.

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