lunedì 13 gennaio 2020

Lettera alle Sardine

Ieri c’era Mattia Sartori  dalla Annunziata.
Non voglio unirmi al coro degli adulatori sempre pronti a saltare sui carri vincenti o presunti tali.
Mi sento anzi in dovere di fare delle critiche possibilmente utili a un giovane che mi ha fatto venire in mente alcuni miei studenti dei licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna dove ho insegnato dal 1975 al 2010. 
Dal 2000 al 2010 anche nella SSIS dell’Università, a contratto. Dal 1969 al 1975 insegnavo ai bambini delle medie, in un paese del Veneto, Carmignano di Brenta. Dal 1950 al 1968 sono stato scolaro, prima a Pesaro poi a Bologna. Da quando sono in pensione tengo conferenze in biblioteche, licei, associazioni culturali, università.
 Voglio dire che ho passato e passo la vita nella scuola e lo rifarei. Se rinascerò, lo rifarò. Ora che mi sono presentato, come di dovere, entro in medias res.

Bella è l’idea della rinascita dell’agorá politica, magari festosamente politica e promotrice di relazioni umane che sostituiscano, almeno in parte, quelle virtuali.
Sartori ha detto: “ci riteniamo un anticorpo del populismo” senza specificare che cosa è secondo lui il populismo. Dovrebbe farlo poiché questa parola è un camaleonte lessicale e assume diversi significati a seconda di come viene usata e da chi. Al pari di nomos nell’Antigone di Sofocle. Per non rimanere su una disputa nominalistica dovrebbe dunque essere chiarito che cosa è il populismo e come ostacolarlo.
Poi: “Abbiamo una forte polemica contro l’antipolitica”. Anche qui è necessario specificare come si possa combattere l’impoliticità che, concordo, fa parte di ogni fascismo e menefreghismo. Secondo me la politica, come interessa e come vita, va ripristinata  con la scuola, la lettura, la cultura. A partire dalla letteratura politica, la storia politica, la filosofia politica, l’arte politica. Nel senso che tratti della polis, della comunità.
Poi ho sentito parlare del “corpo che non è manipolabile”. Il nostro fragile, effimero  corpo, spesso assimilato alle foglie, purtroppo lo è. Ma c’è il corpo dell’umanità che è un grande organismo del quale facciamo parte tutti, e bisogna indicare questo come ente sacro.
Allora rileggiamo, per esempio, questo brano di Devotions upon Emergent Occasion di  John Donne (1572-1631):" Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[1] ); suona per te”.
Allora condanniamo gli omicidi dei guerrafondai, di quanti scimmiottano Ares “il dio disonorato dagli dèi” (Sofocle, Edipo re, 215), dei bolidi pilotati da assassini ubriachi, dei vari crimini insomma che sono atti da escludere dal corpo dell’umanità.
Anche la storia, come notava già Polibio, è diventata un tutto organico da quando è accaduto che le vicende dei vari continenti sono intrecciate sumplékesthai (I, 3, 4) tra loro, da separate che erano.
Il corpo di ciacuno di noi dunque deve essere associato a quello dell’umanità, della storia, del globo terrestre. Anche il corpo del mondo infatti sta soffrendo. Poi l’allegria va benissimo, per carità, il sorriso sul volto è simpatico, però, se posso darvi dei consigli da vecchio professore-educatore di tanti giovani bolognesi, anche il dolore  va esaminato, e non certo per piangerci sopra bensì per trarne comprensione e bellezza come insegna Eschilo nell’Agamennone.
Sia chiaro a tutti che in cambio di queste parole non chiedo niente per me, nemmeno una risposta,  ma provate a rifletterci sopra se volete durare.
Saluti e salute a tutti
giovanni
ghiselli


[1] E', notoriamente, il titolo di un romanzo di  Hemingway, 1940

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