domenica 12 gennaio 2020

Umano e disumano. Parte 4

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Umano è sapere che la campana suona per tutti
Una splendida idea dell'humanitas  del circolo scipionico che è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli: in Devotions upon Emergent Occasion di John Donne (1572 - 1631), per esempio,  leggiamo:" Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls"[1] ); suona per te.
"La comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di inclusione"[2].
Insomma: ama il prossimo tuo perché è te stesso.

Umano è imparare dalle disgrazie e dai mali subìti a non infliggere il male a nessuno. Disumano è danneggiare gli umani.
 Umana è Didone, disumano Enea (Eneide, IV)

 Enea viene salvato dalla compassione, quella di Didone che però non è in alcun modo ricompensata dall’esule troiano.
La regina che ha fondato Cartagine prima di decadere a donna abbandonata esprime con queste parole il suo tw/' pavqei mavqo" : "non ignara mali miseris succurrere disco ", Eneide, I, 630, non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Un soccorso che verrà mal ricompensato dal “pius” Enea, antenato di Augusto, secondo i suoi panegiristi, Virgilio compreso.
L’autore che scrive quale panegirista del despota non può avere lo spessore etico, e neppure estetico, di chi scrive con la prospettiva di un popolo che lo legge o lo ascolta, come avevano i tre auctores maximi: Eschilo, Sofocle, Euripide, e pure Aristofane.
 L’ humanitas della compassione viene affermata dalle prime parole del Decameron : "Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti. Umano aiutarli

Disumano è odiare e danneggiare gli esseri umani. Umano è amarli e aiutarli.
Cicerone nel III libro del De Officiis  dice che l'umanità è un unico corpo del quale i singoli individui sono le membra. Dobbiamo aiutare l'uomo perché ogni uomo è parte di noi stessi :"Etenim multo magis est secundum naturam excelsitas animi et magnitudo itemque comitas, iustitia, liberalitas quam voluptas, quam vita, quam divitiae, quae quidem contemnere et pro nihilo ducere  comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. Detrahere autem de altero, sui commodi causa, magis est contra naturam quam mors, quam dolor, quam cetera generis eiusdem  "(III, 24). Infatti è molto più secondo natura l'elevatezza e la grandezza d'animo, e parimenti la cortesia, la giustizia, la generosità, che il piacere, che la vita stessa e le ricchezze; quindi disprezzare questa roba e valutarla nulla paragonandola con l'utilità comune è proprio di un animo grande ed elevato. Sottrarre invece a un altro per il tornaconto proprio, è più contro natura che la morte, il dolore e altre cose del medesimo genere.
E più avanti (III, 25):" ex quo efficitur hominem naturae oboedientem homini nocere non posse  ", da ciò deriva che l'uomo il quale obbedisce alla natura non può nuocere all'uomo.

Marco Aurelio, imperatore (161 - 180 d. C.)  e filosofo, scrive (A se stesso , II, 1): noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire  uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin").
Marco Aurelio inoltre dice a se stesso: “ bada a non cesarizzarti: “ o{ra mh; ajpokaisarwqh'/" " ( A se stesso,  VI, 30)

Antigone del 442. Antigone si oppone al tiranno e va incontro alla propria morte per  dare al fratello la sepoltura vietata.
Ci sono parole di umanesimo in questa tragedia, parole di Antigone:
ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore.
Sull'amore umanistico, sull'amore per l'umanità e per la vita, ha scritto parole sante E. Fromm:"In realtà, esiste soltanto l'atto di amare ; e amare è un'attività produttiva, che implica l'occuparsi dell'altro, conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di una persona, di un albero, di un dipinto, di un'idea. Significa portare la vita, significa aumentare la vitalità dell'altro, persona od oggetto che sia. E' dunque un processo di autorinnovamento, di autoincremento"[3].
In un altro libro lo psicoanalista sostiene che  "Antigone rappresenta l'umanità e l'amore; Creonte, il despota totalitario, l'idolatria dello Stato e l'ubbidienza"[4].
 Inoltre: "Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone  di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo"[5].
Questa assegnazione dei ruoli invero è discutibile.
Legge naturale e personale per Antigone è l'inclinazione ad amare, mentre il bando di Creonte è un editto di odio. La fuvsi" di Antigone non riconosce come naturale il khvrugma di Creonte.

Un’opinione diversa, anzi opposta sulle leggi scritte che sondo Antigone non soono mai valide quanto quelle non scritte, si trova nelle Supplici di Euripide, Teseo propugna la democrazia e dice all’araldo tebano mandato da Creonte  che quando c’è un tiranno non esistono più leggi comuni (novmoi -  koinoiv, vv. 430 - 431). E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t’ ajsqenh;~ - oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433 - 434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.

Disumano e barbarico è ammazzare i bambini
Chi sono i veri barbari ignari di umanesimo secondo la vedova di Ettore.
 Andromaca, la madre dolorosa delle Troiane di Euripide, quando sa che i Greci hanno deciso di ammazzare suo figlio, il piccolo Astianatte, accusa gli Elleni di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar  j ejxeurovnte~  [Ellhne~ kakav - tiv tovnde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? (vv. 764 - 765).

Coloro che approvano l'uccisione dei bambini chiunque siano i loro genitori, Troiani o Palestinesi, o Ebrei, sono non soltanto tangheri, ma aggiungo barbari e orribili canaglie.
Cfr.  I fratelli Karamazov dove Ivan ricorda le sofferenze dei bambini e sostiene che per evitarle si deve rinunciare anche all’armonia: “ sta bene che debbano soffrire tutti, per comperare a prezzo di sofferenze l’armonia futura; ma dimmi, che c’entrano i bambini? Dimmelo per piacere! E’assolutamente incomprensibile che debbano soffrire anche loro e acquistare a prezzo delle loro sofferenze questa armonia (V, 4, p. 317) 

Umano è leggere i classici. Umano è l’umanesimo. Umano è essere pronti
Che cosa regalare, oltre il dono dell’affetto, per queste feste comandate.
 Io festeggio la rinascita del Sole che è, nel visibile, quello che è Dio, il massimo Bene, nell’intellegibile.
Con il crescere della luce finisce il mio scontento per la decrescita della sua forza e del suo splendore, un malinconico calare quotidiano che durava da sei mesi.
Torniamo ai regali, per chi vuole farli. Non panettoni, o capitoni, o vestiti innecessari,  non pupazzi goffi con bizzarre streghe o befane, ma libri.  
Umano è leggere i classici. Umano è essere pronti
Orazio nell’Ars poetica prescrive: “vos exemplaria Graeca/nocturna versate manu, versate diurna” (vv. 268 - 269), voi leggete e rileggete i modelli greci, di notte e di giorno.
Magari fate delle scelte di volta in volta, ma per farle bisogna avere una visione d'insieme delle opere dei classici latini greci e moderni.
Essere pronti è tutto : the readiness is all, come dice Amleto a Orazio (Hamlet, V, 2).
Leggete dunque, leggete quanti siete umani.

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[1] E', notoriamente, il titolo di un romanzo di  Hemingway, 1940

[2] E. Morin, op. cit., p. 132.
[3] Avere o essere? , p. 69.
[4] Amore, sessualità e matriarcato , p. 21.
[5] La disobbedienza e altri saggi , p. 63

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