venerdì 31 gennaio 2020

Donne nell'epica greca. Parte 6. L'educazione di Achille nell'"Achilleide" di Stazio


Pompeo Batoni, Teti richiama Achille dal Centauro Chirone
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Achille, Tetide e Chirone nell’Achilleide di Stazio
Ai genitori dei bambini pigri e obesi


Un’altra parte della conferenza che terrò il 3 febbraio nella biblioteca Pezzoli di Bologna dalle 17
 Tutt’altra da quella dell’Iliade è la Tetide dell’Achilleide di Stazio (50 - 96).
In questo poema Achille è figlio spirituale di Chirone
Nel secondo poema, incompiuto, di Stazio, l’ombra come rifugio dei vili e paralisi della virtù dell’eroe, viene rinfacciata da Ulisse a Tetide che aveva imboscato il figlio dal re Licomede nell’isola di Sciro dopo averne fatto un travestito: “ Nimis o suspensa nimisque/ mater! An haec tacitā virtus torperet in umbra,/quae vix audito litui clangore refugit/et Thetin et comites et quos suppresserat ignes? ” (Achilleide, II, 37 - 40), troppo ansiosa e troppo madre! poteva paralizzarsi nell’ombra, in silenzio questa virtù che appena udito uno squillo di tromba è fuggita via da Tetide e dalle compagne e da quelle fiamme[1] che aveva represso? 
Achille stesso ricorda poi ai Greci, che si accinge a seguire verso Troia, come lo aveva educato Chirone: “visisque docebat/adridere feris nec fracta ruentibus undis/saxa nec ad vastae trepidare silentia silvae” (Achilleide, II, 103 - 105), mi insegnava a sorridere nel vedere le fiere e non temere le rocce spezzate dal precipizio delle cascate né i silenzi delle immani foreste.
Il più giusto dei Centauri[2] dunque insegnava all’allievo la letizia e il coraggio.
Inoltre lo induceva a essere sempre competitivo: avevo appena compiuto dodici anni, racconta il Pelide, “volŭcris cum iam praevertere cervos/et Lapĭthas cogebat equos praemissaque cursu/tela sequi” (II, 111 - 113), quando mi spingeva a battere nella corsa i cervi veloci e i cavalli dei Lapiti e a inseguire correndo le frecce lanciate prima. Dopo queste fatiche, Chirone, che accompagnava il ragazzo finché glielo permise l’età, elogiava lieto l’allievo e lo sollevava sulle proprie spalle: “laudabat gaudens atque in sua terga levabat” (II, 116).
Gli insegnava anche a non camminare pesantemente ma con leggerezza: “Saepe etiam primo fluvii torpore iubebar/ire supra glaciemque levi non frangere planta” (II, 117 - 118), spesso poi al primo gelarsi del fiume mi ordinava di camminarci sopra e con passo leggero di non rompere la crosta di ghiaccio.
La caccia doveva essere pericolosa e leale: Achille non doveva inseguire e abbattere inbelles…damnas…aut timidas…lyncas (II, 121 - 122), imbelli caprioli o linci paurose, ma stanare orsi inferociti e cinghiali fulminei (tristes turbare cubilibus ursos/fulmineosque sues II, 123 - 124), o, se si dava il caso, una tigre enorme o una leonessa che aveva appena figliato. 
Poi Achille si impratichiva nell’arte della guerra tra uomini. Non gli rimase ignoto nessun aspetto di Marte crudele.
Chirone gli insegnava anche a saltare enormi fossati, a correre su per le montagne veloce come in pianura, a respingere i macigni con lo scudo, a entrare in capanne incendiate a fermare una quadriga lanciata. Lo faceva entrare nel fiume tessalo Sperchìo quando era in piena e trascinava tronchi e macigni: Achille doveva respingere i flutti. Il ragazzo rimaneva in piedi con grande fatica: “ ferus ille minari/desŭper incumbens verbisque urgere pudorem” (II, 150 - 151), quello minacciava con durezza dall’alto e con le parole sollecitava l’orgoglio. Anche un alto amore di gloria, oltre un così grande testimone motivava Achille che reggeva a ogni fatica: “sic me sublimis agebat/gloria, nec duri tanto sub teste labores” (II, 152 - 153). Il lancio del disco, o la lotta o il pugilato, continua il giovane “ludus erat requiesque mihi” (II, 156) per me era gioco e ristoro, e questi esercizi non lo affaticavano più che il canto delle imprese degli antichi eroi. Inoltre Chirone insegnò al ragazzo la medicina “sucos atque auxilantia morbis/gramina, quo nimius staret medicamine sanguis/quid faciat somnos, quid hiantia vulnera claudat,/quae ferro cohibenda lues, quae cederet herbis/edocuit” (II, 159 - 163), i succhi e le erbe che curano le malattie, con quale rimedio si ferma il sangue eccessivo, che cosa si confà al sonno, cosa chiuda le ferite spalancate, quale male si deve aggredire col ferro, quale cede alle erbe.

Cfr. il Chirone dell’Ifigenia in Aulide il quale
Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[3], il più giusto dei Centauri, "nodrì Achille"[4] insegnandogli quella naturalezza e semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione nobile. Il figlio di Peleo nell'Ifigenia in Aulide riconosce tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato insegnandogli ad avere semplici i costumi:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926 - 927).
In tal modo il figlio di Peleo si abituò a scartare gli usi degli uomini malvagi (v. 709).

La madre però poi lo imboscò a Sciro presso il re Licomede. Ulisse lo scopre mettendo in mostra delle armi e gli dice:
o scelus! En fluxae veniunt in pectore vestes.
Scinde puer scinde et timide ne cede parenti (Achilleide, I, 533 - 534)

Interessante in questo poema i versi ecologici: per costruire le navi da guerra e il legno dei giavellotti:
Nusquam umbrae veteres: minor Othrys et ardua sinunt
Taygeta, exuti viderunt aëra montes.
Iam natat omne nemus: caeduntur robora classi
Silva minor remis” (I, 426 - 429), non ci sono più in nessun luogo le ombre antiche, è più piccolo l’Otri e si abbassa l’erto Taigeto, i monti spogliati vedono l’aria. Oramai galleggia nel mare ogni bosco: si abbattono le querce per la flotta, la selva viene diradata per fare i remi

Nel secondo canto, incompleto, Achille ri ribella alla madre con queste parole:
Paruimus, genetrix, quamquam haud toleranda iuberes,
Paruimus nimium: bella ad troiana ratesque
Argolicas quesitus eo” (II, 17 - 19), ho obbedito, madre, sebbene tu dessi ordini intollerabili, ti ho troppo obbedito, salgo sulle navi greche dove sono richiesto per la guerra di Troia.
La madre dovette cedere davanti a tanta risolutezza.

Nelle Nuvole[5] di Aristofane il Discorso ingiusto (Lovgo" a[diko" ) sostiene che Tetide lasciò Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv" , v. 1067) e non era piacevole passare la notte con lui, mentre la donna gode a essere sbattuta. Qui è notevole il capovolgimento del significato di u{bri", la prepotenza, che, applicata alla libidine della donna, diviene un valore.
 Un'idea non tanto peregrina e paradossale: la ritroviamo in Machiavelli:"Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedano. E però, sempre, come donna, è amica de' giovani, perché sono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano"[6].




[1] L’amore per Deidamia.
[2] Dikaiovtato" Kentauvrwn (Iliade, XI, 832).
[3] Iliade, XI, 832.
[4] Dante, Inferno, XII, 71.
[5] Del 423 a. C.
[6] Il Principe, 24.

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